Finalmente raggiunsi la provincia di Sado e, conformemente alla natura di quella terra settentrionale, trovai un vento particolarmente forte in inverno, neve alta, vesti leggere e cibo scarso. Compresi allora come un albero di mandarino, sradicato e trapiantato in una sede differente potesse diventare in maniera naturale un albero di arancio trifogliato.
tratto da The Writings of Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 519 – vedi anche SND, 9, 75
In questo brano…
Lettera a Horen è uno dei nove Gosho indirizzati a Soya Kyoshin, prete laico che aveva ricevuto la tonsura nel 1271 e che da allora aveva assunto il nome buddista di Horen Nichirai. All’epoca in cui ricevette la lettera, Horen praticava il Buddismo di Nichiren Daishonin da quindici anni ed era una delle guide dei credenti della provincia di Shimosa. L’occasione fu rappresentata dall’anniversario della morte di suo padre, avvenuta tredici anni prima. In questo Gosho Nichiren Daishonin insegna come le avversità rappresentino un tesoro per la crescita umana. Grazie a esse è possibile sviluppare qualità e potenzialità presenti nella nostra vita in forma latente, capaci di rendere noi stessi persone che brillano di una nuova forza e di una rinnovata consapevolezza della propria natura di Budda. Nonostante il Daishonin si trovasse in condizioni davvero miserevoli, si era reso conto di come proprio queste condizioni avverse avessero reso possibile la sua crescita spirituale. Il forte vento invernale e la neve alta rappresentano un ambiente ostile, che ben simboleggia il nostro stesso ambiente nel momento in cui stiamo affrontando prove particolarmente dure della vita. E noi, in quei momenti, ci sentiamo come se in un rigido inverno non avessimo che “vesti leggere e cibo scarso”. Ma è proprio allora il momento in cui decidere di manifestare una forte determinazione in grado di affrontare l’inverno nonostante le premesse non siano delle migliori. L’esempio fatto dal Daishonin si ispira a una storia contenuta nel classico cinese La raccolta di Yen Tzu, nel quale si racconta di un albero di mandarino cresciuto a sud del fiume Yangtze che diventa un arancio trifogliato, albero ornamentale resistente al freddo, se trapiantato a nord del fiume Huai, simboleggiando il cambiamento che l’ambiente può esercitare sulle persone.
Secondo il Buddismo le avversità di per sé non rappresentano necessariamente una causa di cambiamento positivo. Potremmo paragonare le avversità a una montagna; essa può ostruirci il cammino o può servire, una volta giunti in vetta, ad ammirare il paesaggio come mai avremmo potuto fare dalla pianura. Ma di per sé la montagna è solo una montagna. Il Buddismo di Nichiren Daishonin permette, attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon, di scalare la montagna della sofferenza e delle difficoltà al fine di ottenere una condizione vitale invincibile. Un albero di mandarino, esposto a un freddo particolarmente pungente, può anche morire; se invece resiste all’inverno diverrà ancora più bello, proprio come un essere umano che si risveglia alla sua natura di Bodhisattva della Terra.
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Come neve al sole
Sicuramente questa frase di Gosho non è una di quelle frasi “famose” che si sentono durante gli incoraggiamenti, una di quelle frasi che s’imparano a memoria; ma quando per la prima volta l’ho letta mi sono commossa per la poesia e la profondità che essa trasmette.
Il Daishonin scrisse questo Gosho (un’altra traduzione del titolo è Come padre e figlio possono ottenere la Buddità) nel 1275 da Minobu e vi racconta di quando viveva a Sado, in “quella terra settentrionale” nella quale si trovò ad affrontare enormi difficoltà, non solo di tipo spirituale ed emotivo, ma anche di tipo fisico. Tirava “un vento particolarmente forte”, c’era “neve alta”, il Daishonin aveva “vesti leggere e cibo scarso” ma furono proprio queste stesse difficoltà a permettergli di trasformare “in maniera naturale” la sua vita da “semplice” mandarino a “arancio trifogliato”: un albero molto resistente al freddo, coltivato a scopo ornamentale e dunque bellissimo, particolare e unico nel suo genere.
Questa frase di Gosho mi ha colpito molto perché in questi anni di pratica buddista ho sperimentato che solo grazie alle difficoltà che incontro quotidianamente posso tirare fuori la bellezza dalla mia vita, solo grazie all’oscurità posso far emergere la Buddità.
Quando soffriamo o quando incontriamo delle difficoltà pensiamo sempre che queste siano degli ostacoli alla realizzazione della nostra felicità, in questo modo emergono dubbi e lamentele. In realtà le difficoltà e la sofferenza sono necessarie per realizzare la nostra vita e cambiare il nostro ambiente. In questo, la vita di Nichiren Daishonin e dei nostri tre maestri Tsunesaburo Makiguchi, Josei Toda e Daisaku Ikeda ne sono un chiaro e incredibile esempio. È importante non dimenticare che il Buddismo di Nichiren Daishonin inizia da un voto, da una decisione: quella di diventare felici e di rendere felici gli altri. Se non si compie un voto è difficile perseverare nei momenti di difficoltà ed è difficile comprendere che le difficoltà e la sofferenza sono il chiaro esempio che la direzione che abbiamo preso è quella giusta.
Quando ho iniziato a praticare il Buddismo avevo quattordici anni e tanta sofferenza: i miei genitori erano separati da quando ero piccola, soffrivo di bulimia e non avevo nessun rapporto con mio padre. Ho praticato sin da subito correttamente recitando Gongyo e Daimoku e facendo shakubuku, ma non vedevo risultati. Avrei potuto smettere in qualsiasi momento, ma l’esempio di sensei – cioè quello di continuare a lottare nonostante le difficoltà, di sentirsi un vincitore anche quando non si vedono esternamente e concretamente benefici – mi ha permesso di non abbandonare la pratica e di costruire una fiducia e una speranza che ancora oggi mi porto dentro. Solo quando ho compreso che la mia vita altro non era che Myoho-renge-kyo, come scritto sul Gosho, tutto si è sciolto come neve al sole: non ho mai più avuto problemi con il cibo, sono dimagrita ben dieci chili, ho recuperato il rapporto con mio padre accompagnandolo anche alle riunioni, e soprattutto mi sono sentita più forte e più coraggiosa. Tutto questo è avvenuto quando avevo diciotto anni; è incredibile il Gohonzon!
Oggi posso dire che sono stata veramente “fortunata” a nascere in una famiglia divisa, a soffrire di bulimia, a incontrare così tante difficoltà interiori perché grazie a queste oggi posso affrontare la vita con una base solida e forte. In generale può risultare strano che un dolore o una sofferenza di qualsiasi tipo possa diventare il carburante per la felicità, eppure è così: attraverso il Daimoku “in maniera naturale”, come ci assicura il Daishonin, ognuno di noi può vedere un giorno spuntare foglie trifogliate dal suo albero. A riguardo il presidente Ikeda afferma: «La sofferenza è la sofferenza. Siamo persone comuni e quindi è normale provare dolore. Non occorre fingere di essere diversi da ciò che siamo. Ma non dobbiamo mai permettere che la nostra fede nella Legge mistica e nel raggiungimento della Buddità per noi e per gli altri venga offuscata dal dubbio. Finché manteniamo una fede così solida siamo dei Budda eternamente dotati dei tre corpi, pur rimanendo persone comuni» (NR, 299, 21).
Inoltre il Daishonin ci ha insegnato che «si verifica sempre qualcosa fuori dal comune […] quando un comune mortale consegue la Buddità. In quel momento i tre ostacoli e i quattro demoni invariabilmente appariranno: il saggio si rallegrerà mentre lo stupido indietreggerà» (I tre ostacoli e i quattro demoni, SND, 4, 128). Il saggio si rallegra, che bella immagine, ispira grande libertà interiore, quella libertà che ognuno di noi può conquistare se comprende che in qualsiasi istante può decidere liberamente di manifestare la Buddità.
Recentemente Ikeda ha incoraggiato tutte le donne attraverso una frase dello scrittore laotiano Souvanthone Bouphanouvong che dice: «La vita è una lotta e gli avversari sono come una medicina che ha la funzione di renderci più forti» (NR, 350, 6). È impossibile comprendere e soprattutto accettare questo concetto solo con il ragionamento; è necessario divenire Budda, ovvero pregare per manifestare sempre la Buddità, perché solo con questo stato vitale diventiamo saggi e ci rallegriamo di fronte alle difficoltà e naturalmente la nostra vita si trasforma utilizzando la medicina contenuta nel veleno.