Allora avevo sessantatré anni. Ma continuando a praticare capii che l’armonia nella mia vita non poteva essere creata a pezzettini. E non potevo lasciar fuori il nodo irrisolto della mia vita: il rapporto con un uomo
Ho settantasette anni, sono nata in Svizzera ma risiedo in Italia da molti anni e nel 1971, a Roma, ho conosciuto il Buddismo di Nichiren Daishonin.
In quel periodo lavoravo come costumista nel cinema, e un attore americano della troupe, vedendo la mia sofferenza e il mio malessere, mi invitò la domenica a casa sua, dove un piccolo gruppo di giapponesi e di americani recitavano Nam-myoho-renge-kyo. Entrando in quella casa e ascoltando il suono del Daimoku compresi di essere arrivata a destinazione, di aver finalmente trovato quello che da sempre cercavo. Da anni andavo da un teatro all’altro, sempre in viaggio, sempre senza un punto fermo nella mia vita, senza casa e a volte senza soldi, dato che la mia famiglia aveva rotto i rapporti con me. Mi mancava la stabilità, mi mancavano gli affetti.
La settimana seguente fui invitata a Ostia, sempre in un gruppo misto di giapponesi e americani. In quell’occasione mi fu chiesto se volevo ricevere il Gohonzon. Non sapevo cos’era, ma dissi di sì.
Questo fu l’inizio di un percorso di trentasei anni di pratica, senza interruzioni e sempre in compagnia del Gohonzon e del presidente Ikeda.
Tuttavia le mie depressioni e angosce non svanivano d’incanto, anzi, pur praticando con Kaneda, Nakajima, Dadina (Amalia Miglionico) e Yuriko, e incominciando lentamente a comprendere qualcosa su questa pratica, i primi cinque anni furono terribili. Persi tutto, pezzo per pezzo, tutto quello che avevo creato: la boutique, l’amore e per finire fui attaccata e minacciata con un coltello da tre uomini sotto casa. Questi avvenimenti furono come delle pietre che franavano, una dopo l’altra, per cadermi in testa.
A questo punto devo fare un passo indietro per spiegare come e perché la mia vita aveva cominciato a sgretolarsi.
Io provengo da una famiglia benestante, mio padre era medico, avevamo una bella casa con giardino a Basilea, ero amata e coccolata da tutti i componenti della mia famiglia: madre allegra, padre severo, nonni deliziosi. Adoravo mio padre. Quando avevo dodici anni mio padre si innamorò di un’altra donna e se ne andò via. Da un giorno all’altro mia madre e io dovemmo uscire dalla nostra casa e andammo a vivere in un piccolo appartamento, con pochi soldi a disposizione.
Fu uno choc totale per me. Cominciai a distruggere tutto e tutti, e soprattutto me stessa, rifugiandomi nel pianto, nella depressione, nell’autocommiserazione, pur di far vedere quanto male era stato fatto a me e a mia madre. La mia vita divenne piena di paure. Ero sempre in uno stato di totale ribellione.
A vent’anni scappai a Parigi con un’amica, dove mi diplomai dopo anni in scenografia e costumi.
Seguì un periodo migliore. Ebbi la fortuna di poter lavorare come costumista con un famoso scenografo nei grandi teatri in Germania e in Austria. Ma anche questa collaborazione andò in rovina e io mi ritrovai con le mie angosce e paure. Il crollo totale. In quel periodo c’era spazio solo per tranquillanti, alcool, psicoterapia e altro.
Dopo altri alti e bassi, nel 1964 sono giunta a Roma dove riuscii a intrufolarmi nel cinema, sempre come costumista: non era facile dato l’ambiente particolarmente ostile ed effimero. Lavoravo saltuariamente, davo lezioni di francese in cambio di un piatto di spaghetti. E poi ritornavano le mie paure, gli attacchi d’ansia; non riuscivo a uscire di casa: convulsioni, mancanza d’aria, onde calde che partivano dai piedi per arrivare al cervello e una tremenda sensazione di morire. Non riuscivo a salire in macchina, in treno, a prendere un tram, mi sentivo svenire se dovevo entrare in un ristorante. Non ero quindi in grado di lavorare e per questo mi sentivo ancor più isolata.
Dopo qualche tempo che praticavo, capii che era ora di ritornare in Svizzera. Trovai subito lavoro in una boutique a Davos, un paese di montagna a 1600 metri, e lì sono rimasta per dodici anni.
In quel paese non c’era nessuno che praticava, ma in sei mesi iniziarono due donne. Per poterle incoraggiare e trasmettere loro l’insegnamento buddista cominciai a studiare con entusiasmo, e in seguito tutte e due le donne ricevettero il Gohonzon, insieme ad altri che si aggiunsero al nostro gruppo.
Spesso con il treno andavamo a Zurigo per partecipare alle riunioni. Allora eravamo in pochi, ma con il tempo abbiamo costruito una piccola organizzazione: eravamo pionieri proprio come molti anni prima a Roma.
Fu un periodo bellissimo, pieno di entusiasmo, in cui cominciavo a uscire completamente dalle mie paure, angosce e depressioni, senza l’aiuto di farmaci o altro. Avevo cominciato la mia rivoluzione umana. Iniziavo a vivere con gioia e a vedere la vita e il mondo con occhi diversi. Quei dodici anni in montagna furono necessari per ritrovare me stessa e ricominciare a vivere.
Il mio sogno era di poter costruire un piccolo Centro culturale in un giardino stupendo assieme all’uomo che avrei amato e stimato, cambiando quindi la pretesa di trovare qualcuno che mi amava e stimava. Nei dodici anni vissuti in Svizzera avevo rifiutato categoricamente ogni rapporto di coppia, convinta di non riuscire a realizzare l’armonia necessaria: pensavo che questo problema forse avrei dovuto affrontarlo nella “prossima vita”. Avevo sessantatré anni. Ma continuando a praticare capii che l’armonia nella mia vita non poteva essere creata a pezzettini. E non potevo lasciar fuori il nodo irrisolto della mia vita: il rapporto con un uomo. Iniziai quindi a praticare per incontrare la persona giusta da amare e stimare e che mi avrebbe aiutato a sciogliere tutte le paure e le sofferenze.
Sei mesi dopo andai a Roma con un’amica, sempre convinta di non riuscire a realizzare quanto desideravo. Sulla strada del ristorante dove ci fermammo a mangiare incrociammo un uomo che “attaccò” a parlare con noi. Così conobbi Rocco. Oggi mi sembra che la mia vita sia cominciata in quel momento.
Dopo qualche mese mi sono trasferita a Roma e abbiamo iniziato la nostra avventura a due. Sette anni fa ci siamo sposati e sempre nel 2000 ci siamo trasferiti prima a Cecina e poi a Casale Marittimo, mentre nel 1993 Rocco aveva cominciato a praticare.
Sono quattordici anni di amore, stima, rispetto e attività insieme: sostenendoci a vicenda abbiamo affrontato le nostre rispettive difficoltà e le abbiamo sempre superate.
Insieme continuavamo a sognare un Centro. A Cecina ci siamo sempre trovati bene, abbiamo conosciuto tanta gente di buon cuore, è casa nostra: di qui la decisione di fare qualcosa che potesse ricambiare la nostra gratitudine per quanto ricevuto e che fosse di aiuto per quanti ci avevano accolto così calorosamente. Decidemmo perciò di costruire qui un Centro culturale, qualcosa che fosse utile anche per il futuro, un luogo dove incontrarsi per mostre, dialoghi, feste per bambini e giovani e oggi il nostro sogno si è realizzato.
Mi auguro che la mia esperienza di vita, piena di difficoltà e sofferenze, con periodi bui, senza mezzi, ma sempre accompagnata dal Gohonzon e dalla pratica buddista, che mi hanno permesso di cambiare il mio ambiente, di incontrare l’uomo giusto per me e di creare armonia e benessere, possa essere di incoraggiamento per gli altri. Vogliamo, Rocco e io, dimostrare gratitudine al presidente Ikeda e a tutti i membri italiani lasciando un piccolo segno per un futuro migliore.