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L'ultimo tentativo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:38

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L’ultimo tentativo

La responsabilità di gruppo che da “missione impossibile” diventa occasione. E la gioia di vedere cosa accade quando si decide di… provare un’ultima volta prima di abbandonare

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La responsabilità di gruppo che da “missione impossibile” diventa occasione. E la gioia di vedere cosa accade quando si decide di… provare un’ultima volta prima di abbandonare

È successo tutto quasi in fretta, ho incontrato il Gohonzon a casa di amici e mi è piaciuto molto, ma quello che ho “riconosciuto” è stato il canto del Daimoku, la sua armonia.
Ho cominciato a recitare Gongyo e Daimoku guardando il muro e dopo meno di un anno ho portato a casa il mio Gohonzon insieme a una carrettata di dubbi che sto sistemando insieme a lui. Ascoltavo le esperienze difficili e dolorose di chi si avvicinava alla pratica buddista e mi sentivo inferiore, stavo cominciando a praticare in modo quasi fisiologico, naturale, senza drammi da risolvere, mi sentivo non dico in colpa, ma quasi.
Ero in un bel gruppo ampio che poi si è diviso, ho offerto la mia casa e ho continuato a partecipare agli zadankai quando il lavoro me lo permetteva. La pratica cresceva e io con lei. Sembrava facile, poi a un certo punto mi hanno offerto la responsabilità, anzi la corresponsabilità. Così, di botto.
No! Ho detto d’istinto, non posso, non sono capace, non ho tempo, non sono pronta. Le ho provate tutte ma le mie compagne, sorridendo con fermezza, dicevano vedrai, è facile, devi fare semplicemente quello che stai già facendo.
Ma che stavo facendo? Di cosa si erano rese conto loro che io non capivo? Con gli anni ho imparato a dire di no, sciogliendo la paura che ogni diniego portasse con sé lo scadere dell’affetto delle persone, ho imparato a non creare aspettative che non sono in grado di soddisfare, di rispettare. Mi ci è voluto tempo, prima ero convinta che mi amassero perché dicevo sempre di sì, a dispetto delle mie esigenze, delle mie voglie, dei miei gusti. Non è così, naturalmente, ma è per spiegare perché ci ho messo tanto ad accettare.
Ho temporeggiato con fermezza ma a un certo punto, più per non deludere aspettative che mi parevano enormi, ho capitolato. E il giubilo con il quale è stato accolto il mio sì mi ha gettato definitivamente nel terrore: cosa significava quell’entusiasmo? Quali prove mi aspettavano?
E poi, orrore, avrei dovuto parlare davanti a tutti, sempre e comunque, non avrei potuto più sviare l’attenzione su altri per poi dire che non c’era più tempo e che avrei parlato la volta dopo. Le responsabili parlano davanti a tutti, è noto. Parlano per prime, anche. Questo per me fino a qualche tempo fa era semplicemente inconcepibile, era come chiedere a un pesce di respirare fuori dall’acqua.
E ho cominciato, annaspando prima, sbagliando spessissimo, imparando sempre.
E ho scoperto che la responsabilità non è “quel che facevo prima” ma un’avventura ricca, piena, che mi aiuta a mettermi in discussione e a crescere. Ho scoperto che quando qualcuno entra nel mio cerchio, nel mio “raggio d’azione”, poi mi viene spontaneo, anzi siamo onesti mi piace, interessarmene cercando di non asfissiare, andare a ripescare chi si allontana con la pazienza bovina che deriva dal mio lavoro di ufficio stampa. Provo il desiderio di far star bene gli altri, mi piace, desidero e spero di esserne capace.
E ho imparato, mio malgrado, cosa vuol dire essere un punto di riferimento: una delle sfide è vivere in modo da essere la prova che la pratica funziona. Non sempre ci riesco.
Ed è nato il gruppo Loto, con sede a casa mia: una casa che non è una casa, una soffitta che amo con le dimensioni di una scatola da scarpe, algida d’inverno e rovente d’estate, un lavoro che quasi non lascia margine per una vita almeno in parte regolare, un padre anziano solo al quale, come figlia unica, cerco di dare più “fastidio” possibile per non farlo sentire troppo solo.
E parlare non parlavo, farfugliavo con l’affanno, perdevo il filo del discorso con gli occhi bassi e tanto caldo… Poi, piano piano, è successo quel che dicevano “loro”, le ragazze dal sorriso sicuro: la responsabilità poco per volta ha preso il suo spazio, il suo posto, è cresciuta e io vivo ugualmente, lavoro tanto, seguo mio padre, non ho rinunciato alla mia vita.
C’è posto per tutto e per tutti, grazie alla pratica.
Il Loto però stentava a crescere, anzi, a Loredana e a me pareva si fosse un po’ incartapecorito, come quei bei boccioli che rinsecchiscono prima di aprirsi. Una sera ci siamo trovate addirittura da sole, sconfortate ma serene abbiamo cominciato a recitare Daimoku, desiderando che non arrivasse nessuno, per poter prendere una decisione, qualunque essa fosse, in pace e saggezza.
E decidemmo che forse il nostro posto era altrove, a fare qualcosa di diverso. Non è stato con spirito di rinuncia che abbiamo esposto ai responsabili di settore la nostra decisione di sciogliere il gruppo, ma con il desiderio di fare qualcosa di più. Quel rinsecchimento ci pareva un segnale inequivocabile.
Eppure i semi germogliano anche dopo centinaia di anni, basta ridare loro l’acqua necessaria… Ci hanno ascoltato pazientemente anche se proponevamo una soluzione in netta controtendenza. «Beh, insomma, bisogna crescere e voi abbandonate…!?». Poi Alessandra, donna straordinaria di sorridente fermezza, ci ha detto che se quello era il nostro desiderio sarebbe stato accettato, ma ci ha invitato a fare l’ultimo tentativo, spronandoci ad andare fino in fondo. Caspita, ma a noi sembrava di esserci andate fino in fondo!
Però sapevamo anche che è necessario sviluppare la nostra fede dal primo all’ultimo istante, se non vogliamo avere rimpianti, e sapevamo bene anche che «il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni: se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca uno solo, come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (Lettera a Niike, SND, 4, 245).
Siamo tornate a casa e ci siamo tirate su le maniche, in un modo che non ci pareva troppo diverso da prima. E invece qualcosa di diverso c’è stato perché alla riunione successiva eravamo dieci, poi otto, poi dodici. Se avessimo rinunciato non avremmo goduto la gioia di accogliere così tante persone nel primo zadankai affollato del Loto!
Eravamo fortemente uniti come mai era accaduto prima, e questo ha funzionato, come sempre funziona quando smettiamo di rimuginare e recitiamo con forza e determinazione.
Il Loto cresce e si rinforza, di nutrimento ce n’è in abbondanza, siamo contente e fiere: Loredana che adesso fa attività vicino a casa sua, Valeria che da qualche mese divide con me la responsabilità dei nostri “loti” e io.
E siamo sicure che al tempo della maturazione fioriranno i Gohonzon. Una bella prospettiva per un bel futuro vero?
Vi spiego perché fatico a parlare in pubblico: ho passato le elementari esposta alla mia classe perché i miei capelli ricci da pecora piacevano così tanto alla maestra che quella spesso faceva lezione tenendomi accanto a sé sulla predella accarezzandomi la testa. Credetemi, tre file di banchi per un totale di trenta bambine col grembiule bianco e il fiocco azzurro che ti guardano fisso non si dimenticano facilmente, per questo il fatto che io oggi riesca a parlare davanti a più persone (non troppe ancora) senza paralizzarmi proprio subito è una rivoluzione copernicana, la mia speciale rivoluzione umana.

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