Il Buddismo le ha portato in regalo il desiderio di riallacciare i rapporti con i genitori. Le differenze che prima li tenevano lontani, ora sono fonte di trasformazione per tutti e il senso di colpa ha lasciato il posto alla volontà di costruire legami basati sul cuore
Ho iniziato a praticare nel 2009, attirata dal suono della voce tranquilla di Carla, la mamma del mio ragazzo, da cui mi ero rifugiata non appena maggiorenne.
Mio padre è musulmano, emigrato in Italia dal Marocco e sposato con mia mamma, italiana. Fino a quando sono stata piccola, mio padre non mi ha mai imposto nulla, ma crescendo sono iniziati i divieti: non uscire la sera, non avere il cellulare, vedere solo poche amiche selezionate. Mia mamma, da cui mi sarei aspettata protezione, sapeva solo dire: «Papà non vuole!». Del resto anche suo papà, che non era né musulmano né marocchino ma italianissimo, l’aveva trattata allo stesso modo. Così andai via da casa lasciando solo un biglietto: «Vado via perché non sono la figlia che avreste voluto avere». Tutte le loro critiche mi facevano sentire come il brutto anatroccolo e, come lui, me ne stavo andando da dove non mi sentivo amata. È così che incontrai Carla e la sua preghiera: Nam-myoho-renge-kyo entrò nella mia vita. Rimasi da loro per due anni, frequentando i meeting giovani e limitando a pochi segnali di vita i contatti con i miei. Poi la mia storia con il figlio di Carla finì e andai ad abitare da una loro vicina di casa. In quel tempo non praticavo correttamente ed ero in balia degli eventi. Incontrai Andrea che presto diventò il mio fidanzato e andai a vivere con lui e sua mamma. Cercai di sostituire mia mamma con la sua ma la cosa non funzionò e decisi di andare a vivere da sola. Fu una grande svolta nella mia vita perché me ne stavo prendendo la responsabilità. Grazie all’incoraggiamento delle mie responsabili della Divisione giovani avevo costruito un legame con Nam-myoho-renge-kyo e di lì a poco decisi di ricevere il Gohonzon.
Iniziai a praticare con più costanza, scelsi un gruppo dove fermarmi e iniziai a studiare il Buddismo anche per conto mio. Una frase del presidente Ikeda mi aveva colpito: «L’apparenza esteriore non è importante, ma conta ciò che succede nei nostri cuori. Avete dei legami basati sul cuore? In alcune famiglie ci si ritrova insieme fisicamente ma si è estranei nel cuore. In altre, ci si può incontrare per brevi periodi, riuscendo però a comunicare profondamente. Nelle famiglie in cui le relazioni si basano su sforzi quotidiani, i membri si sentono a proprio agio uno con l’altro, ovunque siano o qualsiasi cosa stiano facendo» (Giorno per giorno, esperia, 16 dicembre). Nella mia famiglia mancavano legami basati sul cuore e di lì a poco un episodio mi dette la misura della nostra distanza. Alla notizia che era mancato mio nonno paterno telefonai a casa per parlare con mio padre, ma lui si negò. Fu un duro colpo ma le mie responsabili mi fecero riflettere su una frase del Gosho di Capodanno: «L’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008). Era proprio così. Come poteva mio padre voler parlare con una figlia che per anni l’aveva ignorato? Iniziai a chiamare a casa chiedendo di lui e ogni volta, prima di farlo, recitavo quindici minuti di Daimoku. Dentro di me qualcosa stava cambiando e il senso di colpa lasciava il posto al desiderio di parlargli. Il mio cuore “ne sentiva la necessità”.
Giorno per giorno, come un piccolo fiore, il nostro rapporto si andava rafforzando. Mi impegnai anche come byakuren nell’attività di protezione e contribuii a organizzare il meeting giovani del 16 marzo. Ricominciai ad andare a casa della mia famiglia a parlare con i miei genitori e infine accettai qualche invito a cena. È stata in una di queste occasioni che mi sono lanciata a chiedere l’impossibile a mio papà, che è un bravo artigiano: volevo mi costruisse con le sue mani il mobiletto dove custodire il Gohonzon. Che felicità sentire il suo sì con il sorriso negli occhi! Accettando di aiutarmi mio padre, musulmano, accettava il mio credo buddista e insieme a questo accettava anche me.
Grazie a Nam-myoho-renge-kyo siamo riusciti a colmare le distanze affettive, culturali e religiose. Ha fatto ciò che ha promesso e ogni giorno, mentre recito davanti al Gohonzon, ringrazio la vita e anche mio papà. Mia madre ha riconosciuto il mio grande cambiamento, tutta contenta perché la prima ad accorgersene è stata una mia zia che le ha fatto i complimenti per la grande trasformazione di sua figlia. Il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno; anzi lo è sempre stato, solo che non lo sapeva!