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Mai darsi per vinti - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:33

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Mai darsi per vinti

Prende l’avvio in questa puntata l’analisi delle persecuzioni affrontate da Nichiren Daishonin, fondamentali per capire a fondo il suo insegnamento

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Prende l’avvio in questa puntata l’analisi delle persecuzioni affrontate da Nichiren Daishonin, fondamentali per capire a fondo il suo insegnamento

SAITO: Il 12 settembre è il giorno in cui il Daishonin andò incontro alla maggiore persecuzione della sua vita, quella di Tatsunokuchi[ref]Un tentativo illegale di esecuzione di Nichiren Daishonin a Tatsunokuchi, Kamakura, il 12 settembre 1271.[/ref]. Per commemorarlo la Soka Gakkai ha istituito in questa data il Giorno del Dipartimento di studio.

IKEDA: Come persone che praticano e studiano il Buddismo è importante essere consapevoli del significato di quell’evento. Perché il Daishonin dovette affrontare una persecuzione simile? Come va intesa dal punto di vista della fede? Sono domande essenziali per comprendere cosa significa “essere un Budda” e “ottenere la Buddità”. Il tema delle persecuzioni subite dal Daishonin è di estrema importanza perché ci aiuta a comprenderlo più profondamente.

MORINAKA: Nel suo Uomini rappresentativi del Giappone, Kanzo Uchimura afferma del Daishonin: «È l’unico caso, per quanto ne sappiamo, di un buddista giapponese che, senza seguire l’esempio di qualcun altro, si è levato a difendere il sutra e la Legge con la sua stessa vita […] La persecuzione religiosa, nel vero senso della parola, in Giappone ha avuto inizio con Nichiren»[ref]The Complete Works of Kanzo Uchimura, Tokyo, Kyobunkwan, 1972, vol. 2, pag. 125 e 133.[/ref].
Uchimura loda anche la battaglia spirituale del Daishonin per sopravvivere all’esilio di Sado che in quell’epoca equivaleva a una condanna a morte: «Fu un’altra conquista della mente sul corpo e dello spirito sulla forza bruta».

IKEDA: Pur interpretando le persecuzioni del Daishonin secondo la propria prospettiva limitata, egli formula un’osservazione molto appropriata. Il Daishonin non fu certo perseguitato per qualche crimine secolare ma perché affermava categoricamente che il Sutra del Loto è l’insegnamento in grado di alleviare la sofferenza delle persone nell’Ultimo giorno della Legge e permettere loro di diventare felici. Egli rischiò la vita per proclamare quale fosse l’insegnamento corretto e ciò intimorì altre figure religiose e creò un profondo disagio fra coloro ai quali le vecchie tradizioni religiose in qualche misura facevano comodo. La conseguenza fu un’esplosione di rabbia e di gelosia nei suoi confronti.
Il Daishonin afferma che le persecuzioni da lui subite erano “per il Sutra del Loto”, cioè si erano verificate perché egli aveva messo in gioco la propria vita per diffondere il sutra.

MORINAKA: Le persecuzioni furono una risposta alla forza delle sue convinzioni religiose. Questo intende affermare Uchimura quando parla di «persecuzione religiosa, nel vero senso della parola».

IKEDA: Il Sutra del Loto insegna che tutti possono ottenere la Buddità. E non lo afferma in maniera meramente dottrinale o teorica, ma illustra le azioni colme di compassione del Budda che anela a realizzare concretamente questo principio e la missione dei bodhisattva che si battono per portare avanti quest’immenso desiderio dopo la morte del Budda.
Il principio dell’Illuminazione universale di tutte le persone, che il Sutra del Loto espone così esaustivamente, è davvero difficile da credere e da comprendere. E questo perché l’insegnamento che permette a tutti di ottenere l’Illuminazione, cioè la Legge mistica, è esso stesso, come afferma il sutra, «difficile da comprendere e difficile da varcare» (SDL, 2, 29).
La Legge mistica si può afferrare solo attraverso la profonda e illimitata saggezza del Budda.
Il vero significato dell’ottenimento dell’Illuminazione va oltre l’ambito della normale saggezza. Quando per esempio stiamo affrontando una prova dolorosa è quasi impossibile credere di poter ottenere l’Illuminazione. E quando invece godiamo di momentanea pace e tranquillità, la Buddità o Illuminazione non ci sembra poi così necessaria. Sia nei momenti duri che in quelli facili, tendiamo a perdere l’aspirazione a raggiungere la Buddità. Inoltre, in simili circostanze, parlare del raggiungimento della Buddità da parte di altre persone, o addirittura di tutte le persone, ci sembra un’idea totalmente avulsa dalla nostra realtà.
A evidenziare ulteriormente quanto sia difficile credere e comprendere il Sutra del Loto, in quest’ultimo si legge: «Poiché odio e gelosia nei confronti di questo sutra abbondano perfino mentre il Tathagata è nel mondo, quanto peggio sarà dopo la sua scomparsa?» (SDL, 10, 212).

SAITO: È un brano del decimo capitolo, Il maestro della Legge. «Poiché odio e gelosia nei confronti di questo sutra abbondano perfino mentre il Tathagata è nel mondo» significa che, a causa della difficoltà di credere e comprendere il Sutra del Loto, vi sarà molta animosità e gelosia nei confronti di coloro che lo propagano anche durante la vita di Shakyamuni e «quanto peggio sarà dopo la sua scomparsa» significa che diffondendo il Sutra del Loto dopo la morte del Budda, l’odio e la gelosia che sorgeranno saranno ancor maggiori.

IKEDA: A livello dottrinale, la causa delle gravi persecuzioni incontrate dal Daishonin si può attribuire alla difficoltà di credere e comprendere il Sutra del Loto. Inoltre, c’è anche un elemento temporale, cioè il fatto che egli diffondesse il sutra nel malvagio Ultimo giorno della Legge fece sì che le persecuzioni fossero di entità ancor maggiore.
L’Ultimo giorno viene descritto come «un’epoca di conflitti in cui la pura Legge è stata oscurata e perduta»[ref]Riferimento a una descrizione del quinto periodo di cinquecento anni che compare nel Sutra della Grande Raccolta, il quale afferma che in quest’epoca le scuole buddiste rivali saranno continuamente in lite fra di loro e il corretto insegnamento di Shakyamuni verrà oscurato e perso.[/ref]. È un tempo in cui gli insegnamenti parziali che Shakyamuni aveva esposto soltanto come “espedienti” generano scuole separate e distinte e vengono in conflitto gli uni con gli altri. Ed è l’epoca in cui è andata perduta la consapevolezza che il Sutra del Loto, in cui si insegna il supremo valore del raggiungimento della Buddità, è l’insegnamento corretto.

MORINAKA: Quando il Sutra del Loto viene diffuso in quest’epoca, gli altri insegnamenti esposti da Shakyamuni ne ostacolano la pratica e fanno sorgere le funzioni della natura demoniaca intrinseca alla vita che blocca la strada per l’ottenimento della Buddità.

IKEDA: Questa è la causa fondamentale delle persecuzioni dell’Ultimo giorno e, poiché è una causa che ha radici profonde, anche le persecuzioni che genera sono particolarmente tenaci. Il Sutra del Loto spiega che dopo la morte di Shakyamuni queste grandi persecuzioni si manifesteranno sotto forma di attacchi da parte dei tre potenti nemici[ref]I venti versi del capitolo Esortazione alla devozione (tredicesimo) del Sutra del Loto descrivono le categorie di persone che perseguiteranno coloro che diffondo il Sutra del Loto nell’Ultimo giorno della Legge: 1) laici ignoranti di Buddismo che denunceranno i devoti del Sutra del Loto e li attaccheranno con spade e bastoni; 2) preti arroganti e astuti che calunnieranno i devoti; 3) preti che godono del pubblico rispetto e che temendo di perdere fama e profitto indurranno le autorità secolari a perseguitare i devoti.[/ref].
Il Daishonin era pienamente consapevole che per diffondere il Sutra del Loto nell’Ultimo giorno avrebbe dovuto battersi aspramente con le funzioni demoniache e che, se si fosse impegnato maggiormente nella sua impresa, queste lo avrebbero ostacolato ancora di più. Infine egli fece sorgere tutti i tre potenti nemici, esattamente come predetto nel sutra, e continuò nel suo intento senza esitare.
Ne L’apertura degli occhi il Daishonin descrive il susseguirsi incessante di queste persecuzioni: «Quanto più severa sarà l’opposizione dopo la sua scomparsa, specialmente nel Medio e Ultimo giorno della Legge in un paese tanto lontano come il Giappone? Come le montagne si sovrappongono alle montagne e le onde seguono le onde, così le persecuzioni si aggiungono alle persecuzioni e le critiche si aggiungono alle critiche» (SND, 1, 113).
La serie di persecuzioni del Daishonin ebbe inizio immediatamente dopo la proclamazione del suo insegnamento e le principali furono quattro.

SAITO: Ne L’apertura degli occhi afferma ancora: «Sono già passati più di vent’anni da quando cominciai a proclamare le mie dottrine. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ho subito ripetute persecuzioni. Le persecuzioni minori sono troppo numerose per poterle enumerare, ma le persecuzioni maggiori sono quattro. Fra queste quattro, due volte ho subito persecuzioni da parte del governo. La più recente mi è quasi costata la vita. In più, i miei discepoli, i miei seguaci laici, e persino quelli che hanno soltanto ascoltato i miei insegnamenti sono stati severamente puniti e trattati come se fossero colpevoli di tradimento» (SND, 1, 109-110).

MORINAKA: Le quattro grandi persecuzioni sono: la persecuzione di Matsubagayatsu (1260), l’esilio di Izu (1261), la persecuzione di Komatsubara (1264) e la persecuzione che ebbe inizio con il tentativo di esecuzione a Tatsunokuchi e proseguì con l’esilio a Sado (1271).
Quando dice: «Due volte ho subito persecuzioni da parte del governo», si riferisce alle persecuzioni del governo militare che regnava sul paese, cioè l’esilio di Izu e la persecuzione di Tatsunokuchi, esilio a Sado compreso.
Quando parla della «più recente», che quasi gli costò la vita, si riferisce all’ultima, Tatsunokuchi e Sado, durante la quale scrisse L’apertura degli occhi.
Fu l’apparizione di queste grandi persecuzioni che rafforzò la convinzione del Daishonin di essere il “devoto del Sutra del Loto”.

IKEDA: Il Daishonin si concentrò in particolare sui tre potenti nemici descritti nei venti versi del capitolo del Sutra del Loto Esortazione alla devozione.
Egli li fece emergere allo scoperto e li sconfisse completamente, gettando così le fondamenta per «assicurare che la Legge duri a lungo nel tempo»[ref]Verso dell’undicesimo capitolo del Sutra del Loto L’apparizione della Torre preziosa (SDL, 229). Significa che la Legge mistica dovrà essere diffusa sino all’infinito futuro.[/ref].
Dei tre potenti nemici, il terzo, cioè i preti riveriti come santi, è il più potente. Il Gran Maestro Miao-lo dice che il terzo è «sempre più difficile da riconoscere»[ref]Hokke mongu ki. Riguardo al riconoscere i tre potenti nemici, Miao-lo spiega che il secondo gruppo è più difficile da ricoscere del primo e il terzo è il più difficile di tutti.[/ref] e intende dire che è arduo identificarlo perché inganna chiunque con il suo aspetto pio e santo. Proprio per questo è importante rivelare apertamente la sua vera natura alle persone. Se il riconoscimento di questa natura è limitato a un gruppo ristretto, la società non cambierà.
Perciò l’unica strada per una persona che ha aperto gli occhi è cominciare ad agire per costringere il terzo potente nemico a scoprirsi. È combattendo e vincendo sulla suprema natura demoniaca che si può aprire la strada per l’ottenimento della Buddità da parte di tutti nell’Ultimo giorno della Legge.

SAITO: Dunque, quando in una qualsiasi società umana appare il devoto del Sutra del Loto, tutto dipende dal fatto che le persone decidano di respingere il terzo potente nemico oppure il devoto stesso.

IKEDA: Una società che abbandona il devoto del Sutra del Loto marcerà inevitabilmente verso la rovina e verrà manipolata dal terzo potente nemico. La battaglia per sconfiggere i tre potenti nemici equivale alla battaglia per adottare la dottrina corretta per la pace del paese.
Sconfiggendo anche il più forte dei tre potenti nemici garantiremo che la Legge duri a lungo, gettando le fondamenta della sua eterna prosperità nei diecimila anni e più dell’Ultimo giorno.
Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, diceva:
«[Quando il secondo dei tre potenti nemici ha esaurito tutti i mezzi possibili per attaccare il devoto del Sutra del Loto] è la volta del terzo potente nemico. Questo nemico è temibile, eppure quando apparirà io ne sarò entusiasta e spero che sarete contenti anche voi. Quello è il momento di lottare con coraggio.
«Per salvare il paese, per arricchire la vita della gente, impegniamoci a fondo nella fede in modo che quando giungeremo sul Picco dell’Aquila potremo riferire a Nichiren Daishonin: “Io sono un membro della Soka Gakkai, mi sono dedicato al massimo a kosen-rufu e ho realizzato fino in fondo la mia missione”»[ref]Toda Josei Zenshu, Tokyo, Seikyo Shimbunsha, 1981, vol. 4, pagg. 212-213.[/ref].
Qusto significa praticare con lo stesso spirito del Daishonin che si batté coraggiosamente contro le funzioni demoniache per realizzare kosen-rufu e per la felicità di tutte le persone dell’Ultimo giorno.

SAITO: Se consideriamo le persecuzioni del Daishonin nel loro insieme vediamo che egli fece apparire in sequenza, il primo, il secondo e il terzo dei tre potenti nemici.
Dalla data di fondazione del suo insegnamento (1253) fino alla presentazione del Rissho ankoku ron (1260), il principale persecutore del Daishonin fu il primo potente nemico, cioè laici ignoranti di Buddismo.
Il Daishonin così descrive l’opposizione che incontrò dopo aver annunciato pubblicamente l’istituzione della sua dottrina: «Dapprima quando io solo, Nichiren, recitavo Daimoku, coloro che mi vedevano, mi incontravano o mi udivano, si turavano le orecchie, mi gettavano occhiate furiose, storcevano la bocca, stringevano i pugni e digrignavano i denti. Perfino i miei genitori, fratelli, maestri e amici mi furono ostili. In seguito l’amministratore e il signore del feudo in cui vivevo mi si volsero contro» (SND, 7, 225).

IKEDA: Ne L’apertura degli occhi scrive: «Ma se pronuncio anche una sola parola al riguardo, allora genitori, fratelli e maestri sicuramente mi criticheranno, e le autorità governative prenderanno provvedimenti contro di me» (SND, 1, 208). E le cose andarono proprio come egli aveva previsto.

MORINAKA: Sembra infatti che incontrò l’opposizione dei suoi genitori e anche il suo maestro Dozen-bo lo trattò con freddezza[ref]«…io Nichiren ho mantenuto la mia fede senza vacillare, neanche quando i miei genitori mi pregarono a mani giunte di desistere, quando il mio maestro mi ripudiò» (WND, 489 – SND, 5,109) e «Il defunto Dozen-bo mi trattò come uno dei suoi discepoli preferiti, per cui non posso credere che nutrisse dell’astio nei miei confronti. Ma egli era un uomo estremamente pavido e non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua posizione al Seicho-ji. Inoltre, avendo soggezione di Tojo Kagenobu, il sovrintendete della regione, e vivendo in mezzo a preti come Enchi e Jitsujo, malvagi quanto Devadatta e Kokalika, cedette alle loro intimidazioni e non prestò ascolto al discepolo che aveva amato per molti anni. Che ne sarà di un simile uomo nella prossima vita?» (SND, 2, 201).[/ref]. Quest’ultimo probabilmente non era veramente ostile al Daishonin ma lo contrastò soltanto per paura di Tojo Kagenobu, amministratore del villaggio di Tojo nella provincia di Awa (attuale prefettura di Chiba).

IKEDA: Tojo Kagenobu fu il principale persecutore del Daishonin subito dopo la proclamazione del suo insegnamento. La sua collera fu davvero fuori dall’ordinario. Nel sermone che pronunciò a mezzogiorno [del 28 aprile 1253], il Daishonin dichiarò la fondazione della propria dottrina e refutò quella Nembutsu. Kagenobu lo venne a sapere e lo stesso giorno fece scacciare il Daishonin dal tempio Seicho-ji[ref]«Quando l’amministratore montò su tutte le furie, tu [Joken-bo] lasciasti il Seicho-ji insieme a Gijo-bo» (GZ, 373) e «Quando Tojo Kagenobu mi attaccò e io decisi di lasciare il monte Kiyosumi [dove ha sede il Seicho-ji]…» (SND, 2, 202).[/ref].
Nichiren Daishonin aveva veramente letto con la sua vita il brano del capitolo Esortazione alla devozione che afferma: «Ci saranno molte persone ignoranti / che ci malediranno e parleranno male di noi; / ci attaccheranno con spade e bastoni, […] saremo esiliati più e più volte / in luoghi molto lontani da torri e templi» (SDL, 13, 253-255).

MORINAKA: Enchi-bo, che a quell’epoca pare fosse il priore del Seicho-ji, era deciso a mettere in atto le intenzioni di Tojo Kagenobu e, insieme a un altro giovane prete a lui vicino, Jitsujo, esercitò pressioni su Dozen-bo, sia dal basso che dall’alto.
Intimorito da queste opposizioni, Dozen-bo venne meno al suo dovere come maestro di proteggere il Daishonin e, anche se forse soltanto per salvare le apparenze, si unì alla fazione che lo perseguitava. Anche molti influenti sostenitori laici Nembutsu della zona circostante il tempio Seicho-ji, fra cui il fratello maggiore di Dozen-bo, Dogi-bo, Endon-bo di Inomori (che dovrebbe essere il nome di una località nei pressi di Amatsu nella prefettura di Chiba), Saigyo-bo di Kiyosumi e Jitchi-bo di Kataumi gli si opponevano e dunque il Daishonin era completamente circondato.

IKEDA: In quella circostanza Joken-bo e Gijo-bo, due preti che avevano insegnato al Daishonin al Seicho-ji quand’era bambino, indignati dalla situazione, lasciarono il tempio insieme al Daishonin.
In seguito egli loderà quei due uomini che, pur circondati dai nemici, avevano riconosciuto il valore del Daishonin e avevano agito coraggiosamente al suo fianco. Egli definisce il loro operato un «servigio reso al Sutra del Loto» (GZ, 373).

SAITO: Al Seicho-ji c’erano così tanti seguaci Nembutsu perché Kagenobu, devoto credente di questa scuola, aveva cercato di convertirvi anche i monaci più rappresentativi del tempio[ref]«Il perfido Tojo Saemon Kagenobu […] cercò di obbligare i preti residenti negli alloggi del tempio a diventare seguaci del Nembutsu» (SND, 5, 11). In origine il Seicho-ji era un tempio Tendai.[/ref]. La refutazione del Nembutsu da parte del Daishonin, secondo il quale questo insegnamento conduceva all’inferno di incessante sofferenza, costituiva perciò un serio ostacolo alla realizzazione delle ambizioni di Kagenobu.

MORINAKA: Si trattò di un assalto frontale, condotto da un sol uomo, ma con quell’azione il Daishonin riuscì ad aprire una breccia nelle forze nemiche e trasformarle in alleati.
Dopo aver lasciato il Seicho-ji, il Daishonin si allontanò dal villaggio di Tojo e si diresse verso ovest, a Hanabusa, Sajo, dove pare vivesse Joen-bo, un prete che era presente al discorso in cui aveva pubblicamente esposto il suo insegnamento. È probabile che da allora in poi la casa di Joen-bo fosse usata come base per la propagazione nella provincia di Awa.

IKEDA: Inizialmente il Daishonin stabilì una solida testa di ponte da cui dare inizio alla sua battaglia. In ogni impresa, indipendentemente dalla difficoltà, si deve avanzare infallibilmente un passo alla volta, fino alla vittoria.

SAITO: Nel suo tentativo di acquisire il controllo del Seicho-ji e del Futama-ji, Kagenobu si scontrò con una monaca laica[ref]Di lei il Daishonin afferma: «Ha fatto molti favori ai miei genitori» (SND, 5, 12) e «Sono in debito con lei» (SND, 5, 22). All’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi ella abbandonò la fede ma in seguito si convertì nuovamente. Non si conosce l’identità del “signore del feudo”; probabilmente era il proprietario di una tenuta nel villaggio di Tojo.[/ref], vedova del locale signore del feudo che in gioventù era stato un benefattore del Daishonin e dei suoi genitori.

MORINAKA: Pare che Kagenobu abbia più volte intentato causa alla monaca laica su istigazione del potente Hojo Shigetoki e di vari altri preti Nembutsu (GZ, 1413).

IKEDA: Shigetoki era il terzo figlio del terzo reggente dello shogunato di Kamakura, Hojo Yasutoki, e padre della moglie del quinto reggente, Hojo Tokiyori. Come cofirmatario del reggente era uno degli esponenti più importanti del governo, insieme a Tokiyori.
Pare che Shigetoki, l’amministratore Kagenobu e molti credenti Nembutsu si fossero coalizzati per perseguitare la monaca laica [con lo scopo di impadronirsi della sua proprietà].
E, per ripagare il suo debito di gratitudine verso di lei, il Daishonin si interessò attivamente del processo[ref]«A quel tempo io mi opposi a Tojo e sostenni il signore del feudo. Poi scrissi un sincero voto: “Se Tojo entrerà in possesso dei due templi di Kiyosumi [Seicho-ji] e Futama, Nichiren abbandonerà il Sutra del Loto” e lo legai alla mano dell’oggetto di devozione [una statua di Shakyamuni] al quale pregavo continuamente. Entro un anno i due tempi furono liberi dalle grinfie di Tojo» (WND, 651-652 – SND, 5, 11).[/ref]. Così, con il Daishonin come alleato, la monaca vinse la causa in meno di un anno.

MORINAKA: Kagenobu perse la causa che aveva intentato con l’appoggio di potenti esponenti del governo. Fu un enorme sconfitta personale. Quanto doveva essere furioso e indispettito per la piega che avevano preso gli eventi! Senza dubbio ciò non fece che accrescere il suo risentimento.
Vi fu poi un personaggio che, affermando di agire per ordine di Shigetoki, proibì ingiustamente al Daishonin di entrare nei possedimenti controllati dalla famiglia Tojo e così per numerosi anni il Daishonin non poté fare ritorno al luogo dov’era nato.
In seguito Shigetoki, diventato pazzo, morì e nel 1264 al Daishonin fu condonato l’esilio a Izu e poté fare ritorno a casa per visitare la tomba del padre e vedere sua madre. Fu allora che Kagenobu, insieme a una numerosa banda di suoi accoliti, lo attaccò.

IKEDA: Quella fu la persecuzione di Komatsubara, che discuteremo nei particolari in seguito.
Secondo una fonte, dopo essere stato allontanato dal Seicho-ji, il Daishonin si trattenne per qualche tempo ad Awa mentre, secondo un’altra fonte, si recò ad abitare con Toki Jonin a Yawatanosho, nella provincia di Shimosa (l’attuale Ichikawa, nella prefettura di Chiba).
In entrambi i casi risulta che, dopo poco, il Daishonin si trasferì a Kamakura, la principale città della parte orientale del paese, dove si costruì un alloggio a Matsubagayatsu, nei pressi di Nagoe, e diede inizio a un’intensa attività di propagazione.

MORINAKA: Nagoe è situata ai margini della parte sud orientale di Kamakura. Dopo aver attraversato Nagoe, la strada prosegue fino all’altro lato della penisola di Miura (fino a quella che attualmente è la Baia di Tokyo), da dove era possibile prendere una barca per raggiungere la regione di Boso, nella prefettura di Chiba. Nella valle di Nagoe c’è una scogliera artificiale detta Kirigishi, probabilmente costruita per impedire al clan Miura di attaccare la capitale.
Inoltre tutta la zona di Nagoe, a sud est di Kamakura, era piena di buche nei versanti della collina dove venivano seppelliti i cadaveri. Kamakura era colpita frequentemente da disastri, fra cui il grande terremoto dell’era Shoka (1257) e da varie inondazioni e incendi, che avevano causato un alto numero di morti. Queste tristi circostanze di cui il Daishonin era quotidianamente testimone devono averlo profondamente colpito.

IKEDA: Trovandosi di fronte alla realtà della sofferenza del popolo innocente, deve aver meditato a lungo su quali potessero essere i mezzi per risolverla alla radice. E il Rissho ankoku ron è il trattato che compose per riassumere le conclusioni a cui era giunto.

SAITO: Egli sottopose il trattato all’attenzione del ex reggente Hojo Tokiyori il 16 luglio 1260 e, poco più di un mese dopo, il 27 agosto, ebbe luogo la persecuzione di Matsubagayatsu.
I principali istigatori di questa persecuzione erano preti Nembutsu, molti dei quali non avevano preso formalmente i voti né erano entrati a far parte del clero, dove avrebbero ricevuto un’istruzione sui principi buddisti, ma avevano rinunciato alla vita secolare per proprio conto, in maniera informale.

IKEDA: Ne L’apertura degli occhi il Daishonin menziona «uomini come Honen che trasgrediscono i precetti e nutrono idee distorte» (SND, 1, 181) come esempio del secondo dei tre potenti nemici: i preti arroganti. Quando parla di persone che «trasgrediscono i precetti e nutrono idee distorte» sono certo che si sta esplicitamente riferendo ai preti Nembutsu dell’epoca.

SAITO: Nel Rissho ankoku ron il Daishonin descrive la crescita stupefacente del numero dei seguaci Nembutsu[ref]«…vediamo persone che tagliano le dita delle immagini di Shakyamuni e le ricompongono nel gesto di Amida, oppure riadattano i templi di Yakushi, il Budda della regione orientale, erigendovi statue di Amida, il signore della terra occidentale. O ancora sospendono la cerimonia di copiatura del Sutra del Loto, tramandata da più di quattrocento anni sul monte Hiei, e al suo posto copiano i tre sutra della Pura Terra, oppure sostituiscono le lezioni annuali sulle dottrine del grande maestro T’ien-t’ai con lezioni sugli insegnamenti di Shan-tao. Questi calunniatori sono davvero troppo numerosi da contare!» (SND, 1, 39).[/ref]. Sembra inoltre che i seguaci nella pratica esclusivista del Nembutsu sostenuta da Honen[ref]Honen (1133-1212), chiamato anche Genko, era in origine un prete della scuola Tendai. Sosteneva di essersi illuminato nel 1175 leggendo il Kammuryoju-kyo Sho di Shan-tao e da allora si era dedicato unicamente alla recitazione del nome del Budda Amida. Nel Senchaku Shu, scritto nel 1198, Honen afferma che la pratica del Nembutsu è l’unica causa per la rinascita nella Pura Terra ed esorta le persone a «scartare, chiudere, ignorare e abbandonare» tutti i sutra eccetto i tre sutra fondamentali della Pura Terra. La sua pratica esclusivista incontrò il favore di molti personaggi importanti ma alla fine venne refutata dalle altre scuole del tempo e, sia la corte imperiale che lo shogunato, emanarono decreti che la proibivano. Nel 1207 Honen fu inviato in esilio con altri sostenitori dei suoi insegnamenti e i suoi principali discepoli furono condannati a morte. Nonostante i ripetuti tentavi di sopprimerla la dottrina Nembutsu continuò a diffondersi.[/ref], dando per scontata la propria rinascita nella Pura Terra, indulgessero in uno stile di vita assai decadente per dei religiosi, contribuendo così alla corruzione dei pubblici costumi e alla distruzione della pace e dell’ordine.

MORINAKA: Ci sono opere dell’epoca che descrivono la condotta dei credenti Nembutsu.
Lo Shaseki Shu, una raccolta di racconti dell’era Koan (1278-87), descrive così la situazione: «Non molto tempo fa, quando la dottrina nembutsu cominciò a diffondersi ovunque, alcune persone gettavano copie del Sutra del Loto nel fiume e altri strofinavano la testa di Jizo con pepe d’acqua affermando che i Budda non amidisti e le scritture erano inutili».
Vengono narrati anche episodi di fanatismo. In uno di questi un credente Nembutsu minaccia una persona che aveva recitato mille volte l’intero Sutra del Loto, affermando che chi legge il Sutra del Loto anche dopo aver conosciuto il Nembutsu cadrà nell’Inferno, perché si tratta di una pratica totalmente discordante.
Il racconto continua: «L’uomo rimpianse di aver recitato i sutra e di non avere nemmeno una volta invocato il Nembutsu. Si ammalò gravemente – senza dubbio per effetto di quelle idee perverse – e cadde in una sorta di delirio. “Oh, come rimpiango di aver recitato i sutra” continuava a borbottare con voce monotona. Infine si mangiò la lingua e le labbra e, ricoperto di sangue, morì delirando. Il monaco che lo aveva spinto a ciò allora osservò: “Poiché si è pentito del peccato di aver recitato il Sutra del Loto e si è staccato a morsi la lingua e le labbra come retribuzione, egli ha espiato il suo crimine e sicuramente rinascerà nella Pura Terra”».

IKEDA: È del tutto assurdo. Invece di una religione che esiste per gli esseri umani qui si sta descrivendo una condizione in cui le persone esistono per il bene della religione. Il Daishonin stava combattendo contro questa funzione diabolica della religione che fa soffrire le persone e fa loro perdere la ragione.
Una simile fede non è in grado di arrecare nemmeno una consolazione momentanea. Anche per questo il Daishonin afferma di coloro che incarnavano questa natura malvagia che «trasgrediscono i precetti e nutrono idee distorte».

MORINAKA: Più o meno all’epoca in cui nacque il Daishonin la corte imperiale e il governo di Kamakura avevano emanato una serie di decreti che ingiungevano di interrompere la diffusione del Nembutsu e inviavano in esilio Honen e molti dei suoi principali discepoli[ref]Nel 1204 i monaci dell’Enryaku-ji, il tempio principale del monte Hiei, avevano chiesto che il priore mettesse fine alla diffusione del Nembutsu. In risposta Honen aveva stilato un documento costituito da sette articoli in cui si impegnava a proibire ai suoi discepoli di criticare le altre scuole. Ma un anno dopo, poiché i discepoli di Honen erano venuti meno a questi ammonimenti, il tempio Kofuku-ji fece una petizione al governo imperiale affinché proibisse il Nembutsu e nel 1206, con un proclama imperiale, i discepoli di Honen furono esiliati. Inoltre, nel 1207, i discepoli di Honen Anraku e Juren furono giustiziati per aver intrattenuto relazioni sessuali illecite con alcune donne che sostenevano l’ex-imperatore Gotoba; in più fu bandita la pratica del Nembutsu e Honen fu inviato in esilio con i discepoli più anziani. Nel 1219, 1224, 1227, 1229 e 1234 furono emanati ulteriori ordinanze mirate a porre termine alla diffusione del Nembutsu.[/ref].
I suoi seguaci avevano alterato gli insegnamenti Nembutsu, per ingraziarsi le altre sette e propagare la propria dottrina. E, nel periodo in cui il Daishonin stava studiando a Kamakura e Kyoto, molte persone avevano già preso fede negli insegnamenti di Honen e la setta continuava a guadagnare seguito fra i principali personaggi della corte e del governo militare.

IKEDA: Fu in questo contesto che il Daishonin refutò nettamente il Nembutsu. La reazione fu enorme. Possiamo farcene un’idea dal Gosho Refutazione di Ryokan (GZ, 1289-94) nel quale il Daishonin dapprima narra come i seguaci Nembutsu, sottovalutando il Daishonin lo avessero sfidato in dibattito e come poi, uno dopo l’altro, avessero subito un’umiliante sconfitta. Dopo poco non c’era più nemmeno un prete Nembutsu disposto ad affrontarlo personalmente (GZ, 1293).

MORINAKA: Secondo lo stesso scritto, alcuni laici, istigati da preti di varie sette, decisero di sfidare il Daishonin. Organizzarono una marcia sulla sua abitazione e gli chiesero di uscire, con l’unico risultato di rimanere a bocca aperta dopo che egli ebbe abilmente e completamente confutato le loro asserzioni.
Gli avversari del Daishonin, disperati, mobilitarono samurai che avevano bei titoli ma poca conoscenza delle vie del mondo e laici potenti che non conoscevano nemmeno le dottrine più elementari del Buddismo. Questi individui fecero ricorso a ogni sorta di tattica, fra cui minacce e vessazioni ai danni dei discepoli del Daishonin che venivano allontanati dalle proprie dimore, espropriati delle terre o fatti diseredare.

SAITO: Fecero appello anche al regime di Kamakura, ma il Daishonin narra che «colui che è il governante degli uomini», probabilmente Hojo Tokiyori, decise che invece di prendere misure drastiche nei confronti del Daishonin era meglio tenere attentamente sotto controllo la situazione.

IKEDA: Così i seguaci Nembutsu dovettero ricorrere a mezzi ancor più perversi e astuti. Come racconta il Daishonin: «Potenti ministri complottarono e istigarono la cittadinanza e gli altri. Con un esercito di diverse decine di migliaia di uomini giunsero di notte con l’intenzione di uccidermi» (GZ, 1294).
In pratica i Nembutsu avevano complottato con potenti esponenti del governo e con cittadini influenti per fomentare una sollevazione di massa. Così si svolse la persecuzione di Matsubagayatsu.
Il Daishonin afferma anche: «Fu un incidente progettato insieme dai due ministri dello stato» (GZ, 1294), riferendosi al sesto reggente Nagatoki e al suo cofirmatario Masamura.

MORINAKA: Nel complotto dunque erano implicati il numero uno e il numero due del governo e dietro di loro c’era il padre di Nagatoki, Shigetoki. Dopo che Tokiyori si era ammalato, a Nagatoki era stata affidata la reggenza sino al raggiungimento della maturità del figlio di Tokiyori, Tokimune.

IKEDA: Coloro che a rigor di legge avrebbero dovuto reprimere quei tumulti e proteggere la pace erano gli stessi che complottavano dietro le quinte. Le persone che avrebbero dovuto pregare per la felicità di tutti gli abitanti ed essere responsabili della loro sicurezza stavano invece agendo mossi da inimicizia personale. Una situazione spaventosa.

SAITO: Coloro che avevano causato il tumulto non ricevettero alcuna punizione. In uno dei suoi scritti il Daishonin denuncia severamente questo fatto come una «palese distorsione delle funzioni del governo» (GZ, 355).

IKEDA: Alla fine il secondo potente nemico aveva mostrato i denti. Religiosi che cercano di metter fine alle critiche non attraverso il dialogo o il dibattito ma con la violenza e la forza delle armi non possono essere definiti altro che impazziti. Tuttavia è questa la realtà di molte figure religiose nell’Ultimo giorno della Legge.
Le parole e le azioni sconsiderate di simili individui producono una sfiducia generalizzata nella religione che invece riveste un ruolo di vitale importanza per gli esseri umani. Si crea così fra la gente la tendenza a respingere la religione che viene ritenuta nociva indipendentemente dal fatto che sia corretta o errata. Quest’offesa è estremamente grave.
Proprio per questa ragione chi abbraccia una religione corretta ha un’enorme responsabilità. Dobbiamo rafforzare il nostro spirito il più possibile in modo da sconfiggere il male e far trionfare l’insegnamento corretto. Altrimenti l’insegnamento corretto perirà e sarà dimenticato e le persone affonderanno nell’oscurità della sofferenza.

MORINAKA: Secondo una fonte, nella persecuzione di Matsubagayatsu furono feriti Noto-bo e Shinji Taro[ref]Noto-bo e Shinji Taro: Ne Le persecuzioni che colpiscono il Budda e Le funzioni di Bonten e Taishaku il Daishonin definisce Noto-bo come un avido vigliacco che pretendeva di essere un sapiente e che, insieme alla monaca Nagoe, a Sho-bo e Sammi-bo aveva abbandonato la fede quand’erano cominciate le persecuzioni. Ben poco si sa di Shinji-Taro.[/ref] e il Daishonin riuscì a malapena a fuggire. Come fece?
Secondo una leggenda, fu una scimmia bianca che lo prese per la manica e lo condusse in salvo prima dell’arrivo degli assalitori. Una volta lei, presidente Ikeda, commentando il brano «Nichiren sfuggì alla persecuzione a causa della protezione delle dieci figlie del demone» (GZ, 1294), ipotizzò che il Daishonin fosse stato avvertito in anticipo da una donna a cui era giunta all’orecchio la notizia dell’attacco.

IKEDA: In ogni caso il modo in cui il Daishonin sfuggì alla persecuzione di Matsubagayatsu non fu con tutta probabilità dovuto a qualche segno o presagio misterioso.
Anche se non è nient’altro che una congettura a posteriori, è plausibile che sia stato informato da un discepolo con cui aveva un contatto quotidiano o da un comune cittadino spaventato dalla violenza dei seguaci Nembutsu. Inoltre, poiché nel suo racconto il Daishonin menziona le «dieci figlie del demone», si può supporre che una sua seguace abbia svolto un qualche ruolo nel proteggere il Daishonin in quella difficile situazione. È un’idea che mi aveva espresso il presidente Toda.
Comunque sia andata, in una lettera a Shijo Kingo, il Daishonin osserva: «La tua consueta prudenza e il tuo coraggio, così come la tua salda fede nel Sutra del Loto, ti hanno permesso di uscirne illeso» (SND, 4, 193). E spesso nei suoi scritti il Daishonin cita un brano dal commentario del Gran Maestro Miao-lo che sarebbe bene tenere a mente: «Più forte è la fede di una persona, maggiore è la protezione degli dei» (SND, 4, 183).

SAITO: Dopo la persecuzione di Matsubagayatsu le azioni prepotenti dei preti Nembutsu si intensificarono ancor di più. Il 29 febbraio 1261 il governo militare di Kamakura ammonì preti e credenti laici delle province orientali ed emanò un ordine che proibiva le oltraggiose azioni dei monaci Nembutsu[ref]Per esempio fatti come la convocazione di donne per partecipare a cerimonie condotte nel cuore della notte o preti e laici che si aggiravano col volto completamente coperto da fazzoletti.[/ref]. In quelle circostanze il Daishonin fece rapidamente ritorno a Kamakura. [Erano passati solo sei mesi dall’episodio verificatosi l’agosto dell’anno precedente a Matsubagayatsu].
Il Daishonin era sempre in azione. Dopo aver stabilito la propria residenza a Kamakura, si ritiene che abbia compiuto frequenti visite nella sua provincia natale, Awa, nella Provincia di Shimosa e in altre zone.
Al suo ritorno a Kamakura, il Daishonin affrontò in dibattito Doamidabutsu, un prete del tempio Shinzenko-ji che all’epoca era uno degli esponenti più importanti del Nembutsu, e Noan del tempio Choan-ji[ref]Di Noan si sa ben poco. In un frammento non compreso nel Gosho Zenshu, il Daishonin afferma: «Nel dibattito con i miei nemici, fra cui Doamidabutsu del Zenko-ji e Noan del Choan-ji, fui in grado di confutarli con una o due frasi ancor prima che fossero riusciti a esprimere due o tre osservazioni. Dopo di che, cominciarono ad andare in giro calunniandomi presso preti ignoranti e laici e facendo sì che venissi esiliato. Fecero richieste agli amministratori provinciali e ad altri, sottoposero la questione a personaggi influenti, assaltarono la mia dimora giorno e notte, mi attaccarono con spade e bastoni e fecero infinite accuse assurde contro di me ai nobili dicendo cose come: “È una persona eretica e calunniosa, disprezza gli altri e viola i precetti”. Infine il 12 maggio dello scorso anno, insieme ad altri seguaci nembutsu… (Il resto del testo è perduto o indecifrabile), Showa Teihon Nichiren Shonin Ibun, Tokyo, Rissho University’s Istitute of Nichiren Buddhist Studies, 1988, pag. 274).[/ref].

IKEDA: La battaglia incessante del Budda viene espressa nella frase del sutra «io non ho tralasciato l’opera del Budda nemmeno per un solo istante» (SDL, 16, 298). Se la propria determinazione si allenta anche solo un po’ (vedi SND, 4, 188) i demoni colgono l’opportunità per insinuarsi. È una «battaglia [che] continua ancora oggi» (SND, 4, 11).
Finché ci saranno persone che soffrono, finché ci saranno persone sventurate, il Budda continuerà a combattere. Il Budda non può abbandonare nemmeno una persona infelice. Nello spiegare l’immensa compassione del Budda, il Daishonin dice che è come l’amore dei genitori che «si preoccupano maggiormente del figlio malato» (SND, 4, 207). Anche se i genitori amano egualmente tutti i figli, si preoccupano in maniera particolare per quello che è malato. Allo stesso modo la compassione del Budda si rivolge con più forza a coloro che stanno soffrendo.
Il Budda desidera ardentemente la felicità di tutte le persone e continua ad agire per il bene di chi è infelice, questo è il vero significato di kosen-rufu ma, se proclamare l’ideale generico della felicità umana è facile, condurre realmente una persona alla felicità è estremamente difficile.

IKEDA: Il tempio Shinzenko-jo, dove abitava Doamidabutsu, si trovava a Nagoe, nella stessa zona in cui si trovava l’abitazione del Daishonin a Matsubagayatsu. Infatti era stato il clan Nagoe a far costruire il tempio.
Dopo la persecuzione di Matsubagayatsu, il Daishonin fece ritorno e Doamidabutsu, probabilmente temendo di perdere la faccia come capo dei credenti Nembutsu della zona, lo sfidò in un dibattito dottrinale.

MORINAKA: Era molto probabile che anche Doamidabutsu fosse implicato nella persecuzione di Matsubagayatsu.

SAITO: Doamidabutsu e gli altri furono battuti con estrema facilità. Prima che fossero riusciti a pronunciare due o tre affermazioni, il Daishonin li confutò con una o due frasi ed essi se ne andarono sconfitti.
Così si ridussero a diffamarlo dietro le spalle. Incitavano la gente ad attaccare le case dei suoi seguaci giorno e notte e a perseguitarlo in vari modi, compreso l’uso della violenza. Inoltre continuarono a cercare di influenzare gli amministratori delle varie regioni, seminando calunnie del tipo: «Nichiren si comporta in maniera offensiva. Ha opinioni errate, calunnia gli altri e infrange i precetti».
Alla fine, dopo aver udito simili accuse, il 12 maggio il reggente Nagatoki condannò il Daishonin all’esilio a Izu. Riguardo a questo il Daishonin afferma: «Poiché per il governo era incredibile che Nichiren fosse ancora vivo, mi esiliarono nella provincia di Izu» (GZ, 355).

IKEDA: Da un lato Doamidabutsu esigeva il rispetto della società mentre di fatto ordiva intrighi in cui cercava di coinvolgere anche personaggi influenti. Non basterebbero forse queste azioni a qualificarlo come il terzo dei potenti nemici? I veri mandanti dell’esilio di Izu erano la coppia padre e figlio Hojo Shigetoki e Hojo Nagatoki.

MORINAKA: Afferma il Daishonin: «Nagatoki, signore della provincia di Musashi, essendo il figlio del signore del Gokuraku-ji, venne a conoscenza dei desideri del padre e mi esiliò ingiustamente a Izu» (GZ, 1413).

IKEDA: Il Daishonin afferma che si trattò di un’azione “ingiusta” perché, per condannarlo all’esilio senza che avesse commesso alcun crimine, Nagatoki aveva deliberatamente distorto la legge.

MORINAKA: Si ipotizza che, per condannare il Daishonin all’esilio, egli avesse applicato l’articolo 12 del codice legale del governo, il Formulario delle Sentenze, che stabiliva il reato di diffamazione. Questo veniva considerato un crimine grave perché poteva facilmente condurre a quello ancor più grave di omicidio. I casi più seri venivano puniti con l’esilio mentre per quelli più leggeri era previsto il carcere.

IKEDA: Quella del Daishonin era solo una refutazione religiosa e definire le sue azioni come “reato di diffamazione” era indubbiamente insensato.

MORINAKA: Alcuni studiosi suppongono che siano stati applicati anche l’articolo 10 che riguarda il “crimine di omicidio e spargimento di sangue” e l’articolo 13 sul “reato di aggressione”. Per quest’ultimo una persona che non possedesse feudi veniva punita con l’esilio. Si ipotizza anche una possibile applicazione arbitraria dell’articolo 9, in quanto si riferisce a non meglio specificati individui sediziosi.

SAITO: È inconcepibile che il Daishonin avesse mai provocato spargimenti di sangue o si fosse comportato personalmente in maniera violenta. Forse riuscirono a distorcere un episodio in cui uno dei suoi discepoli aveva legittimamente cercato di difendersi quando era stato attaccato da un membro di un’altra setta, usandolo come prova per condannare il Daishonin. Ma, se il suo seguace fosse stato colpevole, invece di biasimare il Daishonin per i crimini dei suoi discepoli, sarebbe stato logico esiliare o giustiziare la persona che aveva realmente commesso il fatto. Tuttavia non è stato trovato alcun resoconto relativo a una sentenza del genere.

(continua)

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