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Nessuno ci appartiene - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:47

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    Nessuno ci appartiene

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    Ho conosciuto il Buddismo di Nichiren Daishonin nel 1990, grazie a mio cugino Elvis. Ho iniziato subito a praticare con un obiettivo preciso ma, appena l’ho realizzato, ho abbandonato la pratica. Nel 1997 Elvis mi ha rifatto shakubuku e sono stata così colpita dal suo alto stato vitale che ho ripreso immediatamente a praticare senza più smettere. Nel 1998 ho ricevuto il Gohonzon e mi sono dedicata all’attività buddista come responsabile di gruppo con il desiderio di crescere come persona, sia nella pratica che nella vita. Così ho potuto realizzare l’obiettivo di sposarmi, avere una casa e un lavoro proprio come li volevo. Ma c’era un desiderio che sembrava impossibile da realizzare: volevo avere un figlio, ma, appena presa questa decisione, entrai in menopausa a soli quarantadue anni. La mia speranza, appena nata, era subito morta. Così recitai al Gohonzon desiderando di adottare un bambino ma decisi anche che in ogni caso sarei stata comunque felice, con o senza figli. In questi anni non ho mai smesso di recitare Nam-myoho-renge-kyo, né di fare attività buddista e di approfondire lo studio, allenandomi così ad affrontare la grande difficoltà che avrei poi incontrato.
    Nel 2004 è morto, a soli quarantanove anni, l’unico fratello di mio marito. La loro relazione era sempre stata burrascosa, così scoprimmo solo in quella circostanza che aveva avuto un figlio, Giulio, dalla nuova compagna rumena. Dopo averli conosciuti, iniziò una fase difficile. Era un momento doloroso, non ci conoscevamo, non ci capivamo e dovevamo affrontare delicate questioni ereditarie. Io cercavo di favorire la relazione fra Giulio, sua madre e la famiglia di mio marito, anche se era tutto molto complicato. Attraverso la recitazione del Daimoku, però, stava nascendo fra noi una situazione armoniosa.
    Nel 2005 mia cognata stava tornando in Romania con i suoi genitori e Giulio. In Ungheria ebbero un incidente stradale, nel quale morirono tutti gli adulti. Solo Giulio si salvò e fu ricoverato in un ospedale ungherese. Partimmo immediatamente per raggiungerlo e una volta arrivati lì, il console lo affidò a noi autorizzandoci a tornare con lui in Italia. Diversamente avrebbe rischiato di essere trasferito in un orfanotrofio in Romania in attesa di chiarire a chi dovesse essere affidato. Giulio aveva subìto un grande shock e nacque subito in noi la decisione di proteggerlo, di averne cura e di procedere all’adozione. Ma gli zii rumeni erano contrari a questa soluzione, che pure era stata disposta dal console. Così agirono per vie legali e l’11 marzo vennero a casa nostra i carabinieri e ci portarono via Giulio. Con un decreto del giudice veniva disposto l’affidamento alla zia materna, la quale viveva in Italia con il marito e un figlio.
    Quando Giulio ci venne strappato in quel modo, si è aprì un inferno di rabbia e dolore che divennero ancora più forti quando venimmo a conoscenza del fatto che questa azione legale era una forzatura della procedura vigente. In pratica venivamo trattati come “rapitori” del bambino, senza tener conto della disposizione del console. Ero furibonda e così mi affidai al Gohonzon come mai era accaduto prima. Le parole del Gosho Gli otto venti erano la mia guida: «L’uomo saggio non si lascia sviare dagli otto venti: prosperità, declino, onore, disonore, lode, biasimo, sofferenza e piacere. Non si esalterà nella prosperità né si lamenterà nel declino. Il cielo sicuramente proteggerà chi non si piega di fronte agli otto venti, ma se tu nutri un irragionevole rancore nei confronti del tuo signore, per quanto possa pregarlo, il cielo non ti proteggerà» (SND, 4, 166), insieme al pensiero costante della felicità di Giulio. Volevo che fosse felice e recitavo sempre Daimoku per lui avendo presenti le parole di Nichiren Daishonin: «Ovunque tua figlia potrà giocare, non le accadrà niente di male; sarà libera dalla paura come il re leone» (Risposta a Kyo’o, SND, 4, 150).
    Intanto andavamo a trovarlo appena possibile, nonostante la sofferenza provocata dall’incontro con chi lo aveva allontanato da noi con la forza. Trasformare tutta la rabbia e la sofferenza davanti al Gohonzon è stata veramente una prova durissima, ma infine ho sentito davvero con forza e chiarezza che Giulio non ci appartiene, che la cosa più importante era che potesse vivere serenamente, anche in un’altra famiglia. La sua serenità richiedeva che noi e la famiglia che lo stava crescendo trovassimo un accordo armonioso, perché “tutti insieme” siamo la sua famiglia. Quando questa decisione ha sostituito completamente la rabbia che provavo, il 9 marzo 2006 il giudice dei minori di Trieste emanò un decreto definitivo che affidava Giulio a noi. Dagli accertamenti svolti dalle assistenti sociali è infatti emerso che la famiglia con la quale viveva non riusciva ad armonizzare la sua presenza con quella dell’altro figlio e che Giulio stava vivendo un’altra situazione di disagio.
    Il 15 marzo Giulio è tornato a casa nostra. I rapporti fra le nostre famiglie sono molto migliorati e desidero davvero che lui possa considerare tutti noi la sua famiglia, nessuno escluso. Adesso è necessaria molta cura per aiutarlo a superare tutti i traumi che ha subìto, e siamo supportati in questo da uno psicologo. Il nostro obiettivo ora è adottarlo e realizzare una famiglia per la pace. Vorrei ringraziare tutte le persone che ci hanno sostenuto in questo percorso, responsabili e membri. Ringrazio anche il mio maestro, Daisaku Ikeda, al quale prometto che mi impegnerò a sostenere le donne a suo fianco.

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