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L'intenzione dietro lo schermo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:35

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L’intenzione dietro lo schermo

A soli ventiquattro anni Erica Yoko Necci è una promessa del doppiaggio. Sua la voce di molte attrici: da Dakota Fanning in La guerra dei mondi di Spielberg, a Chihiro la protagonista del film di animazione La città incantata di Miyazaki. Di recente è stata premiata come Miglior voce femminile dell’anno per l’interpretazione in Dodici anni schiavo, film vincitore di due premi Oscar

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A soli ventiquattro anni Erica Yoko Necci è una promessa del doppiaggio. Sua la voce di molte attrici: da Dakota Fanning in La guerra dei mondi di Spielberg, a Chihiro la protagonista del film di animazione La città incantata di Miyazaki. Di recente è stata premiata come Miglior voce femminile dell’anno per l’interpretazione in Dodici anni schiavo, film vincitore di due premi Oscar

In che modo è cominciata la tua vita di doppiatrice?

Tutto è cominciato grazie a mia madre. Quando ero piccola ogni tanto mamma mi portava con lei negli studi dove lavorava in moviola e io rimanevo affascinata dai doppiatori.
Anche se ero solo una bambina mi colpiva molto la serietà e la dedizione che le persone mettevano in quello che facevano e da come, grazie a questo atteggiamento, riuscivano a tirare fuori da loro stesse qualcosa nascosto fino all’istante precedente. Le emozioni come la paura, il coraggio, la sorpresa, il disgusto, la rabbia emergevano così, in un istante. Mi sembrava una magia.

E la tua vita insieme al Buddismo?

Ho iniziato a fare Daimoku fin da piccola. A quattro anni partecipavo agli zadankai e tutte le volte era per me una bellissima esperienza. Quando recitavo Daimoku sentivo qualcosa che si muoveva nel mio cuore. I primi benefici li ho sperimentati in tenera età, avevo otto anni. A causa del diabete, di cui soffro fin da piccolissima, mi sentivo sempre stanca, senza forza vitale e ciò mi creava imbarazzo.
Così facevo Daimoku e, oltre a sentirmi più forte, cominciava a sciogliersi lo sconforto che questa malattia aveva portato nella mia vita. Il diabete è una malattia debilitante, che da una parte ti costringe a seguire alcune regole rigide, come fare regolarmente l’iniezione di insulina, controllare la glicemia ogni due ore, pensare sempre a ciò che puoi o non puoi mangiare, e dall’altra, a causa degli sbalzi glicemici, genera perdita di concentrazione e spossatezza. La mia vita di bambina non scorreva tranquilla e io mi sentivo sempre in lotta.
Inoltre, qualche anno dopo, mi trovai ad affrontare un momento difficile. L’inferno che vivevo mi sembrava essere in disaccordo con le promesse del Buddismo. Grazie al Daimoku mi resi conto che per vivere in accordo con ciò che afferma il Buddismo ed essere felici, era necessario decidere di praticare correttamente. Avevo quindici anni e per la prima volta desiderai approfondire la mia relazione con il maestro, imparare da lui, conoscere meglio la sua visione della vita. Così, guidata da questo nuovo desiderio, mi sono sforzata nel recitare Nam-myoho-renge-kyo ogni giorno rendendomi presto conto che recitare Daimoku con il desiderio di avvicinarmi al cuore del presidente Ikeda mi permetteva di andare oltre alla mia visione e di credere che era possibile vincere. A sedici anni sono diventata membro della Soka Gakkai.

Adesso sei cresciuta e sei una doppiatrice stimata e apprezzata. Pensi che il Buddismo abbia avuto un ruolo importante nella tua crescita professionale?

Sono convinta di essere diventata una doppiatrice adulta grazie al cambiamento che mi ha permesso di fare il Buddismo. Finite le scuole superiori non lavoravo molto e per entrare “nel giro” avrei dovuto propormi, farmi notare. Di natura sono molto timida e ho sempre avuto paura di stare al centro dell’attenzione. Mi sentivo incapace di valorizzare le mie qualità.
Per due anni ho lavorato poco ma, recitando tanto Daimoku, sono riuscita a vedere profondamente la mia tendenza a non riconoscere il mio valore. Grazie all’attività con le giovani donne misi l’obiettivo di diventare padrona del mio valore desiderando trasformare concretamente il mio atteggiamento sul lavoro e, per vincere la mia riservatezza, decisi di fare un’azione coraggiosa: presentarmi di mia iniziativa a un direttore di doppiaggio che non conoscevo e con cui non avevo mai lavorato. Nell’ambiente di lavoro fui sostenuta tanto da una collega che prese a cuore la mia lotta incoraggiandomi ogni giorno a vincere, cosa assolutamente non scontata in un ambiente tanto competitivo. Compresi così il valore dell’amicizia e quanto fosse importante la mia vittoria, non solo per me ma anche per gli altri.
Qualche tempo dopo si presentò l’occasione che andavo cercando: mentre lavoravo ho saputo che nello studio accanto c’era un direttore con cui non avevo mai lavorato. Ero fuori dalla stanza, sudavo freddo, e mi sono messa a fare Daimoku con il desiderio di parlarci. A un certo punto mi sono incamminata verso la sala registrazione dove si trovava il direttore che in quel momento ha incrociato il mio sguardo e con mia grande sorpresa mi ha invitata a entrare domandandomi della mia esperienza di lavoro. Mentre parlavo ho sentito che ero riuscita ad abbattere il muro che sentivo dentro e che, grazie all’impegno che mettevo nel portare avanti kosen-rufu, piano piano il mio valore cominciava a emergere.

Poi cosa è successo?

Da quel momento il lavoro è aumentato tanto anche se il senso di inadeguatezza e di vergogna ancora non mi facevano stare bene. Così all’inizio dell’anno scorso ho messo un altro obiettivo insieme alle giovani donne: quello di lavorare senza paura nel cuore, di liberarmi dal timore del giudizio degli altri.
Qualche tempo dopo sono stata chiamata da un direttore di doppiaggio che stava lavorando a un film importante, Dodici anni schiavo, che racconta la terribile storia della schiavitù della popolazione nera in America, vincitore di due premi Oscar. Entrata in sala mi ha fatto vedere una delle scene più drammatiche del film, dove la coprotagonista viene ripetutamente frustata a sangue, dicendomi che anche se mi aveva convocata per quella parte non era sicuro che sarei stata in grado di fare un buon lavoro su quella scena. Ero davanti alla mia paura e mi sono detta: «Erica è arrivato il momento di mostrare chi sei e ciò che sai fare, di vincere». Appena ho visto la scena mi sono commossa, era toccante, piena di dolore e mancanza di dignità per gli esseri umani, per le donne. L’ho incisa alla prima, conquistando la fiducia in me stessa e del direttore.
Grazie a questa interpretazione ho vinto il premio come Miglior doppiatrice nel ruolo non protagonista al gran premio internazionale del doppiaggio; al Romix festival del fumetto e delle voci ho vinto un premio come miglior voce femminile del 2014.
Sono convinta che è stato reso possibile dalla rivoluzione umana che ho fatto grazie all’attività nella Soka Gakkai.

Che cosa è per te la voce?

Per me è il sentiero che ci unisce agli altri. È vero che ci sono tanti linguaggi non verbali, ma la voce ha la caratteristica di dare forma e colore all’intenzione del cuore.
Sensei ci dice che kosen-rufu si sviluppa grazie ai legami che riusciamo a creare. Io ho sempre pensato che la voce può avere un ruolo importante in questo senso. Tramite il legame che le persone creano con la mia voce, desidero che esse possano trovare la strada per diventare felici. È una cosa sottile, che non dico solitamente [ride]. È l’intenzione di mettere la mia vita a disposizione di tutte le persone e di dedicarmi al cento per cento alla mia missione di Bodhisattva della Terra.

Che cosa significa per te fare kosen-rufu nel tuo lavoro?

All’interno del mondo del doppiaggio, il desiderio di kosen-rufu mi ha aiutata a decidere di voler contribuire al benessere dei colleghi e a impegnarmi per la tutela del nostro lavoro.
La mia impressione è che in questo momento storico ci sia l’attitudine a pensare unicamente al profitto, lavorare tanto e in meno tempo, e anche il nostro ambiente non ne è esente. Dopo un anno che recitavo Daimoku con l’obiettivo di fare qualcosa, per riaccendere l’interesse su alcune problematiche del nostro ambiente insieme ai miei colleghi più giovani abbiamo deciso di formare un gruppo. La partenza è stata strepitosa e, anche se alcuni hanno abbandonato l’impresa, insieme ai colleghi rimasti abbiamo deciso di continuare a promuovere il dialogo tra noi. È la prima volta nell’ambito del doppiaggio che dei giovani, che condividono la stessa professione, si incontrano per dialogare sulle problematiche della propria attività. Inoltre, grazie all’attività di Senzatomica, ho potuto offrire il mio contributo per un mondo di pace insieme ai colleghi adulti. Uno di loro, con cui ho condiviso il pensiero della campagna, ha mostrato un entusiasmo e un sostegno così forti che ha deciso non solo di aiutarmi, ma di coinvolgere anche altri colleghi per doppiare il video “ricordiamo #lanostraumanità”, utilizzato per promuovere la commemorazione, [avvenuta il 9 luglio nelle piazze italiane, n.d.r.] della stesura del manifesto Russell-Einstein.

In che modo la relazione con il maestro ti ha aiutato nella vita e nella professione?

Posso affermare con certezza che mi ha salvato la vita. Se non avessi deciso di fidarmi del mio maestro non avrei avuto il coraggio di vivere, di lottare.
La decisione di fidarsi del maestro per me è stata come fare un atto di umiltà, andare oltre la mia convinzione di non avere le capacità di credere nella visione di sensei.
Questa relazione mi ha permesso di trasformare la disperazione e la mancanza di fede che era radicata nella mia vita. Tutto ciò che vivo ogni giorno lo devo alla decisione che presi da adolescente di fidarmi di lui e di mettere in pratica ciò che insegna, e al fatto che ho sempre rinnovato questa decisione. Mettere al centro la visione vittoriosa che ha il mio maestro, questa è la chiave che mi ha permesso di trasformare ogni cosa nella mia vita. Una persona può anche praticare, ma la vera sfida è decidere. Se non si decide nell’istante presente di vincere allo stesso modo in cui Ikeda ha deciso di vincere per Toda, di imparare questo spirito vittorioso della relazione tra maestro e discepolo, andare fino in fondo diventa difficile, e vincere quasi impossibile.

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