Il Buddismo fonde in un’unica categoria le malattie apparentemente causate da elementi esterni, che comprendono non solo i virus e i vari microorganismi patogeni ma anche l’inquinamento ambientale, i pesticidi e le modificazioni climatiche
L’attacco dei demoni esterni, o “spiriti maligni”, come li chiama Nichiren Daishonin nel Gosho La cura delle malattie karmiche, appartiene a una delle sei cause di malattia descritte dal maestro cinese T’ien-t’ai nel Maka shikan (vedi SND, 4, 85-86). In termini moderni si potrebbe riferire alle malattie provocate da agenti esterni quali virus, batteri, inquinanti ambientali, radiazioni ionizzanti ecc.
Il termine “demone” rappresenta, secondo il Buddismo, una qualsiasi condizione negativa esterna o interna all’individuo che ostacola una trasformazione vitale in senso positivo. Il termine sanscrito mara, che letteralmente significa “demone” ma anche “morte” o “che uccide”, veniva infatti tradotto in cinese come “distruttore” o “ladro di vita”.
Secondo T’ien-t’ai i “demoni esterni” rientrano in una categoria più ampia di malattie, quelle che derivano dalla disarmonia dei quattro elementi. Per capire come mai i demoni esterni attaccano la vita degli esseri viventi e quali sono le condizioni che predispongono a essere attaccati, occorre capire cos’è la disarmonia dei quattro elementi.
I quattro elementi, rappresentati da terra, acqua, fuoco e vento, sono i “mattoni” fondamentali della vita nell’universo, non solo dell’essere umano ma anche dell’ambiente in cui vive. La terra non rappresenta soltanto l’elemento costitutivo delle montagne ma anche delle ossa, dei denti e dei capelli, così come l’acqua non si riferisce soltanto ai fiumi e ai mari ma anche al sangue e ai liquidi biologici. Il fuoco erutta dal centro della terra attraverso i vulcani ma simboleggia anche la temperatura corporea e i processi digestivi, e infine il vento non è soltanto aria, ma anche metabolismo e respirazione. La vita dell’essere vivente e il suo ambiente sono due entità inseparabili che, per questo, si influenzano a vicenda. Una disarmonia dei quattro elementi nell’ambiente esterno può generare un’analoga disarmonia dei quattro elementi che costituiscono la vita dell’essere vivente, rendendo quest’ultimo suscettibile all’attacco dei demoni esterni. Emerge così l’enorme importanza di mantenere, o ricreare quando è stato perduto, quell’equilibrio ambientale in grado di garantire il benessere a ogni forma di vita.
Nel Maka shikan, T’ien-t’ai identifica anche un’altra causa responsabile dell’attacco dei demoni esterni: i pensieri malvagi. «Quando i demoni penetrano nei quattro elementi e nei cinque organi interni e causano una malattia, questa malattia è chiamata demoniaca. Comunque, i demoni non tormentano gli esseri umani senza una ragione. I demoni entrano in azione quando le persone nutrono cattivi pensieri [desideri terreni e illusioni] nella loro mente» (Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, Esperia, pagg. 81-82). Dunque anche la condizione spirituale degli esseri umani è in rapporto con l’insorgere di malattie apparentemente causate da fattori esterni. T’ien-t’ai sta affermando che quando sorgono interiormente pensieri o desideri negativi, i demoni vengono “attratti” dall’esterno.
I desideri hanno un ruolo di primo piano nelle continue modificazioni della nostra mente. A prima vista dovrebbero rappresentare un motore per il progresso dell’uomo. Desiderare qualcosa significa impegnarsi, sviluppare capacità nuove, migliorarsi per ottenere il risultato desiderato. Esistono però diversi modi di desiderare. Se l’oggetto del desiderio diventa la cosa senza la quale non potremo mai essere felici, ecco che un desiderio può trasformarsi in illusione. Questo accade spesso quando la vita dell’essere umano è dominata da uno dei tre veleni di cui parla il Buddismo: Collera, Stupidità e Avidità. Facciamo un esempio. Un desiderio che nasce dal mondo di Avidità appare come qualcosa che si deve realizzare immediatamente e a tutti i costi per essere felici. Spesso, una volta ottenuto il risultato tanto agognato, ci si rende conto che c’è già un altro desiderio che incombe, perché la realizzazione di quello passato non è bastata a soddisfarci, e poi un altro ancora, in una spirale senza fine. E altrettanto distruttivi sono i desideri che nascono dalle altre condizioni vitali inferiori, come i desideri “animaleschi” che chiedono di essere soddisfatti istintivamente, senza lasciar spazio a una riflessione razionale o quelli “collerici” animati dalla volontà di sopraffare gli altri. Elevando la propria condizione vitale tramite la pratica buddista i desideri diventano “legna” per la nostra Illuminazione. Ci spingono a recitare Daimoku e in questo processo si purificano: da causa di turbamento e squilibrio interiore che predispone a essere più soggetti alle malattie diventano stimoli per costruire un’esistenza sempre più ricca e creativa per se stessi e per gli altri.
Va tenuto presente infine un punto che riguarda specificamente chi pratica il Sutra del Loto.
I “cattivi pensieri” di cui parla T’ien-t’ai comprendono anche, la mancanza di rispetto, l’odio, la gelosia e il rancore verso i propri compagni di fede, frutto sempre e comunque dei tre veleni. Ne parla Nichiren Daishonin nel Gosho Le quattordici offese in cui traccia un legame fra queste quattro offese e una malattia infettiva comune a quell’epoca come la lebbra: «[Se uno vede una persona che abbraccia questo sutra e cerca di denunciarne le colpe, sarà colpito in questa esistenza dalla lebbra bianca], che dica la verità o no» (SND, 5, 174).
Ma cosa si può fare in pratica di fronte all’attacco dei demoni esterni, specialmente quando hanno già dato segni tangibili della loro presenza, sotto forma di una malattia che ci ha colpito? Nichiren Daishonin scrisse alla moglie di Toki Jonin: «Ora anche tu sei ammalata e per te, come donna, è il momento di cercare di credere nel Sutra del Loto. Inoltre puoi andare da Shijo Kingo che non solo è un medico eccellente, ma è anche un devoto del Sutra del Loto» (SND, 4, 89). In altre parole, le consiglia di approfondire la fede ma anche di affidarsi alle cure di un bravo medico.
Agire, cioè utilizzare tutte le possibilità di cura a propria disposizione, è ovviamente indispensabile. E altrettanto determinante è l’atteggiamento interiore. Secondo Daisaku Ikeda la strada per vincere sulla malattia è quella di costruire un io forte e compassionevole: «Il Buddismo considera la malattia come un’occasione per ottenere una condizione di vita più alta e più forte. Insegna a utilizzare la sofferenza come un mezzo per costruire una personalità più compassionevole, superando la disperazione e la paura di non guarire. In questo modo è possibile costruire una vita degna di valore» (DuemilaUno, n. 83, pag. 14). Il filosofo svizzero Karl Hilti afferma: «Come un fiume che straripando smuove il terreno e nutre i campi, allo stesso modo la malattia arricchisce il nostro cuore. Chi si sforza di comprendere le cause del proprio male e di superarlo riuscirà a conquistare una grande forza vitale e una profonda consapevolezza» (Ibidem).
La malattia può quindi diventare una grossa occasione di impegnarsi a fondo per trasformare se stessi e migliorare la propria vita; con questo tipo di disposizione d’animo anche le terapie diventano più efficaci e le possibilità di guarire aumentano.
Si deve lottare facendo emergere e rafforzando tutti gli aspetti “più sani” di noi, ricordando che non tutto il nostro corpo è ammalato, ma che esistono anche delle parti sane che potremo sfruttare nella lotta per la guarigione. Ecco che allora costruire un io forte equivale a rafforzare ogni componente sana della nostra vita sia in ambito intellettivo che emotivo, affettivo o fisico. Costruire un io forte equivale ad attivare il potere di myo.
Questo carattere contiene in sé tutta l’energia necessaria a far sgorgare la Buddità da dentro di noi, a far emergere il potere di autoguarigione insito nella vita di ogni individuo, a far trionfare le parti del nostro corpo sane su quelle ammalate, e tutto questo perché myo racchiude in sé tre proprietà: rinascita (ovvero il creare dal nulla), apertura (verso l’ambiente esterno influenzandolo positivamente) e infine armonia o essere perfettamente dotato (ricreare un equilibrio perduto). Attraverso la recitazione del Daimoku si sviluppa saggezza e lo stato vitale si armonizza e si rafforza.
È così che anche la paura che sentiamo può essere sfruttata determinando di vivere appieno nel momento attuale e, giorno dopo giorno, trovando in questo la nostra salute, che secondo il Buddismo non è soltanto assenza di malattia, ma la presenza di una profonda compassione nei confronti di tutti gli esseri umani e di un’inesauribile forza vitale che ci consente di affrontare qualsiasi difficoltà.
La compassione per gli altri, ecco l’altro ingrediente! Pensandoci bene la compassione è proprio l’azione contraria a quella di nutrire sentimenti negativi nei confronti dei credenti e delle altre persone in genere. Il presidente Ikeda ci suggerisce come dovrebbe essere la compassione: «Quello sforzo coraggioso di cercare il buono in ogni persona, chiunque essa sia e comunque si comporti» (Buddismo e Società, n. 84, pag. 25). È un’azione di grande coraggio che implica necessariamente il coltivare le qualità positive in noi stessi e negli altri. Riuscire a vedere il “bello” in ogni persona si può fare soltanto se abbiamo visto “il bello” di noi stessi. Ecco che l’azione salvifica del Bodhisattva è proprio quella di risvegliare la Buddità dalla vita, propria e altrui.
Nel Buddismo esiste un principio chiamato ganken ogo, in cui go di ogo significa “nascere secondo il proprio karma” e cioè con varie sofferenze da scontare e la promessa di usarle per condurre altre persone alla Buddità. Proprio attraverso la “battaglia” nei confronti di queste sofferenze, che abbiamo deciso di combattere in questa esistenza, potremo manifestare la condizione del Budda e condividerla con gli altri.