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Nei panni dell'altro - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:38

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Nei panni dell’altro

Francesca Corrao: ordinario di Lingua e cultura araba alla LUISS, già docente di lingua e letteratura araba all’Università di Napoli “L’Orientale”. Incontra il Buddismo nel 1975. I suoi campi di interesse vanno dagli studi culturali alla storia e alla poesia. Ricercatrice dell’IOP svolge attività di ricerca e promuove dialoghi interculturali sui temi che riguardano le religioni, le donne e i diritti umani. Ha partecipato al simposio dell’IOP a Tokyo lo scorso marzo

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Francesca Corrao: ordinario di Lingua e cultura araba alla LUISS, già docente di lingua e letteratura araba all’Università di Napoli “L’Orientale”. Incontra il Buddismo nel 1975. I suoi campi di interesse vanno dagli studi culturali alla storia e alla poesia. Ricercatrice dell’IOP svolge attività di ricerca e promuove dialoghi interculturali sui temi che riguardano le religioni, le donne e i diritti umani. Ha partecipato al simposio dell’IOP a Tokyo lo scorso marzo

Docente universitaria e seguace del Buddismo di Nichiren Daishonin. Dato che il Buddismo non è separato dalla realtà della società, quali sono per te i punti di incontro fra questi due campi?
Non ero ancora all’università quando mi sono avvicinata al Buddismo. I miei si erano separati e questo aveva causato in me un dissesto interiore molto grave. Mia madre aveva cominciato a praticare e io, vedendo che lei stava meglio, mi sono incuriosita. Il Buddismo mi ha aiutato a crescere quando ancora non sapevo cosa “avrei fatto da grande”. Amavo viaggiare, ero affascinata dallo studio delle lingue e avevo un forte senso della giustizia; ero interessata alla politica anche se non sono mai stata un’attivista. Nel grande mare della sofferenza della società in cui viviamo mi sono orientata grazie al Buddismo; per me ha funzionato proprio come una bussola per un marinaio, o, per dirla con le parole di Nichiren, come una “lanterna nell’oscurità”. Niente è separato nella mia vita. È difficile essere sempre a ritmo con gli interessi personali, la famiglia e il lavoro, ma grazie al Buddismo sono sempre riuscita ad armonizzare tutto. Le sfide non finiscono mai e ogni volta si ricomincia da capo, ma l’esperienza pregressa è di grande aiuto: per orientarsi si afferra al volo la bussola del Daimoku. Un’altra sfida importante è stata combattere la mia arroganza legata al mondo di studio. Gli scritti del presidente Ikeda mi hanno educata alla filosofia della vita, ma è stato anche grazie all’attività svolta nella redazione di Buddismo e Società che ho sviluppato l’attenzione per i diritti umani, per l’educazione, per i diritti alla pace e sono riuscita a realizzarmi nel lavoro che faccio. I grandi ideali sono sempre connaturati con la vita quotidiana, con le persone che ci stanno più vicine.

Cos’è per te il pregiudizio?
Il pregiudizio rimanda alle “quattordici offese” [vedi RSND, 1, 669; DB, 617, n.d.r.], perché sovente si giudica senza considerare il punto di vista dell’altro, mentre stare in ascolto e avere la curiosità di osservare la ­realtà da una prospettiva diversa aiuta a vedere oltre. Anche se non condivido quello che dici possiamo andare nella stessa direzione per poter costruire una visione comune, ma se rimango arroccata sul mio punto di vista e non riesco ad ammettere che ce ne sia un altro, non vado da nessuna parte. Per raggiungere un obiettivo in due dobbiamo tenere conto della pluralità della realtà.

Da mediatrice fra il mondo arabo e il nostro, qual è il modo migliore per aprire un dialogo interreligioso?
È facile: basta avere lo stesso profondo rispetto per la dignità umana. Ci sono molti punti di contatto tra la mistica islamica e quella buddista. Il pensiero universale incontra la filosofia laica come le mistiche orientali, l’essenza dell’essere umano presenta elementi dell’etica che sono comuni in maniera trasversale. Basta leggere i dialoghi di Daisaku Ikeda con Majid Tehranian o con Michail Gorbaciov.

Durante gli incontri fra diverse religioni l’argomento più discusso è la questione legata all’etica. Possiamo aspirare a un’etica universalmente valida, da applicare su più fronti?
La cosa fondamentale è stabilire dialoghi su argomenti specifici. Non esiste nessuna religione che dica che sia morale uccidere. La dignità della vita è sacra e non si discute. Il problema è approfondire la ricerca per trovarsi d’accordo su dei casi particolarmente difficili, è l’unico modo per misurarsi sulle cose. A volte è difficile avere un punto d’incontro anche solo fra laici, ma per cominciare bisogna iniziare a discutere. Se partiamo dal presupposto che la vita è un valore assoluto è più facile per tutti ridurre il potenziale di violenza che regna nei rapporti umani, tanto per cominciare.

Applicare la fede nel lavoro: è possibile?
Questa è una domanda molto significativa. Qualche anno fa dovevamo fare un corso con alcuni ragazzi palestinesi, israeliani e italiani con lo scopo di far conoscere la cultura mediterranea: l’obiettivo era preparare uno spettacolo insieme. Con le lezioni frontali per loro era facile, poi, il pomeriggio, eccetto che ballare e cantare, non riuscivano a provare lo spettacolo insieme. Un regista aveva proposto una sceneggiatura in cui da una parte c’erano i buoni, le vittime, e dall’altra i cattivi, i carnefici. Nessuno, ovviamente, voleva fare la parte del cattivo. La soluzione del dilemma è venuta a un certo punto da alcune colleghe che avevo contattato per intervenire nel corso. Avevo messo insieme un’equipe mista di palestinesi e israeliani (anti arabi e pro arabi). Una docente ha fatto vedere uno spettacolo sulla Shoah ai giovani palestinesi che di fronte al dramma si sono immedesimati nella sofferenza degli ebrei. Poi è seguita la proiezione di un documentario israeliano che rievocava la vicenda di alcuni soldati israeliani che avevano ucciso alcuni palestinesi per rappresaglia: a quel punto sono stati coinvolti nella sofferenza “dell’altro” i giovani israeliani. La visione dei documentari e il dibattito avevano fatto emergere il fatto che la responsabilità era di pochi fanatici, il che però non li sollevava dal senso di disperazione e impotenza. A quel punto sono intervenuta tirando in ballo il quesito: «Che senso ha vivere senza speranza? Almeno a teatro possiamo provare a immedesimarci nella parte del cattivo, per afferrare il senso della sua azione». Li ho esortati a fare un percorso di dialogo per accostarci a una prospettiva diversa dalla nostra. Allora hanno capito che era importante mettersi nei panni dell’altro. Alla fine hanno deciso di abbandonare l’idea di mettere in scena la proposta del regista e hanno scelto una selezione di poesie che descrivevano il dolore, la gioia e la sofferenza da entrambe le parti, perché tali sentimenti sono uguali per tutti. Attraverso la finzione del teatro sono arrivati a percepire l’umanità del nemico che ora aveva un volto e sentimenti e non era più un uomo senza identità.

Vorresti dare qualche suggerimento a chi pratica il Buddismo del Daishonin e svolge un lavoro simile al tuo?
Approfondire gli scritti di Ikeda e desiderare di sperimentare sul campo la relazione con il maestro, cioè, agire sempre chiedendosi: «Stando a quanto spiega sensei, come posso fare mio l’insegnamento del mio maestro e agire di conseguenza?». Questo è quello che ho fatto con i ragazzi del corso, ho cercato di capire in pratica quanto avevo letto, ossia come applicare gli insegnamenti buddisti in quel contesto. Una volta capito l’obiettivo che mi ero preposta con i ragazzi, l’ho perseguito lottando contro l’incertezza, la sfiducia e lo scoraggiamento, proprio come ci insegna sensei.

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L’Istituto di Filosofia Orientale compie cinquant’anni

Nel 1962 Daisaku Ikeda fondava l’Istituto di Filosofia Orientale (The Institute of Oriental Philosophy, IOP) con lo scopo di promuovere gli studi sul Buddismo, le origini, l’evoluzione e il rapporto con i problemi attuali. Fanno parte dell’Istituto numerosi ricercatori esperti in diverse discipline che vanno dagli studi sul Buddismo a quelli sui diritti umani, l’ambiente, le donne, l’educazione, il dialogo tra le religioni. Ogni ricercatore promuove individualmente iniziative nel paese in cui opera: eventi, convegni, presentazioni e interviste. In Italia, l’IOP ha organizzato diverse conferenze sui temi della pace e del Buddismo all’Università di Napoli “L’Orientale” e recentemente ha promosso un convegno su “La traduzione come strumento di dialogo interculturale” al castello della Cuba di Palermo in collaborazione con l’Università di Palermo, l’Officina di Studi Medievali e la Fondazione Orestiadi. Quest’anno l’IOP inglese ha esposto a Taplow Court la mostra sul “Sutra del Loto”.
L’Istituto è situato al centro del campus dell’Università Soka di Tokyo e pubblica tre riviste (una in giapponese, una in inglese e una in entrambe le lingue) diffuse su scala mondiale in prestigiosi centri di ricerca. Yoichi Kawada ne è il direttore e Hirofumi Koseki il segretario generale. Annualmente si svolge un simposio a Tokyo in cui si incontrano i ricercatori che presentano le attività e le ricerche svolte nell’anno accademico. In quella occasione si svolge anche un convegno su un tema prestabilito. Quest’anno al centro dell’attenzione era l’attività di Gandhi e vi ha partecipato Lokesh Chandra, il direttore dell’International Academy of Indian Culture. Le sessioni dell’incontro vertevano inoltre sui seguenti temi: “La trasmissione del Buddismo da Shakyamuni a Kumarajiva”, “Myoho-renge-kyo, nel Buddismo di T’ien-t’ai e di Nichiren”, e “Verso la creazione di una civiltà globale”. In occasione dell’anniversario è stata inaugurata la mostra “Il Sutra del Loto – Un messaggio di pace e coesistenza armoniosa”.

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