Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
L'inferno non è poi così distante dalla Buddità - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:17

557

Stampa

L’inferno non è poi così distante dalla Buddità

Irene Vavolo, Campi Bisenzio (FI)

Nonostante il dolore, sentivo profondamente che tutto ciò che mi stava accadendo doveva avere un senso anche se io non lo vedevo, che quella era la prova più dura per la mia fede, il demone più grande, e che dovevo solo andare avanti

Dimensione del testo AA

Nonostante il dolore, sentivo profondamente che tutto ciò che mi stava accadendo doveva avere un senso anche se io non lo vedevo, che quella era la prova più dura per la mia fede, il demone più grande, e che dovevo solo andare avanti

Ho iniziato a praticare a diciassette anni grazie a mia sorella. Ero una ragazzina chiusa e insicura, non mi piacevo e volevo cambiare il mio carattere. Mi dissero che con la pratica buddista potevo trasformare me stessa e così iniziai. Il primo beneficio è stato l’amore: desideravo un ragazzo che mi rispettasse e amasse veramente e dopo pochi mesi mi accorsi di essermi innamorata proprio di Stefano, mio compagno di classe, e lui di me, così ci mettemmo insieme. Dopo poco anche lui iniziò a praticare e ricevette il Gohonzon.
Una delle prime decisioni coraggiose che presi fu di lasciare il conservatorio dopo sette anni di studio del violoncello, nonostante il dissenso e il dispiacere dei miei genitori. La mia felicità dipendeva solo da me, non da cosa gli altri mi dicevano di fare, quindi abbandonai per sempre la musica, convinta che non sarebbe mai stata la mia strada.
Ispirata dal presidente Ikeda, che mi ha cresciuta con i suoi incoraggiamenti, decisi di capire quale fosse la mia missione: «È importante fare qualcosa, dare inizio a qualcosa. Continuando a sfidarvi con tenacia arriverete in vista dei vostri traguardi e scoprirete la vostra missione, quella che soltanto voi potete realizzare» (I protagonisti del XXI secolo, esperia, vol. 1, pag 21).
Mi iscrissi alla facoltà di Scienze politiche, determinando di dare il massimo nello studio e utilizzare ogni esame come occasione unica per fare la mia rivoluzione umana. Recitavo un’ora di Daimoku al giorno e mi impegnavo nell’attività di protezione (byakuren). In quattro anni mi sono laureata con il massimo dei voti e la lode. Inoltre mi fu proposta la responsabilità di capitolo: iniziai un’attività meravigliosa stringendo legami magnifici ancora oggi preziosi. Nonostante i successi, sentivo che quella missione che cercavo non l’avevo ancora trovata.
In occasione di un meeting della Divisione futuro mi fu chiesto di guidare il coro e di nuovo la musica rientrò improvvisa nella mia vita. Quell’attività mi portò a riscoprire che cantare era sempre stata una passione, ma la paura e l’insicurezza mi avevano impedito anche solo di poter pensare di salire su un palco.
Spinta da sensei a coltivare grandi sogni, determinai il mio desiderio impossibile: «Io diventerò una cantante». Me lo scrissi e poi lo misi nel cassetto, dubitando un attimo dopo averlo pronunciato.
Decisi di prendere lezioni di canto, basando questa volta tutto sul Daimoku per fare un vero cambiamento. Piano piano trovai più sicurezza in me: iniziai con i primi concerti dal vivo e fondai la mia prima band con Stefano, quel famoso compagno di classe, quell’amore vero dei diciassette anni, con cui poi decisi di andare a convivere. Avevo venticinque anni.
In quel periodo entrai a lavorare come impiegata in Comune. Ero convinta razionalmente che la mia vita stava prendendo la direzione giusta della stabilità e della sicurezza; ben presto mi accorsi che il lavoro da impiegata non faceva per me, mi sentivo infelice perché mi stavo accontentando.
Tirai fuori di nuovo il mio sogno. Decisi che avrei potuto insegnare e lavorare con il canto; incoraggiata da Stefano, scrissi tra i miei obiettivi quello di avere in un anno quindici allievi.
Il 28 novembre del 2006 tornai a casa e mi accorsi che Stefano non era rientrato dalla partita di calcetto. Provai una strana preoccupazione, avevo lasciato il cellulare a casa e mi accorsi che avevo ricevuto molte telefonate tra cui un messaggio che diceva «Vieni al pronto soccorso». Mi precipitai recitando Daimoku in macchina, ma Stefano era già morto per arresto cardiaco. Da quel giorno tutto è cambiato, sparirono in un attimo tutti i sogni, nove anni insieme spazzati in un istante. Mi aggrappai alla preghiera e allo studio cercando di capire, di placare la rabbia e i dubbi che mi affioravano, mi sentivo una vittima e mi chiedevo perché fosse capitato proprio a me. Avevamo solo ventisei anni, mi sembrava di vivere in un incubo. Ma l’Inferno non è poi così distante dalla Buddità. Nonostante il dolore, sentivo profondamente che tutto ciò che mi stava accadendo doveva avere un senso anche se io non lo vedevo, che quella era la prova più dura per la mia fede, il demone più grande, e che dovevo solo andare avanti proprio come insegna Nichiren: «Qualunque cosa accada mantieni sempre la tua fede» (RSND, 1, 341).
Compresi grazie allo studio che avrei trasformato il mio karma in missione e che dedicarsi a kosen-rufu significava dedicarsi agli altri attraverso l’esempio della propria trasformazione.
Il primo anno senza Stefano fu estremamente duro, dovetti lasciare anche la casa dove convivevamo per tornare a vivere con i miei genitori, ma non smisi un attimo di praticare. Anzi iniziarono anche la mamma, il fratello e il cugino di Stefano, e io mi dedicai a loro come avrebbe fatto lui. Anche mia madre, dopo poco, cominciò.
Il 2008 segnò l’anno della mia rinascita e coincise con uno degli eventi più importanti della SGI: il cinquantesimo anniversario del 16 marzo 1958, giorno di kosen-rufu. A Milano si riunirono quattromila giovani da tutta Europa. Mi fu chiesto di guidare il coro di cinquecento giovani europei: un’impresa che mi sembrò immensa, ma provavo così tanta gratitudine che mi sentii onorata. Quel giorno, che ricorderò per l’eternità, vivevo una gioia enorme e forte come il dolore provato in quei due anni senza Stefano.
Un mese dopo, realizzando uno dei sogni che avevo dall’inizio della pratica, andai in Giappone e incontrai il mio maestro. Ricordo l’”Evviva” che Ikeda fece con tutti noi membri stranieri: risuonò come una promessa, la promessa che avrei vinto e sarei diventata felice.
Fu l’inizio di una nuova Irene. Ricominciare una nuova vita significava sentire profondamente che io meritavo di essere felice nonostante dentro di me sentissi la colpa di essere sopravvissuta. Intanto la musica non mi abbandonò mai; anzi proprio attraverso il canto riuscivo a esprimere quello che sentivo, ero me stessa. Nel 2009 ho incontrato Maurizio, un ragazzo che aveva il grande sogno di diventare un chitarrista. In lui vedevo i miei sogni e uno stimolo a inseguirli e tra noi iniziò una splendida amicizia. Mi incoraggiava sempre a inseguire il mio sogno e mi stava molto vicino, ma io non riuscivo a fare lo stesso, lo tenevo a distanza. L’impronta della mia sofferenza si faceva sentire. Non mi sentivo una persona normale, mi sentivo segnata; pensavo che non sarei mai più stata felice, mi sentivo così, “una donna che aveva perso il suo compagno”. Era molto difficile vincere ogni giorno questo pensiero negativo e vedevo che anche gli altri mi guardavano così. Affidandomi al Daimoku, recitando per vincere gli attacchi d’ansia, determinai di essere felice e con Maurizio è iniziata una splendida relazione nella quale ancora oggi ognuno stimola l’altro a credere nei propri sogni.
A ottobre presi un’altra decisione: realizzare quel desiderio di diventare una cantante professionista. A ventinove anni mi iscrissi di nuovo all’Università per frequentare un corso triennale che mi permetteva di laurearmi in musica contemporanea: a trentadue anni mi sono laureata per la seconda volta.
Con grande coraggio lasciai il lavoro sicuro come impiegata. Ricordo che dentro di me sentivo di poter affrontare tutto, che mi ero rafforzata in quegli anni di sofferenza e che, avendo perso tutto, il lavoro mi sembrava la cosa meno spaventosa da lasciare. Presa questa decisione, ebbi subito il grande beneficio di entrare in contatto con un ragazzo che stava aprendo una scuola di musica nella mia città e aveva bisogno di un’insegnante. Iniziai subito a lavorare e, da tre allievi, in un anno arrivai a venti. Ho scoperto che insegnare canto è il mestiere che mi permette di sentirmi bene e di coniugare i tre valori di bellezza, guadagno e utilità che ho da sempre inseguito.
Ancora oggi il cantare mi porta a dover affrontare le mie debolezze e insicurezze e ogni volta, grazie al Daimoku, riparto dal cambiare l’opinione che ho di me stessa e del mio valore.
Il lavoro costante su di me mi ha portato a maturare la decisione di scrivere canzoni e di realizzare un album che rappresenti i miei valori, che possa incoraggiare ed emozionare.
Questa mia determinazione ha coinciso con il desiderio del gruppo Kayo-kai della regione Toscana di comporre una canzone che abbiamo intitolato Il battito della speranza, a cui ho contribuito per la parte musicale insieme al mio compagno. Questa occasione è stata la spinta per scriverne altre, e la conferma della mia missione come musicista.
Dopo un anno di lavoro intenso, sostenuta dal Daimoku e dall’attività, ho realizzato il sogno di produrre e pubblicare il mio primo album.
Recito Daimoku ogni giorno per realizzare la mia missione per kosen-rufu e con enorme gratitudine mi prendo cura delle giovani donne del mio territorio continuando ad allargare ogni giorno i legami di amicizia. Oggi sento davvero che, qualunque cosa accadrà, io sarò felice!

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata