In giapponese la non dualità di maestro e discepolo è espressa con gli ideogrammi shitei funi: shi, maestro; tei, discepolo; funi, contrazione di nini funi (due ma non due)
Il fondamento della relazione maestro e discepolo si trova nell’impegno condiviso per la felicità delle persone. Il maestro mira a rendere consapevoli i suoi discepoli del loro potenziale, infondendo loro fiducia nelle infinite potenzialità che non riescono a riconoscere in se stessi. È la stessa vita del maestro che ispira i discepoli, diventando un esempio del fatto che tutti possiamo realizzare il massimo potenziale di felicità attraverso le nostre azioni per gli altri.
Il sentiero tracciato dal Buddismo sta nel difficile equilibrio tra la lotta per crescere e svilupparsi come individui e, allo stesso tempo, l’agire per il bene degli altri. In un momento critico d’indecisione, pensare all’esempio del maestro può farci intraprendere un passo coraggioso e quindi superare i nostri limiti. Come afferma Ikeda: «Un maestro ci fa rendere conto delle nostre debolezze e ci aiuta ad affrontarle con coraggio». Il fatto che il maestro rappresenti un modello di come si pratica il Buddismo non significa che il discepolo debba imitarne la persona, quanto piuttosto imparare dal suo esempio, dal suo modo di vivere, adottando quell’approccio alla vita nella sua specifica situazione, esprimendosi attraverso la propria individualità.
Interiorizzando lo spirito del maestro, il discepolo cresce e si sviluppa al di là dei limiti che sente di avere. La relazione tra maestro e discepolo nel Buddismo è un cammino di scoperta di sé e non di imitazione o adulazione. La responsabilità ultima è del discepolo, è lui che deve decidere di sforzarsi d’imparare, e si svilupperà nella misura in cui cerca di assimilare e mettere in pratica gli insegnamenti del maestro.
Il desiderio del maestro è di essere superato dai suoi discepoli.
Per definire le rispettive funzioni del maestro e del discepolo si potrebbe dire che il ruolo del maestro è di puntare verso un obiettivo e mostrare i mezzi per raggiungerlo, mentre quello del discepolo è lottare per realizzare questo ideale, su una scala ancora maggiore di quella realizzata dal maestro. L’aver condiviso un ideale e aver lottato insieme per realizzarlo crea una profonda vicinanza nelle loro vite, ciò che il Buddismo descrive come non dualità di maestro e discepolo.
Questa è la linfa vitale del Buddismo e il mezzo grazie al quale si sviluppa e si trasmette, da una generazione all’altra, l’aspirazione a vivere esistenze pienamente realizzate mettendo in grado gli altri di fare lo stesso.
(estratto da SGI Quarterly, gennaio 2010)