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L’occasione della vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:33

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L’occasione della vita

Paolo Antonelli, Milano

«Recitavo tanto Daimoku e mi sentivo pieno di energia. Gli amici non mi riconoscevano più: mi dicevano “Finalmente adesso ridi!”. Non mi riconoscevo più nemmeno io»

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«Recitavo tanto Daimoku e mi sentivo pieno di energia. Gli amici non mi riconoscevano più: mi dicevano “Finalmente adesso ridi!”. Non mi riconoscevo più nemmeno io»

Era il periodo più brutto della mia vita quando incontrai la pratica. Brutto, buio, oscuro, senza speranza: e avevo solo diciotto anni. Il dolore e lo sgomento che provavo erano dati dal non accettare la mia omosessualità. Avevo sempre tenuto nascosto questo lato della mia esistenza, prima a me stesso, poi agli altri. Mi sentivo solo, sbagliato e l’ambiente che mi circondava non aiutava certo a farmi sentire meglio. I miei amici addirittura prendevano costantemente in giro i gay. Anche la mia famiglia era all’oscuro di tutto; ero solo ad affrontare qualcosa che non conoscevo minimamente.
Nel 1999 frequentavo l’ultimo anno di scuola a Viterbo; la maturità era vicina: vivevo l’avvicinarsi dell’esame come una prova difficilissima, un’invalicabile montagna che avrei dovuto scalare, certo che non ce l’avrei fatta e, in ogni caso, farcela non mi interessava minimamente. Non vedevo di fronte a me un futuro: mi sentivo un perdente, troppo perdente per affrontare una qualsiasi sfida. La mia famiglia era disperata. Passavo le giornate nell’apatia più totale; alcuni giorni non riuscivo nemmeno ad alzarmi. Iniziai anche a fare uso di ogni genere di droga e psicofarmaci, aggravando ancor di più la mia situazione. Non avevo il coraggio di dichiararmi con nessuno, non sapevo quale reazione le persone potessero avere. Avevo paura. Nulla aveva più senso. L’unica via d’uscita che vedevo era la morte. Finché non scelsi un giorno, e lo chiamai “il giorno numero zero”: quel giorno mi sarei ucciso. E quel giorno arrivò: uscii prima da scuola, andai a casa, non c’era nessuno; ingerii ottanta gocce di Valium e mi misi a letto. Mi svegliò mia madre, disperata; e nel ritrovarmi lì, disperato anch’io, le urlai la mia verità. Lei lo disse a mio padre e a mia sorella.
Il fatto che dopo diciotto anni fossi finalmente riuscito a dirlo a qualcuno non migliorò la situazione, anzi tutto peggiorò: in un attimo mi trovai schiacciato dalle insicurezze, dalle paure, dalle incertezze di una vita di finzione; e se prima me la prendevo con me stesso quotidianamente dando testate all’armadio o calci alle pareti, ora colpevolizzavo i miei genitori di tutto. Mi sentivo impotente nell’affrontare ogni cosa.
Poi successe: ero con mia sorella a Viterbo; incontrammo una sua amica, che si accorse del mio stato d’animo. Mi parlò del Buddismo e per la prima volta sentii pronunciare Nam-myoho-renge-kyo. Mi incuriosii subito, le feci delle domande e lei mi invitò a una riunione. Ci andai. Le parole non possono descrivere quello che provai: per la prima volta dopo tanto tempo sentii pace dentro di me. Le persone erano calde, gentili. Non avevo mai, in tutta la mia vita, sentito quel calore, quella cortesia, quel rispetto. Mi commossi perfino del fatto che mi regalarono un libretto di Gongyo. Spiegarono il significato di Nam-myoho-renge-kyo, di questa Legge che permea l’intero universo; spiegarono che anche solo pronunciando quella frase è possibile alzare il proprio stato vitale e che, recitandola, si può arrivare a realizzare tutti i propri desideri. Ascoltavo i discorsi con stupore e incredulità allo stesso tempo, il cuore però mi diceva che potevo fidarmi di quelle persone, di quelle parole. Qualcosa stava risuonando nella mia anima, nel mio profondo, in una parte di me che ancora non conoscevo; così quando tornai a casa iniziai subito a recitare Daimoku. Il giorno dopo mi svegliai ed ero diverso, qualcosa era inspiegabilmente cambiato. Sentivo una tranquillità fino a quel giorno sconosciuta. Continuai a recitare Daimoku ogni giorno, anche solo dieci minuti.
I problemi che prima percepivo come insormontabili iniziarono a ridimensionarsi, mentre assimilavo il concetto buddista che ogni cosa dipendeva da me. Compresi che la mia debolezza nel relazionarmi con gli amici dipendeva esclusivamente dalla totale accondiscendenza nei loro confronti; trovai il coraggio, fino ad allora sconosciuto, di dire loro le cose che non approvavo. Per la prima volta mi sentii protagonista e non uno spettatore passivo che guarda inerte la vita che gli scorre davanti come un film. In poco tempo, grazie al Daimoku, sviluppai una forza interiore che manteneva la mia mente lucida nonostante le mille paranoie riguardo alla mia omosessualità che ancora mi facevano soffrire.
Sentivo questa forza talmente viva e presente che decisi di non avere più bisogno del Buddismo, così smisi di praticare e indirizzai quella nuova energia nella direzione sbagliata: ricominciai con le droghe e mi ritrovai come prima, peggio di prima. La situazione precipitò un’altra volta: di nuovo urla in famiglia, apatia totale, svogliatezza negli studi e il solito tunnel riapparve puntuale come un orologio svizzero. Non partecipavo più alle riunioni buddiste, anche se le persone che avevo conosciuto continuavano a incoraggiarmi e mi spingevano a praticare di nuovo: sentivo che se l’avessi fatto sarei stato meglio, ma non riuscivo a trovare il coraggio di rimettermi in gioco e di affrontare i miei limiti.
Una mattina ero a scuola; un professore, il migliore che abbia mai avuto, mi si avvicinò. Mi disse: «Paolo, sono stanco di vederti in aula come uno zombie! Sei uno dei più bravi: non aver paura di mostrare quello che sei veramente. Tira fuori il coraggio e combatti!». Quelle parole segnarono un nuovo inizio. Sentii la sua compassione e quel giorno capii l’importanza dell’incoraggiamento; soprattutto capii che dovevo iniziare di nuovo a praticare. E lo feci “alla grande”. Recitavo tanto Daimoku e mi sentivo pieno di energia. Gli amici non mi riconoscevano più; mi dicevano: «Finalmente adesso ridi!». Non mi riconoscevo più nemmeno io. Dentro di me era esplosa una luce che mi indirizzava verso ciò che era giusto per la mia vita. E mentre cambiavo, l’ambiente cambiava con me.
I famigerati esami di maturità andarono per il meglio. Li affrontai con il coraggio di un leone e alla fine presi 90/100: «È impossibile!» pensavo. E invece era vero. Per la prima volta mi sentivo artefice del mio destino; le difficoltà non svanirono ma io ero in grado di affrontarle. Non vagavo più in balia del consenso degli altri. In me era nata la saggezza nello scindere ciò che era giusto da ciò che era sbagliato. In quel periodo ebbi la mia prima storia d’amore e fu stupenda. Conobbi tanti ragazzi come me e fu meraviglioso condividere con loro le mie esperienze. Trascorsi un’estate indimenticabile. Mi divertii tantissimo, e se prima ero riservato e impaurito, adesso riuscivo a stringere legami di amicizia con tutte le persone. Mi piaceva ascoltare la gente, incoraggiarla; scoprii che è stupendo sentire fino in fondo il cuore degli altri.
Quell’estate davanti al Gohonzon presi la decisione più importante della mia vita, quella cioè di trasferirmi a Roma e di iniziare a frequentare un’accademia di grafica. Grazie alla preghiera sconfissi ogni paura e quella che era solo un’idea si materializzò rapidamente nell’ottobre del 2000: tutto avvenne con la massima serenità e lucidità. Grazie a Nam-myoho-renge-kyo ho imparato a vivere qualsiasi problema come una sfida da vincere assolutamente. Il mio primo anno a Roma lo passai a combattere contro il mio disordine e la pigrizia: chiusi definitivamente con la droga. Questa la considero una delle vittoria più importanti.
Il 15 luglio 2001 ricevetti il Gohonzon. La prima esperienza che feci da membro della Soka Gakkai fu trovare una nuova casa dove ospitare al meglio il Gohonzon. Agendo con convinzione riuscii a trovare la casa dei miei sogni.
Mi venne poi affidata la responsabilità di un gruppo. All’inizio questa attività mi spaventò. Mi dicevo: «Come posso io, appena ventunenne, pieno di insicurezze, essere responsabile della felicità di un gruppo di persone?». Ma poi iniziai a decidere, durante la recitazione della mattina, che la felicità di ogni persona del gruppo era più importante della mia. Sentii il desidero di approfondire ancora di più la fede, non soltanto per me stesso, ma per incoraggiare al massimo ogni persona; ho vissuto questa apertura verso gli altri come un grande regalo.
Da quasi due anni ho una storia con un ragazzo che mi ha permesso di affrontare con maggiore determinazione la mia insicurezza e la tendenza a non sentirmi all’altezza della situazione. Grazie al Daimoku ho sentito profondamente ciò che spiega il presidente Ikeda, e cioè che il giusto atteggiamento in un rapporto di coppia non è guardarsi negli occhi, ma guardare nella stessa direzione.
Lo scorso giugno ho terminato gli studi in Accademia. La tesi è andata alla grande. Ho trovato lavoro immediatamente in una importante casa di moda a Milano. Decidere di trasferirmi così lontano non è stato facile, ma ho raccolto tutto il mio coraggio e ora sono già tre mesi che vivo qui. Non è semplice, ma mi sforzo al massimo ogni giorno per far esplodere kosen-rufu nella mia vita e creare il massimo valore. Come dice il presidente Ikeda, bisognerebbe diventare esperti di relazioni umane ed è questo che decido ogni mattina insieme al desiderio di realizzare la mia missione. Così pian piano si aprirà di fronte ai miei occhi la strada giusta da seguire per la mia e l’altrui felicità. Vorrei concludere con una frase che a me ha incoraggiato moltissimo: la vita è un’occasione, cerchiamo di sfruttarla al massimo.

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