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Nel lavoro ci meritiamo di più - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:34

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Nel lavoro ci meritiamo di più

Un confronto sulle problematiche dell’occupazione: precarietà, rispetto della persona, piena realizzazione. Per tutti un filo rosso che unisce il lavoro come “luogo” in cui approfondire la fede e il senso della missione nella propria vita. Per approfondire ulteriormente questi temi, l’esperienza di Katia e di come sia arrivata a scoprire quale lavoro volesse e perché

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Un confronto sulle problematiche dell’occupazione: precarietà, rispetto della persona, piena realizzazione. Per tutti un filo rosso che unisce il lavoro come “luogo” in cui approfondire la fede e il senso della missione nella propria vita. Per approfondire ulteriormente questi temi, l’esperienza di Katia e di come sia arrivata a scoprire quale lavoro volesse e perché

Intervista a cinque giovani sul rapporto con il mondo del lavoro. Alcuni studiano ancora, altri hanno concluso il loro percorso di formazione e si stanno preparando a mettere a frutto ciò che hanno imparato, altri ancora invece lavorano e sono soddisfatti di ciò che hanno. Ecco le loro testimonianze.

Redazione: Il presidente Toda soleva dire che nel lavoro ci si deve sforzare al massimo e diventare indispensabili, anche se il lavoro non ci piace. Facendo così non solo si riesce a valorizzare al massimo la nostra attività e a migliorare sempre di più, ma è il modo più sicuro per arrivare a cambiare la situazione e a poter svolgere il lavoro che ci piace. Come vivete la realtà del lavoro?

GAETANO C., 30 ANNI: La situazione lavorativa per me si è trasformata completamente, sia con i colleghi che con i datori di lavoro. Prima di praticare vivevo in uno stato di conflitto continuo. Lavoro dal 2003, sono traduttore; finalmente posso dire di avere un rapporto splendido con il mio attuale datore di lavoro e di ricevere uno stipendio soddisfacente.

EMANUELA A., 33 ANNI: Quello che per me è sempre stato un principio fondamentale è l’insegnamento di Ikeda che spinge a impegnarsi al cento per cento in tutto ciò che facciamo. Lavoro in una multinazionale che si è fusa da poco con un’altra grandissima multinazionale anche se completamente diversa. Ho fatto parte del team di integrazione, cioè dovevo fare in modo che la mia azienda funzionasse secondo gli schemi di quella nuova. Viaggiavo continuamente e vivevo un continuo stato di angoscia e di difficoltà di ogni genere. La cosa che mi ha aiutato di più in questo periodo è stata tener presente il principio “fede uguale vita quotidiana”; ogni volta dovevo così decidere di essere una brava buddista anche sul lavoro. Questo continuo esercizio mi ha portato a operare un’apertura sempre maggiore della mia vita fino a trasformare completamente sia la mia realtà lavorativa che la mia vita quotidiana nel suo complesso.

EMANUELA G., 24 ANNI: Ho appena vinto un concorso in una grande banca come apprendista per quattro anni, con ottime possibilità di avere un contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo continuo a fare il mio vecchio lavoro che è quello di commessa e contabile in una pasticceria. Avevo accettato quell’impiego per essere indipendente ma mi sono subito scontrata con una realtà molto dura perché ho trovato una mentalità molto ristretta. Mi sono sentita sminuita e non trattata con il dovuto rispetto, fuori luogo insomma, anche perché avendo fatto studi classici, avevo poca dimestichezza con quello che mi si chiedeva. Invece, piano piano, partendo da me stessa, ho capito che non dovevo cercare di cambiare gli altri, ma dovevo integrarmi io con l’ambiente sia prendendo da esso tutto quello che mi offriva per crescere sia dando il mio contributo per migliorare le cose e sono convinta che questo lavoro che ho fatto su di me e sull’ambiente resterà anche quando inizierò la nuova esperienza in banca.

LORIS D.F., 35 ANNI: Io mi sono laureato in Economia e ho iniziato subito a lavorare in banca. Non mi piaceva però. Mi occupavo di analisi finanziaria, per cui mi trovavo necessariamente nella situazione di accontentare più la banca che non il cliente. Non vedevo nemmeno un gran futuro dal punto di vista economico. Decisi di mettere tutto davanti al Gohonzon, i miei dubbi e i miei dispiaceri, e mi buttai completamente nell’attività istituzionale e, al Centro culturale, come soka-han. Grazie a una “fortunata coincidenza” mi capitò l’occasione di frequentare un master in Economia e gestione della comunicazione dei media e, proprio mentre frequentavo il corso, mi chiarii le idee su ciò che veramente mi piaceva; questo però aumentava il disagio che provavo per il mio lavoro. Inoltre mia sorella in quel periodo mi chiedeva continuamente consulenze gratuite per l’azienda presso la quale lavorava e, proprio attraverso queste consulenze, mi resi conto che il loro amministratore non era serio e mirava ad affossare l’attività invece che a svilupparla. In seguito constatai che voleva svendere l’azienda per guadagnarci lui a spese dei dipendenti che, probabilmente, sarebbero stati licenziati. In breve, ho comprato io l’azienda e adesso ho quindici dipendenti. Certo all’inizio è stata molto dura, perché mi sono ritrovato debiti e problemi organizzativi di ogni genere, ma adesso, questa azienda, che si occupa di trasporto aereo privato, è ripartita alla grande. In questo percorso sono stato sostenuto, oltre che da una quantità enorme di Daimoku, anche dalla mia esperienza come soka-han che mi ha insegnato a guardare i dettagli, a non trascurare niente, e poi dal Gosho Gli otto venti (SND, 4, 165) che leggevo continuamente.

FRANCESCA L.G., 28 ANNI: Proprio ieri ho concluso una parte dei colloqui per frequentare il corso per assistente di volo in una prestigiosa compagnia aerea. Il mio percorso è stato molto sofferto. Avevo un lavoro fisso che ho lasciato perché non mi piaceva sperando di trovare quello che invece era il mio sogno di allora: fare la costumista. Un’azione sconsiderata che mi è costata un lungo periodo di depressione da cui sono uscita proprio grazie alla pratica. Lavorando solo saltuariamente, non riuscivo neppure a mantenermi e così dovetti tornare dai miei genitori che non vedevano di buon occhio nemmeno il fatto che praticavo. C’è stato anche un periodo in cui il lavoro andava molto bene, ma è durato poco. Poi ho partecipato a un corso presso il Centro europeo di Trets e, avendo potuto fare l’attività di protezione sull’aereo, ho capito cosa veramente mi piaceva fare nella vita. Ho così avuto la magnifica opportunità di tirare fuori il mio sogno più grande: fare l’assistente di volo.

Redazione: Che cosa ne pensate della precarietà?

EMANUELA G.: Ho smesso presto di andare all’università e ho cominciato subito a lavorare per essere indipendente. Ho cambiato dieci o dodici occupazioni, ho fatto i peggio lavori, mancando veramente di rispetto alla mia vita. Quando ho cominciato a praticare invece mi è nato dentro il desiderio forte di avere più considerazione di me. Ho scoperto che questo problema mi aveva accompagnato per tutta la vita, anche nell’ambito familiare e così ho deciso, in occasione del 16 marzo di quest’anno, giorno di kosen-rufu, di trasformare questa tendenza determinando di trovare il lavoro della mia vita e di eliminare la precarietà economica che fino ad adesso ha caratterizzato le mie esperienze lavorative che, comunque, mi hanno insegnato tutte qualcosa dal punto di vista professionale e umano.

EMANUELA A.: Anche un contratto a tempo indeterminato comunque non è una garanzia. Nella mia azienda abbiamo vissuto per diversi anni con il terrore dei tagli al personale. Ho iniziato a praticare questo Buddismo proprio per questo; in particolare per un mio amico che è stato licenziato da un giorno all’altro. Ho iniziato ad aprire casa per le recitazioni di Gongyo e Daimoku tutte le mattine, mettendo come obiettivo che fosse garantito il posto di lavoro per tutti. A me la precarietà è servita a puntare sull’unica cosa che non sentivo precaria nella mia vita: l’attività per gli altri. Promisi al presidente Ikeda che sarei stata sempre felice. Ho smesso di essere precaria quando ho deciso di non esserlo più e, pregando per la felicità di tutte le persone, non ho avuto più paura di niente. Quando ho saputo con chiarezza cosa veramente volevo fare nella mia azienda, e cioè rimanere a Roma per seguire il personale, ho ricevuto immediatamente una proposta da parte della direzione in tal senso. Da lì ho capito il potere della pratica.

GAETANO: Io sono un precario. Ho cominciato a seguire gli insegnamenti del Daishonin proprio per risolvere problemi di lavoro, anche se all’inizio mi sentivo in contraddizione con me stesso poiché venivo da un’educazione cattolica. Tuttavia praticavo ugualmente perché vedevo che recitando Daimoku mi sentivo meglio, mi calmavo e riuscivo a essere più sereno nell’affrontare i problemi lavorativi che, a mano a mano, aumentavano sempre di più. In pratica però, tutte le mie difficoltà erano riconducibili a un solo problema: la totale assenza di rispetto nei miei confronti sul posto di lavoro. Ero trattato come un incapace e, il bello, era che mi sentivo tale e quindi magari lavoravo male. Comunque persi il lavoro e in quel periodo leggevo continuamente i Gosho: La strategia del Sutra del Loto (SND, 4, 193) e Gli otto venti (SND, 4, 165). Riuscii a trovare un altro lavoro che apparentemente sembrava una grande conquista, andai cioè a lavorare in un grande residence come segretario di ricevimento. Mi resi subito conto che tirava una brutta aria: anche qui non mi rispettavano. Mi dicevo continuamente che io praticavo questo Buddismo per essere felice ma non lo ero affatto. Avevo anche capito, dall’atteggiamento del mio datore di lavoro, che molto probabilmente non mi avrebbe rinnovato il contratto. Mi misi a pregare intensamente mettendo come obiettivo di avere chiarezza su ciò che dovevo fare, se andarmene oppure combattere per rimanere e, al tempo stesso, determinai di essere felice al di là di quello che sarebbe successo. Mi capitò un incidente che mi fece stare a casa una settimana. Nel frattempo iniziarono a fare dei lavori di ristrutturazione all’interno dell’albergo; lavori di cui non fui messo al corrente. Quando, per riordinare alcuni documenti, andai in una delle stanze adibite all’amministrazione, aprendo la porta mi ritrovai… nel vuoto assoluto! Avevano buttato giù tutto per la ristrutturazione e caddi da un’altezza di due metri completamente al buio e, grande beneficio, non mi feci nemmeno un graffio. Senza raccontare ulteriori particolari, vi dico solo che da lì, da quella caduta, mi sono rialzato diverso, più saggio, combattivo e assolutamente determinato a conquistare quel rispetto che mai fino a quel momento avevo realmente deciso di ottenere. Prima di andare via ho fatto shakubuku a tutti, compreso il mio datore di lavoro e adesso la mia dimensione lavorativa è davvero molto soddisfacente.

LORIS: Sono un imprenditore e la figura dell’imprenditore è quella più precaria. All’inizio tutti i soldi servono per l’azienda e magari per sanare i debiti. Anche se le cose vanno un po’ meglio, ogni mattina mi sveglio con l’angoscia del fallimento. Ogni giorno combatto con questa paura; è stato illuminante per me un video del presidente Ikeda e in particolare una frase: «Dobbiamo pensare di noi che siamo il signore “Io posso”». Io credo che siamo tutti precari finché non decidiamo di… decidere! Anche i conflitti vanno risolti nel nostro cuore e ogni cosa può alimentare la precarietà come minaccia. Per esempio, come dipendente prima e come datore di lavoro ora, mi sono reso conto che i colloqui di assunzione si svolgono su due piani differenti: la richiesta da parte del lavoratore e la concessione da parte del datore, con gravi mancanze di rispetto spesso verso il lavoratore. Invece, se proviamo a cambiare il punto di vista, a pensare cioè al colloquio come uno scambio di offerte, allora il rispetto è garantito.

FRANCESCA: La precarietà per me ha avuto un ruolo molto importante. All’inizio la vedevo come una minaccia, ma poi si è trasformata in una spinta per migliorarmi. Ho letto più volte I protagonisti del XXI secolo (D. Ikeda, esperia, 2000) in cui è ricorrente il messaggio di sensei che ci incita a non fermarci mai davanti agli ostacoli. Mi sono sfidata a trecentosessanta gradi e ho cominciato a mandare curricula alle compagnie aree. La risposta non è arrivata subito e ho dovuto esercitare la pazienza e la perseveranza. Quando poi le risposte sono cominciate ad arrivare mi sono trovata anche davanti all’indecisione e alla paura di perdere tutto. Leggendo continuamente i Gosho, Risposta a Kyo (SND, 4, 149) e Felicità in questo mondo (SND, 4, 157) sono riuscita malgrado tutto a fare sempre la scelta più idonea e adesso sono finalmente serena e soddisfatta.

Redazione: Daisaku Ikeda ci dice: «Se non vi sforzate i vostri sogni resteranno soltanto pura fantasia. Lo sforzo e il duro lavoro costruiscono invece un ponte tra i sogni e la realtà. Coloro che fanno sforzi continui sono sempre pieni di speranza, quella speranza che nasce proprio dagli sforzi continui. Abbracciate i vostri sogni e seguiteli». Cosa ne pensate? Inoltre, a volte succede che le relazioni, anche nel luogo di lavoro, si incrinino quando si cerca di esprimere se stessi, tenendo conto delle proprie particolarità e rimanendo fedeli ai propri obiettivi. Vi è capitato di vivere un’esperienza in tal senso?

LORIS: Io ero una persona che non sognava. Non sapevo cos’era un sogno e cos’era un desiderio. Praticando, ho cominciato a sognare. Vorrei che tutti provassero a fare attività di byakuren e soka-han perché sono delle occasioni magnifiche per imparare a comportarci correttamente, ad assumerci la responsabilità delle nostre azioni in prima persona e a tirare fuori il coraggio per fare tutto ciò. Io utilizzavo principalmente la mia parte razionale nell’affrontare la vita e i problemi che inevitabilmente si venivano a creare, senza tenere in gran conto invece la mia parte emotiva che ritenevo un aspetto fragile di me, quasi una debolezza. Con la pratica e l’attività per gli altri ho imparato a gestire anche i miei sentimenti, le mie emozioni, attraverso la certezza di sentirmi protetto in questo percorso e, quindi, mi sono potuto permettere anche di sognare liberamente.

EMANUELA A.: Occorre però tenere sempre presente che il Gohonzon non è una bacchetta magica e che quindi dobbiamo costantemente sforzarci per concretizzare i nostri sogni. La parte razionale ed emotiva devono integrarsi.

GAETANO: Ogni qualvolta ci confrontiamo con l’esterno ci rendiamo conto che l’ambiente fa da specchio alla nostra interiorità.

FRANCESCA: Io ero un po’ arrogante. Ho chiesto un consiglio nella fede perché, pensando che non fosse l’ambiente giusto per me, volevo lasciare il lavoro. Invece ho capito che quella era l’occasione per crescere e, per quanto mi riguarda, ho imparato a esprimermi attraverso il dialogo, cercando di vedere il Budda nel mio interlocutore e, adesso, mi capita addirittura di essere presa in giro perché vedo sempre tutto rose e fiori!

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Con parole mie / Forte dentro, apprezzata fuori

Ho cominciato a praticare questo Buddismo nella primavera del 1990: soffrivo perché non riuscivo a trovare un impiego stabile. Dopo poco tempo trovai un primo lavoro; nel giro di qualche mese mi licenziai perché avevo ricevuto l’offerta di lavorare nel bar di un amico, ma poco dopo nacquero problemi tra di noi. Nel 1991 decisi di riprendere gli studi per avere un diploma qualsiasi e dopo due anni mi diplomai da privatista come maestra d’asilo. Negli anni successivi mi adattai a fare un po’ di tutto: operaia, commessa, barista, addetta alle pulizie. Passavo da un lavoro all’altro senza capire cosa volevo e senza domandarmi cosa mi sarebbe piaciuto fare. Mi dicevo: «Devo lavorare». E così accettavo ogni lavoro che trovavo con grande senso del dovere e profonda insoddisfazione.
Praticavo correttamente, mi impegnavo molto anche nell’attività per gli altri, ma non riuscivo a capire come mai non riuscissi a trovare un impiego stabile adatto a me. Volevo mettere in pratica la frase di Gosho che dice: «Non c’è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: le persone lì [nella mia terra] sono felici e a loro agio» (Felicità in questo mondo, SND, 4, 157). Cercavo di essere felice e di dare il massimo ovunque lavorassi.
Intanto il tempo passava e continuavo a cambiare occupazione più o meno ogni due anni. Poi nel 2000 diventai mamma. In quel periodo ero addetta alle vendite in un supermercato e proprio quando mia figlia compiva il suo primo anno, io perdevo il lavoro. Per l’ennesima volta ero disoccupata, ma adesso con una famiglia cresciuta e quindi con una sofferenza molto più grande. Mi chiedevo cosa dovessi trasformare nella mia vita per dare una svolta definitiva a questo problema e un corso di approfondimento nella fede divenne l’occasione per trovare la carica giusta. Al mio rientro mi aspettava una crisi profonda col mio compagno e neanche l’ombra di un lavoro. Nonostante la mia sofferenza crescesse, non mollai l’impegno e, anzi, aumentai il Daimoku. Nello studio cercavo le risposte alle mie domande, soprattutto leggendo ogni giorno il Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza (BS, 119, 12).
Un giorno recitando Daimoku percepii perché soffrivo così tanto: non avevo assolutamente fiducia in me stessa e nelle mie capacità. Per anni avevo lavorato dominata da questi sentimenti negativi. Capii che non dovevo più accontentarmi e cominciare a credere nella mia Buddità. Non volevo più sminuire la mia vita. Qualcosa si sbloccò, da quel momento cominciai a ricevere varie proposte di lavoro, apparentemente interessanti ma era come rivedere il solito film… allora decisi che dovevo rispondere: «No, grazie». I primi rifiuti mi generavano senso di colpa, ma poi sentii che stavo facendo la cosa giusta per me, che stavo cominciando a darmi valore. Anch’io ero un Budda e potevo trovare un lavoro meraviglioso dove poter manifestare le mie capacità.
Naturalmente continuai a inviare curricula e a presentare domande e finalmente nel settembre del 2005 mi proposero di lavorare per una cooperativa come operatore socio-assistenziale nelle scuole: scoprii di essere tagliata per lavorare con i bambini. Era arrivato il momento per tirare fuori quel diploma in cui non credevo. Per due anni mi fu affidata una bambina diversamente abile e fu un’esperienza bellissima grazie alla quale maturai il desiderio di lavorare stabilmente come educatrice e di avere finalmente un contratto a tempo indeterminato. Dopo tanti anni di lotta, forse senza rendermene conto, avevo rinunciato a quel desiderio che mi sembrava impossibile. Un giorno raccolsi tutta la mia determinazione, anche se con un po’ di paura, e scrissi nero su bianco le mie “condizioni”: dove avrei voluto lavorare, con quale stipendio, con quale orario e con quale tipo di contratto. E promisi a me stessa che avrei sviluppato una forte fede.
Recitavo Daimoku, facevo attività sia nel mio gruppo sia nel gruppo Corallo (protezione) con sempre maggiore impegno. Man mano che il tempo passava, sentivo crescere dentro di me una tranquillità e una serenità mai provate prima. Anche lo studio era un mio grande alleato. Un giorno sul Gosho L’apertura degli occhi lessi: «Questo io affermo: che gli dèi mi abbandonino. Che tutte le persecuzioni mi assalgano. Io continuerò a dare la vita per la Legge!». Il presidente Ikeda commenta così questo brano: «Quando ci dedichiamo a questo voto, qualunque ostacolo o forza demoniaca possa sorgere la nostra vita brillerà di uno spirito nobile e indomabile. Qualunque tipo di karma ci possa assalire, la nostra vita splenderà di uno spirito da invincibili campioni» (BS, 120, 42).
Da quel momento il mio scopo principale divenne sentire questo voto nella mia vita e continuare a lottare. Ma lottare contro chi? Contro l’altra me stessa, quella dominata dall’oscurità fondamentale che ogni giorno mi faceva pensare che tutto era inutile e che non ce l’avrei mai fatta. La mia lotta era in ogni Daimoku, in ogni mio pensiero; sentivo che la mia fede si rafforzava ogni giorno di più. Il mio “pensiero costante” era diventato: «Ce la farò!». Lo pensavo tutte le volte che mi scoraggiavo, cioè in continuazione. Appresi l’importanza di rialzarsi sempre. In quel periodo mi colpì molto una frase della spiegazione del Gosho Felicità in questo mondo di Ikeda che dice: «Se in fondo al cuore, magari in un angolo nascosto, avete deciso che solo voi non riuscirete a essere felici, che solo voi non diventerete una persona capace, che solo i vostri problemi non si risolveranno, questo stesso fattore mentale, questo ichinen, impedisce il sorgere del beneficio» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, D. Ikeda, esperia, 1997). Anch’io lottavo davanti al Gohonzon per avere un cuore puro e libero dal dubbio. Finalmente cominciavo a provare una grande gioia e una tranquillità che per una persona nervosa come me era incredibile. Finalmente avevo fiducia in me stessa, sentivo di aver già vinto.
Un giorno mi telefonò la coordinatrice della cooperativa presso la quale lavoravo in quel periodo per informarmi che il mio contratto era stato trasformato in tempo indeterminato! Non ci credevo: mi sembrava un sogno. Ma non era finita qui, dopo una settimana mi contattarono da un’altra cooperativa per un colloquio offrendomi la realizzazione del “mio sogno”. Tutto quello che avevo desiderato stava diventando realtà: un lavoro come educatrice vicino a casa, con l’orario che volevo, ma… a tempo determinato. Seppur dispiaciuta rifiutai, perché non potevo lasciare un contratto indeterminato per uno a termine. Nei giorni successivi mi chiedevo che cosa stesse succedendo, continuavo a recitare Daimoku, con la fiducia che sarebbe successa la cosa migliore per la mia vita. Dopo dieci giorni mi ricontattò la seconda cooperativa dicendo che erano ancora interessati a me e che erano disposti a offrirmi un contratto a tempo indeterminato. Ovviamente, accettai.
Provo un’enorme gratitudine per il Gohonzon, rinnovo il mio voto di contribuire a kosen-rufu offrendo il meglio di me e ringrazio tutte le persone che mi hanno sostenuto.
Katia Generali ­ Sassuolo (MO)

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