Shin’ichi racconta della sua anziana madre, Sachi, e di come affronta serenamente con lei il delicato argomento della morte. Egli decide, in onore di tutte le madri del mondo, di far musicare da due giovani donne un suo poema e dopo averlo ascoltato non può fare a meno di pensare che «quando le madri si evolvono e diventano sagge, la luce eterna della loro natura brilla come un gioiello di umanità»
Il Nuovo Rinascimento presenta alcuni estratti dal volume 24, che viene pubblicato quotidianamente sulle pagine del Seikyo Shimbun. Il testo integrale è disponibile su www.ilvolocontinuo.it
Quando Sachi, la madre di Shin’ichi Yamamoto [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.], si recava alla sede centrale della Soka Gakkai indossava spesso un haori nero – giacca da cerimonia tradizionale giapponese – che si era cucito da sola. Considerava la sede come il castello di kosen-rufu e un luogo solenne pervaso dallo spirito dei presidenti dell’organizzazione e, come tale, pensava che fosse del tutto naturale indossare un abito da cerimonia quando si recava là in visita. Non le passava nemmeno lontanamente per la testa di pretendere un trattamento speciale o approfittare del fatto che suo figlio fosse l’attuale presidente dell’organizzazione.
Nell’aprile del 1975, l’anno prima che Sachi morisse, Shin’ichi finalmente era riuscito a incontrare sua madre, dopo tanto tempo, presso il tempio principale, quando i fiori di ciliegio erano in piena fioritura. Quando furono per salutarsi, Shin’ichi si offrì di portare sua madre su per il sentiero ripido davanti a loro. Così si chinò per farla salire sulle spalle, ma lei si sentiva in imbarazzo e gli ripeteva: «Sto bene, sto bene. Non devi farlo». «Mamma, lo voglio io», ribadì Shin’ichi. Allora lei si arrese, lo ringraziò e lui se la caricò sulle spalle. Sua madre era sempre stata minuta, ma ora che era anziana, era ancora più piccola e più leggera. Shin’ichi faceva finta di cedere sotto il peso della madre e la prendeva in giro: «Mamma, sei diventata così pesante!» e lei rideva.
Non dimenticò mai la sensazione di calore e intimità di quel giorno, quando se l’era portata sulle spalle. Non è necessario fare ai genitori regali costosi per dimostrare loro il nostro affetto. Chi vive lontano dai genitori e non può vederli spesso, può in ogni caso manifestare i propri sentimenti con una cartolina o una telefonata.
Sachi aveva trascorso una vita di stenti, ma aveva sempre avuto una fede salda ed è per questo motivo che, alla fine, poteva dire di essere la persona più fortunata del Giappone. Shin’ichi dette a sua madre una breve sintesi del Trattato sui preparativi per il momento della morte di Nichikan Shonin. In questo trattato, vengono citati gli scritti di Nichiren Daishonin, i sutra e i commentari, ma anche scritti non buddisti, per spiegare quale dovrebbe essere, in prossimità della morte, la condizione vitale per conseguire la Buddità, senza esserne impauriti o spaventati.
Nichikan menziona le diverse cause di una mente impaurita o spaventata, tra le quali l’agonia, le funzioni demoniache e l’attaccamento ai propri cari o ai beni materiali. «L’agonia – scrive -, è causata dall’avere offeso gli altri e ferito i loro sentimenti, e per evitarla, quando siamo in vita, bisogna fare attenzione. La morte infatti è il resoconto di tutta una vita».
Secondo il Trattato sui preparativi per il momento della morte i devoti del Sutra del Loto conseguiranno sicuramente la Buddità indipendentemente dal loro aspetto al momento della morte. Si afferma inoltre che coloro che recitano Daimoku nel momento finale della vita raggiungeranno sicuramente la Buddità.
Spiegando il significato di questo scritto a sua madre, Shin’ichi rimarcò: «Nichiren Daishonin afferma che fintanto che si recita Daimoku è garantito il raggiungimento della Buddità. Non solo. La trasmissione ereditata dal Gran Maestro Dengyo dice ancora: “Se si recita Nam-myoho-renge-kyo al momento della morte, rapidamente si consegue l’Illuminazione attraverso i benefici della Legge mistica”».
Shin’ichi aprì poi il libro del Gosho e lesse un brano tratto da Le quattordici offese: «Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino all’ultimo istante della vita e quando giungerà quel momento, ammira! Quando salirai sulla vetta della perfetta Illuminazione e guarderai attentamente in ognuna delle quattro direzioni, con tua grande meraviglia vedrai che l’intero regno dei fenomeni è la Terra della Luce Tranquilla: il terreno è fatto di lapislazzuli, gli otto sentieri sono delimitati da cordoni dorati, dal cielo piovono quattro tipi di fiori e una musica risuona nell’aria. Tutti i Budda e i bodhisattva si dilettano carezzati dalle brezze di eternità, felicità vero io e purezza. Si avvicina rapidamente il momento in cui anche noi saremo enumerati nella loro schiera» (RSND, 1, 675).
Commentando il passaggio, Shin’ichi aggiunse: «Come qui ci assicura il Daishonin, non c’è da avere paura quando si muore. Siamo in grado di raggiungere uno stato di completa libertà dopo la morte, come un grande uccello che vola in alto e leggiadro attraversa i cieli». Distesa a letto, Sachi annuì, i suoi occhi risplendevano mentre ascoltava il figlio. Era stata la prima volta, ma sarebbe stata anche l’ultima, che Shin’ichi aveva tenuto una lezione di Buddismo a sua madre.
Anche se le condizioni di Sachi non erano più critiche, Shin’ichi sentì che alla madre non le restava ancora molto da vivere. Ecco perché aveva voluto cogliere quell’occasione per parlarle della prospettiva buddista sulla vita e la morte. «Mamma, il Daishonin parla anche di chi resta saldo nella fede e nella pratica: “Finché era in vita egli era un Budda vivente e ora è un Budda defunto. Si è Budda sia nella vita sia nella morte. Questa è la profonda dottrina del conseguimento della Buddità nella forma presente”» (L’inferno è la Terra della Luce Tranquilla, RSND, 1, 403). Coloro che lottano instancabilmente per kosen-rufu sono Budda nella vita, sono in grado di vivere le giornate piene di gioia, senza venire sconfitti da alcun tipo di difficoltà. E dopo la morte, saranno Budda anche nella morte. Questo è il grande insegnamento del conseguimento della Buddità nella forma presente. La vita è gioia e la morte è gioia. Possiamo sperimentare l’eternità con la gioia più assoluta. Recita Daimoku fino alla fine, facendo risplendere la tua vita come un sole magnifico che permea tutto di riflessi dorati. Le madri Soka, che vivono la vita come emissari del Budda, saranno sempre insieme al sole della vittoria e della felicità per tutte e tre le esistenze».
Quando Shin’ichi finì di parlare, prese una mano a sua madre, e lei strinse con forza la mano del figlio come per esprimere la sua determinazione. Il giorno dopo, Sachi disse ai suoi familiari: «Ho sperimentato dispiaceri e sofferenze nella vita, ma ho vinto. Ho sempre sperato che i miei figli un giorno potessero dare un contributo positivo alla società, e uno di loro è stato davvero in grado di fare la differenza. Questo mi rende veramente felice». Come scrisse Alisher Navoi (o Ali Shir Nava’i, 1441-1501), il celebre poeta dell’Asia centrale: «Beato l’uomo che è stato ferito da mille spine, / e che finalmente ha trovato il fiore del suo spirito e della sua anima».
Quando Shin’ichi andò a trovare sua madre la sera del 12 luglio, sperava di incoraggiarla anche solo un po’ regalandole la registrazione di quando aveva suonato al piano La canzone dei compagni di fede, Sakura (Fiori di ciliegio) e La spiaggia di Morigasaki durante una visita a Tohoku il mese prima.
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Il 18 luglio, giorno in cui fu ultimata la Canzone della rivoluzione umana, Shin’ichi Yamamoto disse a Masumi Uemura e Makiko Matsuyama: «C’è qualcosa che vorrei chiedervi. Mi piacerebbe che voi due scriveste la musica per la mia poesia, Madre».
«Certo, non è una poesia in versi e probabilmente non sarà facile comporre una melodia per come è scritta adesso. Ho provato ad adattarla al testo di una canzone, ma se ci sono ancora parti che vi risultano difficili da mettere in musica, sentitevi libere di fare i cambiamenti che ritenete più opportuni. L’unica cosa che vi chiedo è di far affiorare in chi l’ascolterà le stesse emozioni della canzone La spiaggia di Morigasaki, che mi ricorda tanto la mia gioventù».
In un primo momento, le due donne guardarono Shin’ichi con aria smarrita. D’altronde la loro reazione era comprensibile: non avevano nessuna esperienza come compositrici. Ma subito dopo iniziarono a pensare a come realizzare la canzone e accettarono la proposta con entusiasmo. Shin’ichi aggiunse: «Mi dispiace chiedervi una cosa così complessa ma per favore fate del vostro meglio».
Verso la fine di luglio, Shin’ichi si recò nella regione di Chubu e il primo agosto, dopo che era tornato a Tokyo per andare ai corsi estivi delle varie Divisioni, ricevette una registrazione al Centro culturale di Hakone (l’attuale Centro di Kanagawa), dove era alloggiato. Era la prova di Madre. L’ascoltò subito ed ebbe la sensazione che le due donne si fossero impegnate così tanto per comporre una bella canzone che avevano finito per scrivere una melodia troppo complessa e difficile.
Shin’ichi mandò a Masumi e Makiko due righe per esprimere il suo apprezzamento e per il loro impegno ma, con altrettanta sincerità, le mise anche al corrente di quello che ne pensava: «Credo che la canzone sia troppo difficile. Non è possibile scrivere una melodia un po’ più semplice così che tutti possano cantarla?».
Quando lessero il messaggio, le due donne si resero conto che avevano trascurato la cosa più importante. Avevano pensato solo a se stesse: «Le canzoni sono per la gente. E a maggior ragione una bella canzone può essere cantata da tutti. In realtà non abbiamo considerato quale fosse il vero intento del presidente Yamamoto».
Allora Masumi e Makiko si dedicarono anima e corpo per ritoccare il brano musicale. Infine registrarono la nuova versione e la consegnarono alla sede della Soka Gakkai nel tardo pomeriggio del 4 agosto. Quella sera Shin’ichi l’ascoltò insieme a sua moglie, Mineko. Nella nuova versione, la canzone poteva essere cantata da chiunque e faceva affiorare i ricordi e l’amore per la propria mamma.
«Hanno realizzato una canzone meravigliosa, non è vero?», esclamò Mineko, sorridendo.
«Sì, è davvero una bella canzone», annuì Shin’ichi. «Sono sicuro che piacerà anche a mia madre e a tutte le madri del Giappone e del mondo intero».
Poi disse a un responsabile che era nella stanza con loro: «Per favore, dite loro da parte mia: “Grazie tante, avete creato un capolavoro. Mi piacerebbe farlo ascoltare domani alla riunione della Divisione donne”». Il giorno dopo, la canzone fu eseguita per la prima volta durante il meeting delle donne che si teneva all’Università Soka e Shin’ichi era presente.
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Per apprezzare l’amore di una madre bisogna lodare la forza e l’amore che alimenta la vita, come accade quando le madri mettono da parte i propri bisogni per proteggere i figli.
Nel Gosho L’apertura degli occhi Nichiren Daishonin cita la parabola della povera donna che rifiuta di abbandonare il suo bambino anche se lei sta per essere portata via dalle forti correnti del fiume Gange. Secondo il sutra, in cui si legge il racconto, dopo la morte la donna rinasce nel cielo di Brahma grazie ai meriti acquisiti per il suo amore materno (cfr. RSND, 1, 255).
Il Daishonin usa questa parabola per spiegare il potere della compassione.
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Dopo il festival si precipitò a casa sua. Guardò il viso di sua madre mentre era assopita. Sul volto rugoso si potevano leggere tutte le lotte e le vittorie vissute negli anni. Si sentiva il ticchettio della sveglia nel silenzio della camera. Shin’ichi rimase a fianco della madre fino alle 1,30 del mattino. Decise poi di tornare a casa sua per qualche ora. Il giorno seguente, il 6 settembre, era un lunedì, e fin dalla mattina era pieno di cose urgenti da sbrigare.
Il mattino dello stesso giorno, alle 6,15 di mattina, Sachi esalò il suo ultimo respiro morendo di vecchiaia, mentre i suoi familiari recitavano Daimoku per lei. Così se ne andò serenamente sul Picco dell’Aquila; aveva ottanta anni. Quando Shin’ichi ebbe la notizia era a casa. Si mise subito di fronte al Gohonzon e, insieme a Mineko, fece Gongyo per la felicità eterna di sua madre. I ricordi di Sachi iniziarono ad affollare la sua mente, uno dopo l’altro: la sua modestia, la sincerità, la purezza del suo cuore, la forza e la sua dolcezza.
Aveva allevato tanti figli, era sopravvissuta alla rovina dell’azienda di famiglia e alla perdita di tutti i beni. Senza dubbio aveva passato parte della vita in mezzo a difficoltà e disagi inimmaginabili. Ma dopo l’incontro con il Buddismo, si risvegliò alla sua missione e iniziò a recitare Daimoku per kosen-rufu. La vera vittoria di una persona si vede solo negli ultimi anni di vita.
Poco dopo le 10,30 di mattina, Shin’ichi tornò a casa di sua madre. Voleva vederla: il suo volto era sereno, si scorgeva un sorriso, appena accennato. Recitò tre Daimoku per il suo riposo eterno e disse nel suo cuore: «Mamma, ora dormi tranquilla. Hai sempre vegliato su di me con tanto affetto e mi hai sostenuto da dietro le quinte, non è vero? Quando arriverai sul Picco dell’Aquila, dì loro che sei la madre di Shin’ichi Yamamoto. Sono sicuro che il Daishonin ti saluterà calorosamente. E io continuerò a ripagare il mio debito di gratitudine verso di te e tutte le nobili madri del mondo, dedicando la mia vita a kosen-rufu. Grazie, mamma!».
L’8 settembre, poco dopo le due del pomeriggio, il feretro fu portato via. Salendo in macchina Shin’ichi alzò gli occhi al cielo. Vide le nuvole fluttuare in mezzo a una distesa blu. Lo stesso giorno, diciannove anni prima, Josei Toda aveva pronunciato la famosa dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari nello stadio di Mitsuzawa, a Yokohama. Shin’ichi ricordava perfettamente quel giorno. Rammentava anche come sua madre parlasse di Toda e della fiducia che riponeva in lui. Era anche molto orgogliosa di sapere che suo figlio lavorasse insieme a lui.
Quando le imprese del suo maestro si trovarono in gravi difficoltà economiche, nonostante l’impegno di Shin’ichi per evitare il fallimento, Toda per alcuni mesi non fu in grado di pagargli lo stipendio: Shin’ichi era arrivato al punto di non potersi nemmeno comprare un cappotto ma neppure cibo a sufficienza. Durante quel periodo, accadeva a volte che si fermasse a casa di sua madre per sentire come stava. Non poteva permettersi di portarle un regalo, come era consuetudine a quei tempi: voleva solo vederla e dirle di non preoccuparsi per lui. Sachi, quando guardava negli occhi Shin’ichi, capiva subito le difficoltà che il figlio stava affrontando. Allora sorridendo gli diceva: «So bene che persona sia Toda. Non dimenticare mai di essergli riconoscente, al di là di come possa essere ora la situazione. E impegnati più che puoi, questa è la cosa che devi fare».
E poi: «Sono orgogliosa di te. Hai sempre seguito le tue idee così come il tuo maestro, anche se adesso è molto pesante lavorare per lui. Non preoccuparti per la nostra famiglia e fai del tuo meglio per realizzare gli ideali che condividi insieme al signor Toda».
Poi tirava fuori per lui qualcosa da mangiare, quello che c’era in casa.
Quelle frasi erano sempre un’immensa fonte di incoraggiamento per Shin’ichi, che si stava impegnando al massimo delle sue capacità per sostenere e proteggere Toda. Le parole di sua madre erano sempre di grande effetto: proprio perché lo aveva cresciuto con tanto amore, andavano dritte al suo cuore.