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L’età delle meraviglie - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:32

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L’età delle meraviglie

Marina Carrè, Torino

Cambiare ottica rispetto alla vecchiaia, non più vista come declino, ma come tempo ricco di possibilità da scoprire, esperienze da mettere a frutto, scoperta di risorse latenti da far emergere

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Cambiare ottica rispetto alla vecchiaia, non più vista come declino, ma come tempo ricco di possibilità da scoprire, esperienze da mettere a frutto, scoperta di risorse latenti da far emergere

I miei genitori avevano ventidue anni quando io sono nata e, anche se non erano proprio “perfetti”, erano giovani, molto più di quelli dei miei coetanei. Mio padre, che per altro di problemi me ne ha creati e non pochi, è sempre stato un bell’uomo che non ha mai dimostrato i suoi anni. Data la giovane età dei miei genitori vivevamo tutti con i nonni materni [nella foto piccola, Marina con i nonni].
Quando avevo cinque anni, il nonno venne a mancare, dopo una malattia durata un anno.
Da allora ho sviluppato rifiuto e paura verso l’ineluttabilità degli eventi, la malattia, la morte, il tempo oggettivo, ho cercato di vivere in un tempo tutto mio, non ho mai messo l’orologio, sono arrivata quasi sempre in ritardo, ho dilatato i tempi, ho perso tempo, non mi sono quasi mai sentita a ritmo con gli altri e ho cominciato a considerare la giovinezza come una sorta di “valore assoluto”.
Per fortuna sono sempre stata creativa, ho sempre dimostrato meno anni di quelli anagrafici, ho attinto alle mie risorse personali, con grande dispendio di energie e pagando dei prezzi molto alti.
Dopo la laurea in Pedagogia lasciai il mio impiego di maestra elementare ma mi ritrovai prima separata, poi divorziata, insomma capofamiglia con un figlio di dieci anni e senza introiti sufficienti a campare.
In quegli anni mi parlarono della pratica buddista, ma per ben due volte rifiutai questa opportunità, poi finalmente “cedetti” al terzo invito e iniziai a frequentare le riunioni di discussione, a recitare, peraltro pochissimo, tanto che per finire il primo “conta Daimoku” mi occorsero tre anni.
Il problema non era praticare questo Buddismo, ma stare con me stessa di fronte al Gohonzon.
Poi decisi, non volevo più scappare, non potevo più accettare vie di fuga che mi allontanavano dal prendermi in considerazione. Per me era molto doloroso stare con me stessa, guardarmi dentro, nonostante le mie esperienze di terapia, affioravano angosce, vergogne, sensi di colpa, disistima, senso di inadeguatezza, non stavo bene con me perché non mi volevo bene e non mi apprezzavo.
L’oscurità in me e intorno a me era grande, trovavo difficoltà a mettermi in contatto con le mie emozioni, abituata com’ero ad adeguarmi ai bisogni e ai modelli altrui, senza coscienza dei miei diritti.
Avevo imparato da sempre, per difendermi, a negare l’evidenza, a dirmi che in fondo la situazione non era poi così tragica e quando mi assaliva l’angoscia trovavo il modo di farla passare a spese di una parte di me, quella emotiva che veniva negata. Stare da sola era una tortura, di notte un’impresa impossibile, gli altri andavano avanti, ottenevano benefici e io sempre a guardare dai vetri come la piccola fiammiferaia.
Stanca di questa “non realtà”, finalmente scelsi di ricevere il Gohonzon e a poco a poco feci luce su me stessa, affrontando il senso di inadeguatezza, imparando a dire di no, sviluppando coraggio.
Iniziai a insegnare pedagogia ed educazione alla salute nelle scuole per infermieri professionali e vigilatrici d’infanzia e la pratica mi aiutò a sviluppare la forza per affrontare la malattia e la morte. Il mio compito era quello di aiutare i miei allievi a sviluppare la sensibilità e l’empatia necessarie a stare vicino a chi soffre.
Mi chiesero di tenere un seminario per preparare le vigilatrici d’infanzia a sostenere i genitori che affrontano la morte dei figli. Era una sfida durissima, mi misi a studiare cercando articoli sul Nuovo Rinascimento e su DuemilaUno che mi illuminassero su come poter infondere speranza. Questa ricerca si rivelò molto importante non solo per le mie allieve, perché poco dopo il seminario, una donna che frequentava il gruppo che mi era stato affidato, perse il marito, rimanendo sola con un bimbo di un mese. Non ce l’avrei mai fatta a sostenerla senza lo studio dei principi buddisti e la pratica, che avevo intensificato per affrontare quell’impegno.
Infine le scuole per infermieri professionali chiusero, ma mi venne offerta l’opportunità di lavorare per gli anziani e organizzare un convegno nel quale sviluppai la tesi dell’importanza di cambiare ottica rispetto alla vecchiaia, non più vista come declino, ma come tempo ricco di possibilità da scoprire, esperienze da mettere a frutto, scoperta di risorse latenti da far emergere, progettazione creativa e realizzazione di sogni nel cassetto.
Iniziai a collaborare con la Circoscrizione Due di Torino scrivendo dei progetti che si inserivano in un’attività di animazione rivolta agli anziani denominata “Argento vivo”, proponendo un gruppo di auto-aiuto/laboratorio di orientamento alla lettura della realtà per potersi confrontare, uno sportello di accoglienza e di ascolto per colloqui individuali, cicli di conferenze di educazione alla salute fisica e mentale, un laboratorio corporeo per riprendere contatto con il corpo, le emozioni, potenziare la sicurezza di sé e la creatività. Ogni anno individuavo un filo conduttore, invitavo professionisti ed esperti per offrire punti di vista diversi sull’argomento e a volte si trattava di membri della Soka Gakkai.
Inizialmente poche persone aderirono alle attività buddiste, ma negli anni il loro numero cominciò ad aumentare, gli appuntamenti diventarono un punto di riferimento per la cittadinanza e si crearono tanti preziosi legami umani. Il mio obiettivo è stimolare le persone in difficoltà a migliorare la qualità della vita e a ritrovare il loro benessere, in altre parole a essere felici e a loro agio.
Per il principio di esho funi, che spiega l’inseparabilità tra noi e l’ambiente, impegnandomi io ad attuare la mia rivoluzione umana con la pratica buddista, approfondendo la mia ricerca con lo studio e l’attività, decidendo di essere il sole della mia famiglia, sono riuscita a sciogliere il blocco nei confronti di mio padre, che ha sviluppato il morbo di Parkinson e sta scivolando nella demenza. Adesso sono anche in grado di aiutarlo e stargli vicina quando sta male e sembra che stia per morire. Non ho paura, cerco di dargli sollievo.
Il Buddismo mi ha aiutato a trovare me stessa, a scaricare il peso dei sensi di colpa, della lamentela, della colpevolizzazione altrui, del vittimismo, e mi ha dato la forza di sperare l’insperabile e di realizzarlo. Un po’ alla volta mi sono riconosciuta, accettata, le ferite non solo si sono rimarginate, ma sono diventate una risorsa per aiutare chi si rivolge a me per un aiuto.
Ho capito che la mia vita, per certi versi, era rimasta ferma, come impietrita. Per farmi accettare il tempo reale, adesso ho l’orologio al polso, so che posso restare giovane dentro finché avrò progetti da attuare, desideri da realizzare, sono consapevole che per invecchiare e morire bene occorre allenarsi a vivere, affrontando coraggiosamente anche le nostre parti oscure, eliminando gli ostacoli che impediscono il flusso armonioso di comunicazione fra il cuore e la testa.
Adesso ho cinquantaquattro anni, mio figlio si è laureato il 21 marzo in Economia e Commercio e si sta preparando per andare ad abitare per conto suo. Io mi sto confrontando con un uomo, dopo anni di sofferta solitudine e, finalmente, ho deciso di sperimentare concretamente il significato dell’ultimo dei dieci fattori: la coerenza dall’inizio alla fine.
Ho capito che la vita può essere piena e gradevole in mia compagnia, voglio amare il mio aspetto così com’è e come diventerà, voglio trasformare la delusione e la rabbia nei confronti delle figure maschili del mio passato per essere un’ottima moglie accanto a un marito di valore, con cui poter invecchiare felicemente, mettendo in pratica tutte le indicazioni che ho proposto ad altri, ma ancora non ho sperimentato. Voglio vivere felice e a mio agio, voglio creare nel quartiere un gruppo di ricerca sull’espressività nell’età matura.
È possibile trasformare l’ultima parte della vita nell’età delle meraviglie, se ci si impegna per tempo a compiere la propria rivoluzione umana, come ci sta mostrando il nostro maestro e, per ripagare il debito di gratitudine che ho nei suoi confronti, voglio contribuire alla realizzazione della mostra sui diritti umani a Torino.
D’ora in avanti non voglio perdere più tempo, ma usare tutto quello che ho ancora a disposizione per volermi bene, per realizzare tutti i miei desideri, per cogliere ogni occasione per crescere e impegnarmi al massimo perché ognuno possa credere che diventare felici, veramente tutti felici, è possibile.

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