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Mio padre, un rapporto ritrovato - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:50

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    Mio padre, un rapporto ritrovato

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    Nel Gosho di Capodanno si legge: «Per prima cosa alla domanda di dove si trovino l’inferno e il Budda, alcuni sutra affermano che l’inferno si trova sotto terra, altri che il Budda risiede a occidente. Ma a un attento esame, risulta che entrambi esistono nel nostro corpo alto cinque piedi. La ragione per cui penso così è che l’inferno esiste nel cuore di chi disprezza suo padre e non si cura di sua madre. È come il seme del loto che contiene al tempo stesso il fiore e il frutto. Anche il Budda esiste nei nostri cuori, così come dentro la pietra focaia esiste il fuoco e dentro la gemma esiste il valore. Noi comuni mortali non possiamo vedere le nostre ciglia che sono vicine né il cielo che è lontano. Ugualmente non sappiamo che il Budda esiste nel nostro cuore» (SND, 4, 271).
    Ho cominciato a praticare nel dicembre del 1990 e i miei primi benefici furono un lavoro che mi permetteva di guadagnare di più e una casa a Firenze. Quando ho iniziato vivevo a Prato e per realizzare tali obiettivi avevo deciso di fare trenta minuti di Daimoku, imparare Gongyo e partecipare alle periodiche riunioni di discussione; mi alzavo alle quattro per essere alle sei sul posto di lavoro. Questa mia determinazione nel febbraio del 1991 mi permise di conoscere, a una festa di compleanno, un ragazzo che stava cercando una persona con cui condividere l’appartamento. Nei mesi successivi ho combattuto contro la mia pigrizia dandomi da fare, facendo colloqui e inviando curriculum, fino a che in agosto trovai lavoro in una pizzeria dove lo stipendio era il doppio del lavoro precedente.
    Per quanto riguardava il mio ambiente familiare vi scoprii tanta sofferenza: mia madre e mio padre litigavano sempre mentre io ero totalmente chiuso nel mio ego che quando tornavo a casa dal lavoro, scaricavo tutto il mio nervosismo su mia madre; la odiavo perché pretendeva di dirmi sempre cosa dovevo fare: non aveva alcuna fiducia in me. Con mio padre invece non c’era mai stata una vera relazione da genitore a figlio, poiché, a causa dell’epilessia che lo tormentava, si era completamente lasciato andare.
    Mi accompagnavano le parole del Gosho I tre tipi di tesori: «Ma è meglio vivere un solo giorno con onore piuttosto che morire a centoventi anni in disgrazia. Questo è importante! Vivi in modo che tutte le persone di Kamakura lodino Shijo Kingo per la devozione al suo signore, al Buddismo e per la bontà d’animo verso gli altri. Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo, e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore. Dal momento in cui leggerai questa lettera sforzati di accumulare i tesori del cuore» (SND, 4, 177). Ho cominciato quindi a recitare Daimoku per creare una famiglia armoniosa, per trasformare la sofferenza provocata dai litigi con il desiderio che mia madre cominciasse a praticare, a sviluppare lo spirito di gratitudine verso i miei genitori per avermi messo al mondo, soprattutto per non avermi mai ostacolato nella pratica. Aumentai la recitazione del Daimoku e decisi anche di ricevere il Gohonzon. Nel 1994 Ikeda sarebbe venuto in Italia e io detti il meglio di me partecipando al coro. Chiarii tutti i miei obiettivi in concomitanza con la visita di Ikeda, e un primo fondamentale effetto manifesto fu che la sofferenza per il nodo familiare sparì. Finalmente in aprile ricevetti il Gohonzon, sentii come se avessi la mia vita fra le mani!
    Piano piano il rapporto con mia madre cambiò così tanto da diventare una bella amicizia. Continuai a lavorare sulle insicurezze interiori, fino a quando nel 1998 cominciai a “seguire” un gruppo, occasione che mi è servita per approfondire e trasformare le mie debolezze, relazionandomi con gli altri.
    Nell’agosto 2000, appena tornato a casa dal lavoro, ricevetti una telefonata di mia sorella: mio padre era stato ricoverato all’ospedale per un ictus. Non ebbi un attimo di esitazione: pregai il Gohonzon per la sua felicità, ora dovevo abbattere il muro che mi separava da lui; dopo la prima, necessaria azione di recitare Daimoku, dovevo fare il secondo passo: instaurare un dialogo, ma come fare? Cosa dirgli? Nuovamente l’insicurezza e la paura stavano riemergendo e percepii chiaramente che mi stavo affidando a qualcosa di esterno e non al Gohonzon. Pregai ancora, e ringraziai il Gohonzon, sia perché potevo cambiare questo atteggiamento, sia perché questa era l’occasione che stavo aspettando per abbattere il muro tra me e mio padre. Dietro la collina di questa sofferenza c’era l’opportunità per crescere e di fortificare la mia fiducia nella Legge mistica. Quante volte si sentono dire queste parole… Eppure fu proprio così: dopo due ore di Daimoku decisi di a mio padre una copia della Rivoluzione umana sulla quale avevo scritto la frase di Gosho: «Quando qualcuno abbraccia questo mandala, tutti i Budda e gli dèi si raduneranno intorno a lui accompagnandolo come un’ombra e proteggendolo notte e giorno, come i guerrieri proteggono il loro signore, come i genitori amano i loro figli, come i pesci dipendono dall’acqua. Nam-myoho-renge kyo-è la benefica medicina per tutte le malattie» (Avere fede nel Gohonzon, SND, 7, 245). E aggiunsi: «Per favore abbi cura della tua vita, ti voglio bene. Leo».
    La sera stessa seppi che fortunatamente l’ictus si era rivelato essere un’ischemia celebrale, una forma più leggera della malattia diagnosticata, così ringraziai ancora una volta il Gohonzon.
    Il giorno dopo avevo paura perché non sapevo come affrontare il dialogo. Decisi che sarei stato me stesso; gli chiesi come stava, cosa aveva mangiato, gli diedi il libro e alla fine lo salutai. Cose normali. Dopo quella visita, con mia grande sorpresa, mi chiamò a casa; infatti da lì sbocciò un rapporto diverso, più intenso, tanto che ci sentivamo tutti i giorni. In cuor mio desideravo che praticasse.
    Nel 2000 gli diagnosticarono un tumore ma, per una decisione familiare condivisa, non gli dicemmo niente per evitare ripercussioni psicologiche, data la fragilità che gli comportava l’epilessia. I medici non ci avevano dato molte speranze, nel diagnosticare una prospettiva di vita non oltre il 2001; inoltre il tipo di tumore avrebbe comportato sofferenze e come in molti casi una cura chemioterapica molto forte.
    Il mio obiettivo era semplice: non solo non doveva soffrire, ma doveva vivere la sua malattia tranquillamente, lasciandoci come se dormisse serenamente. Fu con stupore che dopo i primi mesi i medici constatarono che mio padre non aveva dolori e che la chemioterapia non aveva su di lui effetti collaterali. Era cambiato ancora più profondamente il mio rapporto con lui, lo accompagnavo a ogni terapia, a ogni visita, recitavo Daimoku e studiavo il Buddismo in ogni occasione e un pomeriggio, insieme a mia madre, sono riuscito anche recitare cinque minuti di Daimoku con lui. Insieme abbiamo partecipato anche a qualche riunione di discussione.
    Nel 2003 la situazione si aggravò ulteriormente, per cui tornai ad abitare con i miei genitori anche per sostenere mia madre. Ho imparato ad accudire mio padre da ogni punto di vista, e ho continuato a recitare Daimoku per lui e accanto a lui anche quando è entrato in coma perché avevo notato che era l’unica cosa che lo tranquillizzava. Ne I misteri di nascita e morte si legge: «Se i parenti e gli amici continuano a recitare Nam-myoho-renge-kyo anche in seguito alla morte clinica, il morente viene aiutato ad attraversare serenamente il processo del morire. Al momento della morte le cinque componenti della vita entrano in fase di latenza e vengono riassorbite nella sfera della nona coscienza.
    Ascoltando la recitazione del Daimoku la vita del defunto comincia il suo cammino verso la Pura Terra del Picco dell’Aquila» (esperia, 1999, pag. 103). La mattina del 25 febbraio 2004 è deceduto nel sonno, mentre stavo facendo Gongyo e mi sono immaginato mio padre accompagnato dai Budda attraversare un prato di petali di rosa per raggiungere il Picco dell’Aquila. Il suo volto era completamente sereno e rilassato, dimostrava dieci anni in meno di quelli che in realtà aveva. Ho vissuto tutto questo periodo sostenendo i miei cari e arrivando a percepire molta unità e armonia nella mia famiglia. Ci furono ostacoli anche per la cerimonia di sepoltura legati al maltempo, ma ricordo una battuta di mia sorella che aveva controllato le previsioni del tempo sul computer: «La tua determinazione è cosi forte che addirittura hai fatto spostare la perturbazione!»

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