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Nascita: mistero, casualità o causalità? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:35

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Nascita: mistero, casualità o causalità?

Attualmente la scienza non è in grado di spiegare fino in fondo il fenomeno della nascita in tutti i suoi aspetti. Il Buddismo offre alcuni spunti per rispondere a domande ancora senza risposta

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Attualmente la scienza non è in grado di spiegare fino in fondo il fenomeno della nascita in tutti i suoi aspetti. Il Buddismo offre alcuni spunti per rispondere a domande ancora senza risposta

In principio era il cavolo. Poi venne la cicogna. Eppure c’era qualcosa di simpatico in quelle favoline con cui gli imbarazzati genitori dei tempi passati cercavano di rispondere alle prime timide domande dei figli sulla propria origine. C’era un senso di unità, di collaborazione dell’uomo con la natura, del regno umano con quello animale e vegetale. L’idea di trovare un bambino improvvisamente nell’orto una mattina, morbidamente adagiato sotto la foglia di un cavolo comunicava l’importanza della terra nel sostentare la vita umana. E una cicogna, bell’animale noto per la particolare cura che dedica alla propria prole, che arriva in volo con un fagottino nel becco destinato a due esseri umani perché lo allevino con altrettanto amore e dedizione, rendeva l’idea che un figlio è un dono della vita, qualcosa di prezioso, che viene da lontano, non un manufatto o una proprietà ma un piccolo ospite che ci viene affidato perché lo aiutiamo a crescere finché non è pronto a spiccare il volo.
Quest’armonia cosmica si perde un po’ nell’arida spiegazione scientifica che va di moda oggigiorno, corredata da tante belle immagini e fumetti colorati e magari affidata al supporto di un video, CD o DVD, tanto simile alla televisione che non richiede nemmeno ai piccoli fruitori di riflettere, di porsi ulteriori domande, ma di accettare supinamente, perché lì c’è già tutto, c’è già la spiegazione. Eppure anche “la” spiegazione scientifica così completa poi non è. I bambini nascono dall’unione dello spermatozoo del papà, un semino con la coda, e dell’ovulo della mamma, simile all’uovo “alla coque” in cui s’inzuppa il pane, grazie a una “mistica” unione – mistica per il bambino finché all’età acconcia qualche amichetto non gli fa vedere come si fa – detta rapporto sessuale. E in quel rapporto i genitori mettono in comune una parte dei rispettivi corredi genetici, le informazioni che determinano la loro individualità umana, sesso, aspetto fisico, tendenze della personalità, malattie potenziali, ecc. Per dare origine a un altro essere umano che è una combinazione del tutto nuova e unica di quegli stessi mattoncini componenti. «Completa un corno! – penserà il bambino vispo -– Come avviene la scelta di questi mattoncini nel deposito dei genitori? Perché il mio amico Marco è grasso e aggressivo e suo fratello Piero così magro e tranquillo? E, ancor più strano, perché le mie due amiche Sara e Giovanna che hanno la stessa età, si assomigliano come gocce d’acqua e si vestono nello stesso modo, hanno due caratteri così diversi, tanto che basta conoscerle per distinguerle?». E forse da grande lo stesso bambino sarà costretto a chiedersi: «Perché io e la mia compagna che ci amiamo tanto, abbiamo un bel lavoro, tanti soldi, una bella casa e niente che non vada a livello fisico non riusciamo ad avere figli mentre la moglie del nostro vicino, a dispetto dei molteplici problemi economici e delle frequenti liti, è incinta un anno sì e l’altro no?». Forse perché non guardano la TV… E anche la spiegazione della scienza non è molto migliore. Al primo quesito risponde che la scelta del particolare gruppo di geni trasmessi a un bambino avviene in modo “casuale” e per quanto riguarda le cause della sterilità, nonostante i progressi della medicina, rimangono ancora tante domande senza risposta.
Anche per il Buddismo l’essere umano è «concepito dai fluidi maschile e femminile» (Lettera da Sado, SND, 4, 77). Ma c’è di più.
Fermiamoci a considerare per un istante la nascita in senso lato, cioè come accade un qualsiasi fatto della vita, anche il più semplice. Secondo il Buddismo qualsiasi fenomeno deriva sempre dall’unione di una causa interna con una causa esterna. In altre parole se ho sete (causa interna), quando incontrerò un bar (causa esterna) mi prenderò una bibita. O, se sono portato ad angosciarmi (causa interna), quando incontrerò un evento frustrante (causa esterna) reagirò scoraggiandomi e lamentandomi. Anche per il fenomeno della nascita di un bambino dunque occorre una causa interna e una causa esterna o condizione.
In un dialogo con il medico Koji Yakabi, Daisaku Ikeda spiega: «Quando un bambino viene concepito e nasce, il suo karma personale passato è considerato la causa, mentre i genitori che sceglie secondo quel karma sono la condizione. Un essere umano nasce dall’unione di causa e condizione […] Dal punto di vista del Buddismo, la nascita di un essere umano avviene tramite l’unione di cause interne, che esistono nella vita, con le condizioni esterne appropriate».
Secondo il Buddismo la vita è eterna. Quando moriamo la nostra esistenza non scompare nel nulla ma semplicemente recede da una condizione manifesta a una di “latenza” in attesa delle condizioni appropriate per rimanifestarsi, che altro non sono che le condizioni karmiche di due genitori che si accordano con le proprie.
Dunque gli “ingredienti” per generare un bambino per il Buddismo sono tre: un’esistenza individuale nello stato di latenza che, in virtù del karma immagazzinato nella propria ottava coscienza (alaya) sceglie due genitori, selezionando da essi quelle informazioni genetiche che si accordano con il proprio karma. Così si spiega come da genitori uguali nascano figli a volte molto diversi fra loro. E ci viene fornito qualche lume in più anche sulle cause della sterilità. Secondo il Buddismo oltre a motivi fisiologici vi possono essere anche cause karmiche. Nello Yugashiji ron vengono citate tre cause che impediscono il concepimento: 1) disordini e malattie dell’utero; 2) disordini e malattie del seme; 3) disordini e malattie del karma. Quest’ultima causa significa che «il padre o la madre non hanno creato o approfondito il karma per avere figli, oppure che entrambi i genitori non hanno un karma tale da attrarre figli, o ancora significa che l’esistenza intermedia non ha creato o approfondito il karma per attrarre dei genitori» (vedi DuemilaUno, n. 5, pag. 24). Per curare quest’ultimo problema gli aspiranti genitori devono trasformare il proprio karma in modo da poter stabilire un legame fra la loro vita e l’esistenza ancora in fase latente.
Ci sono innumerevoli esperienze di coppie che apparentemente non riuscivano ad avere figli e, dopo un periodo più o meno lungo di pratica assidua, hanno realizzato il proprio desiderio. Sembra tutto molto mistico. Ma Nam-myoho-renge-kyo non è una magia; è un modo per trasformare concretamente la nostra vita, attingendo alla saggezza del Budda che esiste dentro di noi e applicandola nelle azioni quotidiane, accumulando così maggiore fortuna.
Darina Lasova, ora madre di una bellissima bambina di un anno e mezzo racconta: «Dopo il matrimonio desideravamo un figlio ma non veniva. A quell’epoca svolgevo un lavoro che gratificava molto le mie ambizioni di carriera ma era molto stressante e mi teneva spesso in giro per l’Italia. Recitando Daimoku e chiedendo un consiglio sulla fede capii che cosa mancava, cosa non piaceva al bimbo: voleva le condizioni ottimali, la casa nuova, il suo bagnetto, e una mamma tranquilla. Così come altre volte nella mia vita ho provato a rinunciare a un mio attaccamento, in questo caso, quello alla carriera a tutti i costi. Ho cercato di trasformare la mia situazione lavorativa in modo da poter fare una vita più tranquilla e, a forza di Daimoku, ci sono riuscita. Fra l’altro la mia rinuncia è stata solo apparente perché la nuova soluzione di lavoro si è rivelata addirittura migliore di quella precedente. E al bambino, anzi alla bambina, deve essere piaciuta perché un mese dopo ero già in attesa».
A volte non è così semplice ma la trasformazione del karma, quando c’è un forte Daimoku e una sincera dedizione alla felicità degli altri avviene sempre. Come spiega molto semplicemente ma altrettanto inequivocabilmente Nichiren Daishonin ne Le spade del bene e del male: «Tu mantieniti saldo nella fede e realizzerai i tuoi desideri» (SND, 4, 199).
Come si nasce è un argomento che suscita infinite domande. Per esempio: «Quando esiste o si è creata questa affinità fra il karma dei genitori e quello del bambino, come avviene il passaggio dalla fase latente alla fase della nascita?». Anche su questo le antiche scritture buddiste hanno molto da dire e per chi voglia approfondire l’argomento alcuni spunti interessanti si possono trovare nel già citato articolo di DuemilaUno e ne La vita mistero prezioso di Daisaku Ikeda, edito dall’Esperia.
Ma, ancora un’ultima riflessione. La vita secondo il Buddismo è eterna.
Ora siamo giovani o adulti o anziani, alcuni di noi sono genitori o aspiranti tali, altri possono aver scelto altrettanto legittimamente di dedicare la propria vita agli altri in modo diverso e quindi di non aver figli. Però tutti, ma proprio tutti, prima o poi moriremo e torneremo a rinascere, a essere nuovamente figli. A questo proposito può essere interessante riflettere sulle parole di Nichiren Daishonin su cosa accade a chi muore avendo stabilito la condizione vitale di Buddità dentro di sé.
«In accordo con il vero intento di tutti i Budda delle tre esistenze egli riceve la protezione dei due saggi, delle due divinità celesti e delle dieci figlie del demone e senza alcun impedimento ottiene la rinascita di tipo superiore nella Terra della luce Tranquilla. Allora, nello spazio di un istante, egli ritorna al sogno di nascita e morte nei nove mondi, riempiendo i mondi delle dieci direzioni con il suo corpo e permeando i corpi di tutti gli esseri senzienti con la sua mente. Sollecitato dall’interno e attirato dall’esterno, in corrispondenza dell’unione delle cause interne e delle condizioni esterne [nasce nuovamente nel mondo] dove usa liberamente i mistici poteri derivanti dalla sua compassione per portare beneficio a tutti gli esseri viventi» (Gli insegnamenti finali confermati da tutti i Budda, GZ, 574).
Rinascere nello spazio di un istante. Per quanto ovviamente si parli di un tempo soggettivo – ma quale tempo non lo è – significa quasi non morire nemmeno. E qual è la grande energia vitale che quasi costringe un Bodhisattva o un Budda a tornare immediatamente nel mondo e ricominciare a darsi da fare?
È la stessa energia, spiega Daisaku Ikeda ne La saggezza del Sutra del Loto, che si manifesta nella luce del sole e della luna, nella respirazione delle piante e degli alberi: la compassione. «L’intero universo è una grande entità vivente che compie atti di compassione dal passato senza inizio all’eterno futuro» (Saggezza, 3, 175). E nel Jihi-ron Josei Toda scrive che «l’universo stesso è compassione». Più grande è la nostra compassione, la consapevolezza vitale del nodo indissolubile che ci lega al mondo, più grande è la nostra energia e per chi muore nello stato di Buddità quest’energia è immensa come quella dell’universo. Perciò non può evitare di rinascere immediatamente. Un buon motivo per decidere, soprattutto nei momenti in cui continuare è difficile, di recitare Daimoku fino all’ultimo istante della propria vita.

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