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Lo stupro di un continente - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

7 dicembre 2025 Ore 02:08

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Lo stupro di un continente

La rivoluzione industriale e la crescita dell’Europa furono costruite sullo sfruttamento coloniale dell’Africa e di altre terre, mascherato con la menzogna della superiorità culturale

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La rivoluzione industriale e la crescita dell’Europa furono costruite sullo sfruttamento coloniale dell’Africa e di altre terre, mascherato con la menzogna della superiorità culturale

Ha la faccia da lottatore, il sorriso di un campione che ha combattuto molto e a lungo. Kenneth D. Kaunda, il primo presidente della Repubblica di Zambia (1964-91), ha condotto per decenni una lotta che egli definisce una “guerra nonviolenta”. Armato di sole parole, ha portato avanti una campagna senza tregua contro la dominazione coloniale, che ha pagato col carcere e le persecuzioni.
Dopo aver conquistato l’indipendenza del suo paese, ha appoggiato le lotte per la libertà degli stati confinanti, dando il suo sostegno a Nelson Mandela in Sudafrica e adoperandosi per la liberazione della Rhodesia (il moderno Zimbabwe). In tutta risposta i regimi oppressivi di quelle nazioni misero in atto embargo commerciali contro lo Zambia, affinché cessasse di aiutare le forze di liberazione e si sottomettesse al loro volere.
Ma Kaunda non si lasciò intimidire. Era convinto che la libertà fosse più importante del denaro e gli zambiani accettarono il sacrificio e appoggiarono il loro capo di stato.
Lo Zambia è una nazione situata nell’Africa meridionale, senza sbocchi sul mare. Salì alla ribalta delle cronache quando, durante le Olimpiadi di Tokyo del 1964, cambiò nome. Alla cerimonia di apertura, i suoi atleti sfilarono sotto la bandiera della Rhodesia del Nord, ma verso la fine delle Olimpiadi, il 24 ottobre, arrivò l’agognata indipendenza dal governo britannico. Così, alla cerimonia di chiusura, gli atleti seguirono con orgoglio il nuovo vessillo della Repubblica di Zambia, accompagnati dall’applauso entusiasta degli spettatori e del mondo.
Kenneth D. Kaunda, il padre dell’indipendenza zambiana, si rifiuta di mangiar carne. Racconta così l’esperienza che lo portò a fare questa scelta: «Ricordo ancora chiaramente il giorno in cui vidi un gruppo di povere donne africane venir malmenate di fronte alla macelleria di un bianco, perché stavano protestando per la qualità e il prezzo della carne marcia che lui cercava di rifilare loro. Allora promisi solennemente di non mangiare mai niente che i più poveri dei miei fratelli africani non potessero permettersi».
La prima cosa che Kaunda fece dopo la proclamazione dell’indipendenza fu decurtare gli stipendi dei dipendenti governativi. Li reputava troppo alti. In seguito riformò radicalmente la scala salariale ereditata dal periodo coloniale.
Incontrai il presidente Kaunda nel novembre 1990, durante un suo viaggio in Giappone. Mentre gli stringevo la mano ne percepivo tutto il calore. Mi attendeva con sei libri per me, quattro dei quali con una dedica personalizzata. È un uomo con un alto grado di considerazione per gli altri.
Gli dissi quanto mi avesse commosso leggere le memorie della sua gioventù. Kaunda è il minore di otto figli e il padre morì quando aveva otto anni. Sua madre era insegnante, una professione rara in quei giorni per una donna zambiana. Sebbene fossero poveri, ella fu capace di risparmiare abbastanza denaro per permettergli di andare a scuola. «L’istruzione costava la somma principesca di due scellini e sei centesimi all’anno – appena più del prezzo di una bottiglia di birra dei giorni nostri – ma quanti bambini intelligenti e promettenti erano destinati a sprecare la loro vita perché quell’unica moneta superava le possibilità economiche dei loro genitori? Ancora adesso ardo di rabbia pensando agli amici della mia infanzia ai quali la povertà ha impedito di realizzare se stessi».
Il governo coloniale investiva pochissimo nell’istruzione o nell’assistenza sanitaria. E quando ci fu l’indipendenza, dopo settant’anni di dominio britannico, meno di un centinaio di indigeni aveva ricevuto un’educazione universitaria. Lo stesso valeva per molte altre nazioni africane.
Quanto erano desiderosi di imparare i suoi concittadini! Un gran numero di madri, decise a mandare i figli a scuola, lavoravano dall’alba al tramonto accettando ogni sorta di lavoro extra, dalla lavanderia fino alle mansioni più umili. Ma anche quelli che riuscivano a studiare dovevano affrontare pregiudizi e discriminazioni.
Kaunda ricorda un episodio che accadde quand’era insegnante. A quel tempo, gli africani non potevano entrare nei negozi degli europei passando dalla porta principale. Dovevano chiedere ciò che volevano attraverso un buco posto a lato del negozio, dal quale venivano porte loro le merci. Non potevano vedere o scegliere quello che compravano.
Era agosto e Kaunda andò in una farmacia dove si vendevano anche giocattoli e libri:
«Entrai e chiesi gentilmente un libro. […] La ragazza dietro al bancone […] mi indicò il farmacista che stava anch’egli dietro al bancone. Ribadii la richiesta. Additando la porta, egli disse brutalmente: “Fuori di qui”. Dissi ancora: “Sto solo chiedendo un libro e non riesco a trovarlo da nessun’altra parte in città”. Rispose: “Puoi star lì fino a Natale ma non avrai mai un libro da me”».
Kaunda venne buttato fuori. Alla fine, esperienze spersonalizzanti come questa lo trasformarono in un paladino dell’indipendenza. Era inevitabile perché, come lui stesso afferma: «L’educazione dovrebbe aiutare le persone a difendersi da qualunque cosa che tenda alla spersonalizzazione».
Citando queste sue parole, commentai: «L’essenza dell’educazione è l’umanesimo. Educazione significa incoraggiare la piena fioritura della nostra umanità. Ecco perché un’educazione autentica conduce inevitabilmente a lottare contro qualunque autorità o potere che “tenda alla spersonalizzazione”. Questa fu la lotta condotta anche da Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda, primo e secondo presidente della Soka Gakkai».
“Un’ autorità che tenda alla spersonalizzazione”: sarebbe un eufemismo insufficiente a descrivere l’esperienza africana. Per quattro secoli, a partire dal sedicesimo, l’Africa è stata oggetto di violenza, prima con la tratta degli schiavi e poi con la successiva amministrazione coloniale delle varie nazioni europee. «Fu lo stupro di un continente», disse il noto scrittore afroamericano W.E.B. DuBois (1868-1963). In altri termini, la straordinaria espansione globale e la crescita economica dell’Europa, compresa la rivoluzione industriale, furono costruite sullo sfruttamento dell’Africa e di altre terre, una cruda verità storica che oggi perfino gli storici europei sono pronti a far notare.
Per il Giappone, che ha seguito il modello europeo, riconoscere questo fatto equivale ad ammettere le proprie responsabilità di ex potenza imperialista.
«Nel corso della storia – ha scritto Kaunda – i tiranni colpevoli di crimini terribili contro l’umanità si sono preoccupati di dimostrare che erano nel giusto. Perfino quando pareva che avessero conquistato il mondo, continuavano a distruggere le prove delle loro atrocità e a cercare di riscrivere la storia».
Le barbarie commesse dalle potenze coloniali da un capo all’altro del continente africano, furono innumerevoli. Per esempio, in un paese, alla fine del diciannovesimo secolo, gli schiavi che nelle piantagioni di caucciù non raggiungevano le quote di produzione venivano puniti con l’amputazione di una mano o di un piede. In altri casi, bambini di sette o otto anni venivano costretti a lavorare in manette e catene. Queste erano le gesta di coloro che sostenevano di governare l’Africa “per il suo stesso bene”.
Anche gli schiavisti occidentali attivi prima del periodo coloniale non sentivano alcun senso di colpa o rimorso. Gli africani venduti come schiavi all’estero, dicevano, erano avvantaggiati perché “potevano accedere alla civiltà e non sarebbero più stati esposti alle costanti guerre dell’Africa”. Quando ci fu la rivoluzione industriale e le macchine presero il posto della manodopera umana, il bisogno di schiavi diminuì rapidamente. Era più conveniente far lavorare gli africani in Africa e far soldi vendendo loro le merci europee. Poi si levò il grido che la schiavitù era “immorale” e venne abbandonata. Al suo posto le potenze europee si insediarono in Africa.
Per giustificare la colonizzazione, si sfruttarono varie “scienze” come il darwinismo sociale in voga all’epoca. Gli studiosi occidentali, con “le loro indagini manipolate, le loro generalizzazioni opportuniste, le loro speculazioni tendenziose”, dimostrarono l’“arretratezza” degli africani. Alcuni di questi dotti studiosi sostennero perfino che «la struttura cerebrale dei nordafricani [è] responsabile sia della loro indolenza, sia della loro inettitudine sociale e intellettuale, sia della loro impulsività pressoché animalesca». E così la violenza e lo sfruttamento vennero giustificati con menzogne e propaganda razzista.
Kaunda chiese che tali fandonie venissero rese note, non solo per il bene degli oppressi, ma anche perché gli oppressori potessero riconquistare la loro umanità. Come ha detto uno studioso: «Il colonizzatore, che per lavarsi la coscienza prende l’abitudine di vedere l’altro uomo come un animale, si abitua a trattarlo come un animale, e tende obiettivamente a trasformare se stesso in un animale».
In un modo straordinariamente simile, molti giapponesi sono stati colpiti da una malattia dello spirito che li conduce a guardare dall’alto in basso gli altri asiatici.
Kaunda iniziò la sua attività nel movimento indipendentista a venticinque anni. Girava per il paese in sella a una bicicletta, con una chitarra a tracolla. Cantando “canzoni di libertà” da lui stesso composte, aiutava a organizzare il movimento di liberazione. Siccome solo pochi sapevano leggere e scrivere, era un modo particolarmente efficace di diffondere il suo messaggio.
Le attività del suo movimento di liberazione lo tenevano suo malgrado spesso lontano da casa e la sua vita era in pericolo. Ma era pronto a questi sacrifici. «Quando si va in cerca di miele ci si aspetta di essere punti dalle api». La cosa più dura per lui era che anche la moglie Betty e i figli erano costretti a far sacrifici. Era povero e non poteva comprar loro cibo, vestiti, medicinali e suppellettili di cui avevano bisogno. Kaunda non perde occasione di attestare la propria gratitudine nei confronti della moglie, alla cui forza attibuisce la propria capacità di continuare a lottare.
Lo Zambia – ex Rhodesia del Nord – attrasse improvvisamente l’attenzione su di sé quando vi fu scoperto un grande giacimento di rame, negli anni Venti, poco dopo la nascita di Kaunda. Il fabbisogno mondiale di rame era in crescita e le potenze coloniali si precipitarono nella zona. Si impadronirono di tutte le terre migliori e tassarono le persone, che dovevano pagare in contanti. Per trovare quel contante erano costretti a lavorare nelle miniere. La paga era bassa e il lavoro pesante, ma non avevano altra scelta. Fino all’arrivo dei colonizzatori, le persone erano autosufficienti, ma con tutti gli uomini impiegati in miniera, i campi erano abbandonati. I proprietari terrieri costrinsero ogni lavoratore agricolo disponibile a coltivare prodotti per l’esportazione, così le foreste vennero tagliate e le carestie divennero la regola.
Anche se le persone desideravano resistere, non potevano competere con gli europei. I capi locali non erano di alcuna utilità. Da tempo ormai gli invasori fomentavano rivalità tra i vari regni dell’Africa, sostenendo i deboli e insediando governi fantoccio per combattere e sconfiggere i regni più forti. Arrivati come “protettori”, gli europei presto diventavano i signori.
Alcuni leader politici africani erano tiranni, altri no, ma l’unica preoccupazione delle potenze europee era piegarli al loro volere. Quelli che accondiscendevano, che fossero o meno tiranni, erano riconosciuti e sostenuti dai colonizzatori; quelli che non lo facevano, venivano deposti con il pretesto di proteggere le persone dalla loro tirannia. Era uno stile di governo ben descritto dall’espressione: «Una distesa selvaggia chiamata pace».
Il giovane Kaunda riflettè a lungo sul modo migliore di raggiungere l’indipendenza. Affrontò il muro apparentemente impenetrabile del sistema coloniale; come resistere alle autorità che sparavano ai lavoratori semplicemente perché scendevano in sciopero? Il maggior problema era la sua fede che, come cristiano, non gli permetteva di far del male ad altri esseri umani; ma come si poteva liberare il paese senza nuocere a nessuno? Si sentiva intrappolato tra i suoi principi umanitari e gli aspetti pratici dell’azione politica, un dilemma che lo tormentò anche dopo l’indipendenza.
A soccorrere il giovane Kaunda fu la filosofia del Mahatma Gandhi, splendente «come gemme in un fiume di fango». Gli parve che la luce avesse trafitto la scura foresta. Da un lato Gandhi era un saggio di grande integrità morale, e dall’altro un politico che aveva conquistato l’indipendenza del suo popolo. Kaunda aveva trovato la risposta al suo problema: «Le nostre armi principali non erano i fucili ma le parole, migliaia e migliaia di parole, scritte e parlate per incoraggiare la nostra gente, per esporre le nostre rivendicazioni al governo britannico e al mondo, per esprimere la nostra rabbia e la frustrazione di fronte al diniego del diritto naturale a governare il nostro paese».
Costituì il Congresso nazionale africano dello Zambia e fu immediatamente perseguitato e messo fuorilegge; venne imprigionato per nove mesi, durante i quali ebbe una ricaduta della tubercolosi, che aveva contratto in precedenza. Eppure nonostante questa situazione difficile, con le sue lettere dal carcere, continuava a ispirare i suoi compagni nella lotta per l’indipendenza: «Hanno messo al bando il grande nome dello Zambia, ma il nome ancora più grande di freedom now (libertà adesso, lo slogan del movimento per i diritti civili, n.d.t.) è spirituale. È al di sopra della loro comprensione e dunque non possono bandirlo. Dobbiamo organizzare la nostra gente quando usciremo [dal carcere], nel nome di freedom now. L’Africa, la nostra madre Africa deve essere libera e tocca a noi liberare questa parte. Forza, siamo solo all’inizio».
Quando venne rilasciato dalla prigione, Kaunda divenne il capo del nuovo United National Indipendence Party e annunciò pubblicamente la sua politica ufficiale di nonviolenza gandhiana. Invocò incessantemente il dialogo, insistendo che le parole di quel dialogo fossero cristalline perché: «Le parole sono potere. La farraginosità è impotenza». Gli africani avevano sofferto per troppo tempo a causa dell’esatto contrario della chiarezza: le menzogne della burocrazia. Ne avevano abbastanza del gioco degli equivoci fuorvianti, era arrivato il momento di «spazzar via tutti gli oscurantisti, tutti gli inventori di sotterfugi, i ciarlatani e gli imbroglioni, i venditori di linguaggio pomposo».
Kaunda dichiarò: «Un altro maestro nell’arte della comunicazione era il Mahatma Gandhi. I suoi scritti meritano uno studio attento, non solo per il contenuto, ma anche per il suo bel modo di esprimersi. Il suo linguaggio era semplice come il suo modo di vivere; sapeva che cosa voleva dire e lo diceva in maniera chiara e concisa».
Servendosi delle sue capacità dialettiche per appellarsi con efficacia all’opinione pubblica della Gran Bretagna e del resto del mondo, Kaunda conquistò l’indipendenza per la sua nazione senza far ricorso alla violenza. Riflettendo sulla sfida affrontata assieme ai suoi compatrioti, in seguito scrisse: «Se avessimo agito sulla base di “occhio per occhio”, la storia degli ultimi giorni della Rhodesia del Nord e dei primi giorni dello Zambia sarebbe stata scritta con il sangue».
L’eccitazione delle persone raccolte nello Stadio dell’Indipendenza, nella capitale zambiana Lusaka, il 23 ottobre 1964, saliva fino al cielo notturno. L’elettricità era palpabile. Un minuto prima di mezzanotte, suonò una fanfara e i fari illuminarono la nuova bandiera della Repubblica dello Zambia. Alla fine la gente aveva il proprio paese e il proprio vessillo! Mentre suonava l’inno nazionale, venne lentamente issata la bandiera.
Il nuovo presidente Kaunda lavorava sodo, da 18 a 20 ore al giorno. Propugnava l’umanesimo come filosofia nazionale, e voleva istruzione e assistenza sanitaria per tutti. Le quotazioni del rame rimasero alte e l’economia della nazione era forte. Ma negli anni Settanta, il prezzo del rame mondiale crollò, provocando una crisi economica. La politica socialista di nazionalizzazione delle maggiori industrie si stava rivelando un insuccesso e l’economia nazionale era in pericolo.
[In quel periodo, la causa del crollo del prezzo del rame sui mercati mondiali viene dalla volontà degli Stati Uniti, nella persona di Nixon che ha messo a disposizione dell’operazione dieci milioni di dollari di allora, di far cadere Allende in Cile. Allende il 15 luglio 1971 nazionalizza i giacimenti di rame e gli ex proprietari americani non gradiscono il misero indennizzo. Nel 1998 Clinton ha desecretato i documenti di quel periodo e l’intervento della CIA nell’insediamento di Pinochet ora è di dominio pubblico. (Fonte: http://www.cia.gov), n.d.r.]
Nonostante questo, il presidente Kaunda e il popolo zambiano continuarono ad appoggiare la lotta per la libertà nelle altre nazioni dell’Africa meridionale: il Sudafrica governato dai bianchi, la Rhodesia (ora Zimbabwe) e l’Africa del Sud-Ovest (ora Namibia).
Il prezzo di questa lotta per la libertà fu alto. Per ritorsione, le élite bianche al governo nei paesi contigui chiusero i confini, impedendo perfino l’uscita dallo Zambia del traffico su rotaia. Il risultante aumento dei costi di esportazione delle merci era una questione di vita o di morte per la nazione, priva di sbocchi sul mare. Gli stessi governi contigui incoraggiavano complotti per “rovesciare Kaunda” e intrapresero una campagna per scoraggiare investimenti stranieri nel paese.
Ma gli zambiani resistettero a tutto questo e continuarono ad accettare rifugiati dai paesi vicini, tanto che questi raggiunsero il 2% della popolazione. Oggi la lungimiranza degli zambiani e del presidente Kaunda è apprezzata in tutto il mondo. Malgrado tutto, Kaunda è rimasto umile; il quotidiano Zambia Daily Mail riporta le sue parole: «Se ho visto più lontano degli altri, è perché stavo sulle spalle di giganti». «Per lui – continua l’articolo – i giganti sono gli zambiani».
Coloro che sono stati perseguitati e oppressi, hanno acquisito una lucida visione del mondo. Namakando Mubiana, una quindicenne zambiana, scrisse in una lettera nei primi anni Novanta: «Ogni giorno, ora, minuto e ogni secondo, dei bambini muoiono o patiscono per ragioni loro estranee. Soffrono a causa di terremoti, siccità e guerre, ma sembra che questo interessi a poche persone. Oggi più dei tre quarti dei bambini soffrono. Come dice il proverbio: “Quando due elefanti lottano, è l’erba a risentirne”. Ma gli elefanti sanno che l’erba patisce?».
La pace è la priorità più urgente per l’umanità. Anche dopo il ritiro dalla scena politica, Kaunda ha continuato a denunciare la dominazione dei deboli da parte dei forti in ogni parte del globo. Ci sollecita a guardare il mondo attraverso gli occhi delle nazioni più povere e delle persone più svantaggiate. L’anno scorso ci ha onorato con la visita al grande Centro culturale della SGI-Zambia, dove ha parlato di umanesimo.
Ricordo ancora la dedica che scrisse su uno dei libri che mi regalò in occasione del nostro incontro in Giappone:

Per il presidente Daisaku Ikeda

Signor presidente, io e lei
sognamo la stessa cosa
per l’uomo –
un Est dell’Uomo
un Ovest dell’Uomo
un Nord dell’Uomo
un Sud dell’Uomo!
Continuiamo a costruire
insieme umanesimo in questo
nostro unico mondo!

Ancora oggi, a settantanove anni, Kaunda è in prima linea nella lotta nonviolenta per la pace.

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Il primo presidente dello Zambia libero

L’ex presidente dello Zambia Kenneth Kaunda è nato nel 1924. In origine un educatore, è stato una figura preminente del movimento di liberazione dello Zambia dal governo britannico, diventando il primo presidente della nazione, ritornata indipendente, nel 1964. Dal suo ritiro dalla politica nel 1991, Kaunda è stato un sostenitore dell’istruzione dei bambini che hanno perso i genitori a causa dell’AIDS, ed è ampiamente riconosciuto come uno dei maggiori leader africani.

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