Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
Nata due volte - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:36

521

Stampa

Nata due volte

Elisa Montuschi, Faenza (RA)

Nichiren insegna che lo stato di Buddità si raggiunge senza dover essere speciali o fare chissà quale mirabolante e impossibile azione: è sufficiente recitare Nam-myoho-renge-kyo con sincerità. La fragranza della Buddità avvolgeva quindi anche la mia di vita, seppur in bilico, ed esisteva anche nel mio corpo, seppur malato

Dimensione del testo AA

Nichiren insegna che lo stato di Buddità si raggiunge senza dover essere speciali o fare chissà quale mirabolante e impossibile azione: è sufficiente recitare Nam-myoho-renge-kyo con sincerità. La fragranza della Buddità avvolgeva quindi anche la mia di vita, seppur in bilico, ed esisteva anche nel mio corpo, seppur malato

Ho conosciuto il Buddismo nell’estate del 2001. Dopo poco tempo di pratica i benefici non tardarono ad arrivare: osservavo il mondo con occhi diversi e più consapevoli. Ero felice, talmente tanto che desideravo che tutto rimanesse immutato nel tempo!
All’inizio del 2002 feci una visita ortopedica, perché sentivo un piccolo bozzo dolorante, in prossimità delle costole fratturate precedentemente. Appena il medico mi visitò, capii che si trattava di qualcosa di serio. Mi prescrisse esami urgenti e con l’arrivo del referto la mia vita cambiò profondamente: si trattava di una rara forma di tumore osseo.
Il 9 gennaio entrò in ospedale a Milano una ragazza di venti anni, con la vita e le speranze della giovinezza davanti; il 24 gennaio ne uscì una ragazza malata di cancro e negli occhi solo la paura di morire.
La massa tumorale era estesa e virulenta e nessuno dei medici osava parlarmi di guarigione; il piano di cure prevedeva quattro mesi di chemioterapia, l’intervento chirurgico con l’asportazione della zona interessata dalla patologia, la ricostruzione della cassa toracica, altri sette mesi di chemio e infine la radioterapia.
Quel primo mese fu indescrivibilmente drammatico: la realtà della malattia mi travolse, lasciai la mia vita quotidiana per entrare in un universo fatto di ospedali, chemioterapia e tanti malati intorno a me. Ero completamente inerme, immobile davanti alla mia vita che mi stava sfuggendo dalle mani: ogni muscolo del mio corpo era dolente, ogni sapore mi era sconosciuto, tutto mi affaticava, i capelli e le ciglia cadevano freneticamente, il mio corpo era torturato, spogliato, vinto. Non avevo più un’ombra, un piccolo ciuffo di capelli dietro al quale nascondermi, l’albero della mia vita era completamente senza foglie e senza fronde. Ero nuda, sola con la mia malattia e la mia paura di morire.
Le giornate trascorrevano interminabili e nei momenti di minor stanchezza ripresi le letture del Gosho e di alcuni testi buddisti. Mi imbattei in una frase che, col senno di poi, posso sicuramente affermare mi salvò la vita: «Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?» (Felicità in questo mondo, RSND, 1, 607).
Perché non avevo recitato un solo Nam-myoho-renge-kyo dal momento del ricovero? Chiamai subito la responsabile del gruppo che avevo frequentato, trovai le forze per andare a una riunione dove venni accolta con affetto e per la prima volta dopo due interminabili mesi di buio vidi dentro di me una fioca luce. A marzo del 2002 iniziò la mia battaglia.
Iniziai a praticare con costanza e determinazione. Mi sforzavo di imparare Gongyo e recitavo Daimoku con tanta convinzione come se avessi dovuto «accendere il fuoco con legna bagnata» (RSND, 1, 395). Nei momenti in cui non mi sentivo bene i miei compagni buddisti erano al mio fianco e recitavano insieme a me.
Avevo capito che se fossi rimasta chiusa nel mio “piccolo” dolore non avrei mai attivato la mia Buddità; non potevo aspettarmi che dall’esterno arrivasse una soluzione, doveva partire da dentro di me. Nichiren insegna che lo stato di Buddità si raggiunge senza dover essere speciali o fare chissà quale mirabolante e impossibile azione: è sufficiente recitare Nam-myoho-renge-kyo con sincerità. La fragranza della Buddità avvolgeva quindi anche la mia di vita, seppur in bilico, ed esisteva anche nel mio corpo, seppur malato.
Arrivò il 16 marzo, Giorno di kosen-rufu, il primo a cui partecipai. Questo giorno coincide per noi giovani con la nostra decisione quotidiana di vincere, cioè di scegliere il coraggio invece della paura, la fede invece della sfiducia. Io decisi: volevo guarire. Attraverso la mia prova concreta volevo trasmettere coraggio alle persone che mi circondavano e diffondere nella società i valori del Buddismo.
Era incredibile, nel momento di maggiore sofferenza io sperimentavo quella che il Buddismo chiama la felicità assoluta, una felicità che nasceva da me, indipendente da qualsiasi circostanza esterna: aprire gli occhi la mattina e osservare il mondo così bello, che mi avvolgeva nella sua luce era per me una gioia infinita. Questa era per me la Buddità.
In poco tempo la massa tumorale si ridusse, il mio corpo stava reagendo con successo alla chemio e contrastavo la spossatezza e l’inappetenza per mezzo del Daimoku. I medici erano sorpresi della mia risposta positiva ai trattamenti e rimasero esterrefatti quando mi videro mangiare una pizza durante un ricovero. Non volevo cedere alla malattia, né tantomeno al riso in bianco dell’ospedale!
Conobbi molti ragazzi malati di tumore, a ognuno lasciavo un incoraggiamento di Nichiren o leggevo un passo buddista. Divenni ben presto la mascotte del reparto, tutti sapevano che praticavo questo Buddismo e riconoscevano in me una grande forza e uno stato vitale altissimo.
Arrivò il giorno dell’intervento. I miei compagni di fede avevano organizzato una recitazione di Daimoku dalla mattina fino al momento del mio risveglio. Iniziai a recitare Daimoku alle prime luci dell’alba, sapevo che era un giorno importante e volevo che ogni piccola cellula malata fosse estirpata dal mio corpo. Mi addormentai ancor prima che mi facessero l’anestesia e mi risvegliai col sorriso di mia madre che mi osservava attraverso il vetro della camera sterile comunicandomi che tutto era andato bene. La massa tumorale aveva intaccato ossa e parti molli, ma il polmone era salvo! Dall’esame istologico, con grande stupore di tutti i medici, risultò non più quella patologia mortale e virulenta che mi era stata diagnosticata inizialmente, ma un tumore maggiormente circoscritto, meno soggetto a metastasi e perciò meno pericoloso. Ero certa che il mio Daimoku aveva risvegliato quell’immensa forza vitale sopita dentro di me e che ogni mia cellula aveva risposto a questo richiamo di vita.
Da lì vidi il mio percorso in discesa: la fase post-operatoria fu molto delicata, la riabilitazione altrettanto dura, ma dentro di me avevo già vinto e una calda mattina di luglio mi annunciarono che i miei trattamenti chemioterapici erano terminati, con ben quattro mesi di anticipo!
A settembre sostenni un esame all’università, che passai con trenta e lode, e a dicembre terminai anche la radioterapia. I miei capelli ricrescevano e con essi la mia speranza per il futuro: avevo tanti sogni da realizzare, primo fra tutti diventare membro della Soka Gakkai.
A dicembre del 2003 ricevetti il Gohonzon, da quel momento in poi la pratica e l’attività hanno scandito ogni passaggio significativo della mia vita: alla responsabilità di gruppo è coincisa la laurea; a quella di settore l’ammissione alla scuola di specializzazione per l’insegnamento e infine con la responsabilità di capitolo è arrivata l’immissione in ruolo per l’insegnamento di Lettere. Mi sono sottoposta a continui controlli, inizialmente molto ravvicinati e infine annuali, ma ho affrontato ogni singolo ostacolo e ogni più piccola paura a suon di Daimoku.
Quest’anno, pochi giorni prima del 16 marzo, ho avuto l’ultimo controllo. Nell’attesa del referto ho riletto una pagina in cui descrivevo come volevo che fosse la mia vita dopo dieci anni: la scrissi in occasione di quel mio primo 16 marzo, quando, lottando per la vita, non sapevo quanto tempo avevo ancora davanti. Tuttavia, con grande commozione, ho riscontrato che quella ragazzina che lottava per vivere aveva sì sognato in grande, ma che la sua vita ora è addirittura migliore e inaspettatamente più bella di quanto potesse mai desiderare allora.
L’esito del controllo è andato bene e ho dedicato il mio traguardo al mio maestro, il presidente Ikeda, ai miei compagni di fede e a tutti i miei cari, determinando di raccontare a quante più persone possibili la mia esperienza, perché sia di aiuto a chiunque stia lottando contro una sofferenza piccola o grande che sia.
Ho imparato molte cose dalla vita, alcune avrei preferito impararle guardando film strappalacrime o leggendo biografie altrui, ma non mi è stata data la facoltà di scegliere: ero io il film, ero io il libro.
Ho imparato che la vita è un luogo senza strade tracciate. Non esistono mappe che possano condurci a una meta risparmiandoci le difficoltà.
Ho imparato che la pratica buddista ci permette di affrontare le tempeste della vita uscendone migliori e più felici di prima e che, con una preghiera forte e sincera, le cose negative possono trasformarsi in positive e l’impossibile in possibile.
Ho imparato che attraversare il mare della sofferenza, da un punto di vista buddista, non significa semplicemente sopravvivere a quelle tempeste, ma uscirne preparati ad affrontarne di peggiori, con maggior fiducia in se stessi e nella propria nave, perché la vita è anche le sue tempeste e persino in quelle circostanze si può gioire dell’esistenza.
Ho capito che ho avuto un dono unico. Quello della vita. Due volte.
Ma avrò una morte sola, come tutti. E non sarà per questa malattia.

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata