La sua famiglia d’origine aveva dovuto affrontare tante volte il problema dello sfratto. Quando è capitato anche a Maria, ha trasformato questa sofferenza in opportunità e la realtà ha superato ogni immaginazione
Negli anni ’70 entrambi i miei fratelli mi parlarono, anche se con modalità molto differenti, del Buddismo del Daishonin, ma solo diciotto anni dopo cominciai a praticare, dopo che morirono mio marito, mio padre e mio fratello Paolo.
Avevo perso le persone più care, tutte giovani, avevo due figli piccoli e tanta paura che accadesse loro qualcosa. Una conoscente mi scrisse Nam-myoho-renge-kyo su un foglietto, dicendomi che ripetere quella frase mi avrebbe aiutato a trasformare il karma. Provai e la morsa dell’ansia allo stomaco si allentò, così continuai a recitare Daimoku e dopo pochi giorni ero alla mia prima riunione di discussione. Quel suono mi era familiare, mi sembrava di averlo sempre sentito! Da allora il Gohonzon mi ha accompagnato nella vita come un faro.
Dopo circa sette anni di pratica, si presentò la “grande occasione” per trasformare il karma familiare: il padrone di casa mi sfrattò. I miei genitori erano stati sfrattati più volte e noi figli ne avevamo risentito molto. In quel momento le mie condizioni economiche – insegnavo nella scuola elementare – erano appena sufficienti per vivere con i miei figli non ancora “sistemati”. Inoltre non volevo lasciare la casa dove avevo vissuto con mio marito. Pregai davanti al Gohonzon e con coraggio scrissi su un foglietto: dallo sfratto all’acquisto. Cominciai a cercare un appartamento, feci domande agli enti, recitai tantissimo Daimoku e chiesi un consiglio nella fede. L’acquisto sembrava un sogno impossibile: il mio quartiere era troppo caro e le banche non mi venivano incontro.
All’udienza per lo sfratto ottenni il massimo del rinvio: diciotto mesi. Nel frattempo i miei due figli, che cominciavano a essere indipendenti, mi esortavano a pensare solo a me.
Trovai una casa piccolissima e malridotta ma a un prezzo accessibile. Firmai il compromesso con un assegno, all’epoca, di dieci milioni di lire. In seguito scoprii che era una truffa e persi tutti i soldi. Piangevo e pregavo, ero esausta! Era l’estate del 2001, un anno importante: mio figlio cominciò a recitare Daimoku, io superai brillantemente due concorsi e vinsi la cattedra di lettere. Durante il mese d’agosto facevo molto Daimoku e leggevo gli annunci immobiliari. Una cara amica praticante mi suggerì di mettere la futura casa a disposizione per kosen-rufu. Lo feci senza troppa convinzione. Intanto i miei figli avevano trovato un buon lavoro e potevano sostenermi nell’acquisto. Inoltre, con mia grande gioia, mio figlio aveva deciso di ricevere il Gohonzon. Trovai anche un buon avvocato che riuscì a farmi recuperare i dieci milioni.
Quando mancavano due mesi allo sfratto ed ero ormai esausta, decisi di smetterla con quell’atteggiamento ostinato che non lasciava spazio ad altre possibilità. Mi sentivo sollevata e mi affidavo alla frase: «Non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306). Comunque mia sorella Stefania era disposta a ospitarmi. All’inizio del 2002 la ragazza di mio figlio, oggi membro della Soka Gakkai, scoprì che un amico voleva vendere il suo appartamento che era nel mio quartiere.
Lo andammo a vedere, era proprio di fronte alla casa dove sono nata, la finestra della cucina era davanti a quella d’un tempo: in quell’istante sentii d’aver cambiato il karma familiare dello sfratto e di aver realizzato lo scopo. Ce l’avevo fatta!
Il resto fu tutta una serie di benefici: alcuni amici mi prestarono volontariamente dei soldi, presi la cessione del quinto, i miei figli firmarono il mutuo con me e finalmente comprai casa. Avevo posto questo scopo possedendo sette milioni di lire e ora compravo un appartamento da duecentoquaranta milioni e proprio dove lo volevo, con due stanze, due giardini, un piccolo patio e anche un armadio a muro: tutte cose che avevo sempre desiderato segretamente. Davanti al Gohonzon bisogna affidarsi, lasciarsi andare alla corrente della vita; ogni vicenda è un insegnamento, un’occasione per cambiare. L’impossibile era diventato realtà superando la mia immaginazione.