«Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede. Colui che abbraccia questo sutra dovrebbe essere pronto a incontrare difficoltà. È comunque certo che conseguirà rapidamente l’insuperata via del Budda. Mantenere la fede vuol dire serbare nel cuore Nam-myoho-renge-kyo, il principio più importante per tutti i Budda delle tre esistenze»
(La difficoltà di mantenere la fede, RSND, 1, 417)
Queste parole di Nichiren Daishonin esprimono chiaramente l’importanza di perseverare lungo il cammino della fede. Un cammino a volte difficile e arduo da mantenere, come leggiamo nel Gosho. Allora, come si può «mantenere la fede» e «serbare nel cuore Nam-myoho-renge-kyo»?
Questa domanda vale sia per chi percorre questo sentiero da molto tempo, sia per i nuovi compagni di fede entrati recentemente nel nostro movimento per la pace.
Una risposta si può trovare nel trinomio di fede, pratica e studio, le basi del Buddismo che garantiscono la costruzione di
solide radici. A questo si aggiunge il valore del sangha, la comunità buddista, che offre sostegno e possibilità di crescita comune, come emerge dalle testimonianze di chi è entrato da poco nella Soka Gakkai.
«Nella prospettiva buddista – scrive Daisaku Ikeda – coloro che con entusiasmo desiderano partecipare al movimento di kosen-rufu, condividono un legame karmico e una missione inconcepibilmente profondi. Sono compagni di fede uniti da un voto pronunciato dal tempo senza inizio. È fondamentale quindi incoraggiare i nuovi membri, sforzarsi di coltivare insieme una fede coraggiosa e agire attivamente per la propagazione del Buddismo del Daishonin. […] Dedicarsi alla formazione di un nuovo compagno di fede, farne una persona capace che vale per mille persone, equivale a introdurre mille persone al Buddismo» (NR, 478, 4).
E nel saggio Padroni della propria vita, è sempre Daisaku Ikeda a riassumere i temi centrali di questo speciale: «Abbracciando la fede in questo Buddismo abbiamo piantato i semi dell’Illuminazione e messo le radici della vittoria nella nostra vita. È importante che nutriamo questi semi e queste radici così da sviluppare una personalità solida e imperturbabile come un grande albero capace di resistere alle più dure tempeste. Non importa quello che accade, ciò che conta è mantenere la fede e trascorrere la nostra vita insieme alla SGI e ai nostri amici membri» (pag. 7).
INTERVISTA A TAMOTSU NAKAJIMA
Creare legami per crescere insieme
Alcune domande a Tamotsu Nakajima, direttore generale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai
In un editoriale rivolto ai nuovi membri il presidente Ikeda scrive: «È fondamentale incoraggiare i nuovi membri, sforzarsi di coltivare insieme una fede coraggiosa e agire attivamente per la propagazione del Buddismo del Daishonin. Prima di tutto è importante praticare insieme ai nuovi membri, con loro pregare, agire e impegnarsi in dialoghi per la felicità delle persone». Come possiamo realizzare tutto questo?
Sono parole bellissime, ma difficili da mettere in pratica! La cosa fondamentale è praticare insieme ai nuovi membri, dialogare con loro, creare un legame da cuore a cuore. Prendersi cura di loro significa fare in modo che stiano bene, che abbiano benefici, che siano felici. La parola “incoraggiare” non va intesa a senso unico, dall’alto in basso. Chi pratica da più tempo può trasmettere la propria esperienza, ma ciò non vuol dire insegnare il Buddismo a qualcun altro.
Tutti stiamo imparando a praticare grazie al nostro maestro. Bisogna avere l’atteggiamento di imparare da qualsiasi situazione, stando insieme agli altri, sostenendosi reciprocamente, perché stando da soli si corre il rischio di alimentare le proprie convinzioni distorte. Purtroppo quando uno diventa arrogante non impara più, e allora pensa di poter insegnare, ma chi è davvero bravo è molto umile ed è sempre pronto ad aiutare gli altri. Riguardo alla fede, ognuno può coltivare e migliorare solo la propria fede, perciò dovremmo sempre chiederci: come posso approfondire la mia fede? E come posso migliorare me stesso? Prima di tutto devo migliorare io, di conseguenza anche gli altri migliorano, questo è l’atteggiamento corretto.
La fede di una persona non dipende dagli anni di pratica; per esempio i giovani sono bravissimi, basta un input e si sviluppano velocemente. Ne stanno emergendo tanti, ovunque, e sono molto più bravi di noi, perciò bisogna rispettarli profondamente. Non si tratta di insegnare ai giovani; cerchiamo di imparare dalla loro freschezza, trasmettiamo la nostra esperienza e andiamo avanti insieme. Toda diceva: «Una nuova epoca sarà creata dalla forza e dalla passione dei giovani», allora come possiamo sostenere la loro forza, come possiamo valorizzare le loro idee? Mi auguro che anche i giovani rispettino l’esperienza di chi pratica da più tempo. Alla fine quel che conta è affrontare le difficoltà ogni volta con il Daimoku, con il Gosho, rispettandosi gli uni con gli altri.
Come si fa a desiderare sinceramente che qualcuno diventi più bravo, più felice di noi?
Cosa significa “più bravo di noi”? Ci sono tante differenze tra una persona e l’altra. Ognuno è diverso. Non dovremmo pensare in termini di migliore o peggiore. Tutti sono bravi e hanno tante capacità, ma a volte pensiamo che sono troppo giovani nella fede, perciò dobbiamo insegnare loro qualcosa. Meglio partire dal presupposto che gli altri sono tutti più capaci di noi, e pregare per la loro felicità. Possiamo crescere insieme a loro, se siamo disposti a imparare da ogni cosa. Da parte nostra possiamo trasmettere le nostre esperienze, e loro aggiungeranno sempre qualcosa in più. I bambini, ad esempio sono tutti bravissimi, ognuno a suo modo. Anche gli uccelli… si svegliano prima che sorga il sole, mentre noi, senza la sveglia, neppure ci svegliamo! Ogni cosa ha la sua bellezza, ciò che conta è la nostra capacità di vederla. Gli altri manifestano il proprio valore anche in relazione al nostro atteggiamento: certo se io sono arrogante, se non vedo il potenziale degli altri, non considero nessuno più bravo di me…
Guardiamo noi stessi, a che punto siamo, e riflettiamo su come possiamo sostenere ogni singola persona. Bisogna fare come dice il presidente Ikeda: partire dal Daimoku, dal Gosho, andare a trovare le persone, creare legami, fare shakubuku insieme… Mi viene in mente il presidente Makiguchi, che appena una persona entrava a far parte della Soka Gakkai si recava con lei a fare shakubuku a familiari e amici, perché diventasse subito “un campione di dialogo per kosen-rufu“.
Alcuni non apprezzano l’attività buddista, eppure l’attività ha una potenza enorme: spesso mentre ragioniamo insieme e ci confrontiamo tra persone diverse viene fuori un’idea nuova, si accende una lampadina, e questo grazie allo scambio con gli altri. I nuovi membri, pur avendo poca esperienza, hanno un potenziale enorme, sta a noi sostenerli con fiducia. Anche i bambini crescono guardando i genitori, imparano dal loro esempio, direttamente dal loro comportamento. Bisogna prendersene cura, poi una volta cresciuti vanno avanti da soli, ma una parte della loro personalità si è già formata nei primi anni di vita. Come i genitori sono fondamentali per la crescita dei figli, per i nuovi membri è essenziale il confronto con i più anziani nella fede.
Desiderare sinceramente che gli altri siano felici è davvero difficile. Mi ricordo quel che diceva Toda nei Precetti per la gioventù. Lui partiva dal presupposto che è difficile per noi sentire la stessa compassione del Budda, per questo dovremmo decidere di svilupparla il più possibile e recitare Nam-myoho-renge-kyo con tutto il cuore. Comunque, essere consapevoli di questo problema è il punto di partenza per risolverlo.
Ogni giorno ci stiamo sforzando di recitare Daimoku e dialogare con gli altri, per costruire una società pacifica e rendere felice l’umanità. Non è facile, perciò ci vuole una decisione chiara alla base. È per questo che pratichiamo il Buddismo. Bisogna coltivare il desiderio che gli altri diventino tutti più bravi e più felici di noi.
È vero che l’inizio della pratica è particolarmente importante?
Sicuramente l’inizio è importante, come in tutte le cose. Chi riceve il Gohonzon ha già preso la sua decisione, ha già l’intenzione di praticare come insegna il Daishonin, ma dipende molto da come trasmettiamo le basi corrette fin dall’inizio: cos’è il Gohonzon, qual è il significato di kosen-rufu, cos’è lo spirito dell’offerta… ad esempio molti responsabili hanno timore di parlare di zaimu, ma in realtà è il Buddismo stesso che ci insegna lo spirito dell’offerta e ci spiega perché è importante sostenere in tutti i modi le attività della Soka Gakkai. Il nostro esempio è fondamentale per i nuovi membri. Visto che ogni giorno ci sforziamo nella pratica buddista, cerchiamo di farlo correttamente, con lo stesso spirito del Daishonin, così possiamo mostrare agli altri i benefici della fede nel Gohonzon.
Tante persone all’inizio hanno difficoltà a sentire il legame maestro-discepolo. Come possiamo incoraggiarli in questa direzione?
Nichiren Daishonin è nato nell’Ultimo giorno della Legge per realizzare la pace mondiale e la felicità di ogni persona, nel presente e nel futuro. Se si desidera solo la propria felicità, Nichiren spiega che non è possibile. All’inizio non capiamo cos’è il Buddismo, ma via via che procediamo, grazie anche allo studio dei princìpi fondamentali, iniziamo a comprendere e maturiamo una maggiore convinzione.
Il legame tra maestro e discepolo è basilare, ma bisogna comprenderlo con la vita, non a parole: se riusciamo a sentire il legame con il Daishonin, il legame con il presidente Ikeda, siamo a buon punto. Per imparare bisogna avere un maestro, in qualunque campo. Riguardo all’insegnamento del Daishonin, il presidente Ikeda ci indica come praticare correttamente, come realizzare il grande desiderio del Budda nella nostra epoca.
Makiguchi ha fondato la Soka Gakkai insieme a Toda con il desiderio che tutte le persone potessero diventare felici. Poi Ikeda ha lottato al fianco di Toda per costruire e diffondere gli ideali della Gakkai, e ancora oggi continua a impegnarsi per consolidare le basi di kosen-rufu nel mondo. Grazie a lui questo Buddismo è arrivato in 192 paesi e territori, e noi stessi abbiamo potuto incontrare il Gohonzon. Molte persone non lo sanno, perciò non sentono gratitudine. In generale, si parla poco del presidente Ikeda; leggiamo le sue guide, ma non raccontiamo tutto ciò che ha fatto per kosen-rufu. Eppure stiamo praticando grazie a lui. Bisogna parlarne con i nuovi membri, altrimenti come possono sentire gratitudine? Ogni giorno sensei scrive nuovi episodi della Nuova rivoluzione umana per trasmettere alle generazioni future tutto ciò che ha fatto per concretizzare i desideri del suo maestro Toda. Lì c’è tutto, è il messaggio di sensei rivolto a ognuno di noi, perciò è essenziale studiare questi testi.
Lei ha cominciato a praticare il Buddismo da ragazzo, all’inizio sentiva il legame con sensei?
Quando ho cominciato a praticare ero in terza media. Un anno e mezzo dopo un responsabile giovani uomini di settore cominciò a farmi visita ogni sabato. Viaggiava per cinquanta chilometri, da Osaka a Kobe, restava il fine settimana per fare attività insieme e il lunedì ripartiva per recarsi direttamente al lavoro. Ogni volta mi lasciava dei compiti per la settimana successiva: fare shakubuku, aumentare i membri giovani uomini. Io non sapevo proprio come fare. Ho cominciato a seguire i membri, perché fare shakubuku era più difficile. Se nelle famiglie di praticanti c’erano dei giovani, andavo a trovarli con il desiderio che diventassero membri. Ogni mese uno shakubuku e un nuovo membro, questo era l’obiettivo.
I miei genitori avevano un forte legame con il presidente Toda e io ero cresciuto leggendo i Precetti per la gioventù. Ho cominciato a praticare nel ’56, in seguito alla campagna di Osaka, portata avanti dal giovane Ikeda. Quando Toda morì ascoltavo sempre le sue lezioni sul Gosho, come Il prolungamento della vita, registrate su un disco a 33 giri. Lo sentivo molto vicino. A quel tempo non sapevo che al suo fianco c’era Ikeda. Gli adulti sì, i miei genitori lo sapevano bene. Ma noi giovani pensavamo solo a fare shakubuku!
Nell’aprile del ’60 sono andato all’università, a Tokyo. Mia sorella faceva già attività con la Divisione studenti e così, vivendo con lei, ho cominciato anch’io. Il telefono all’epoca si usava poco e io mi occupavo di portare le notizie ai membri… Alla riunione del 3 maggio, quando Ikeda divenne terzo presidente, feci attività di protezione. Arrivavano membri da tutto il Giappone, qualcuno anche dal giorno prima, e il mio compito era indicare la strada per il luogo di riunione. Mezz’ora prima dell’inizio i membri erano già tutti dentro, così entrammo anche noi che facevamo attività, e siccome non c’erano più posti liberi mi andai a sedere sulle scale, in alto. Che bello, da là si vedeva tutto! Lì per la prima volta ho incontrato il presidente Ikeda. Ho sentito in lui una grande forza, mi ha colpito moltissimo.
È in quel momento che ha deciso di trasferirsi all’estero?
No, non ci pensavo ancora. Ho deciso in seguito, grazie all’attività nella Divisione studenti. Una volta l’anno c’era la riunione generale, il presidente Ikeda partecipava e ci incoraggiava sempre ad andare fuori dal Giappone. A settembre del ’61 ci fu una riunione di centomila giovani uomini e anche in quell’occasione ci esortò ad andare all’estero. Così mia sorella, finita l’università, nel ’62 si trasferì in Italia. Prima di partire andò a parlare con sensei e lui le regalò una copia della raccolta del Gosho con una sua dedica. Io ancora non avevo deciso. Due anni dopo mi laureai in management e nei mesi successivi ricevetti varie offerte di lavoro.
Allora era facile trovare lavoro?
Sì, era un periodo di forte sviluppo. Io ero timido, molto chiuso, ma quando iniziai a lavorare decisi di cambiare completamente, divenni allegro, attivo, chiacchierone. Alla fine svolgevo tre mansioni contemporaneamente. Prima nella segreteria, come cerimoniere, poi negli affari generali, e poiché mi avanzava tempo mi affidarono pure la contabilità. In ultimo mi proposero di andare a cercare nuovi clienti per vendere i prodotti della ditta, ma questo non mi piaceva proprio… ero cambiato, ma fino a un certo punto! Alla fine dei tre mesi di prova avevo il posto, ma il giorno successivo presentai le dimissioni, perché volevo studiare ancora. Così sono tornato a casa. La notte studiavo e dopo pranzo aiutavo mio padre nei campi. L’anno dopo cominciava la specializzazione all’università, volevo iscrivermi, ma in quel periodo le poste scioperarono, cosa mai accaduta in Giappone, e così la mia domanda non arrivò mai… Parlai a mio padre del desiderio di andare all’estero, dopo gli studi, e lui mi consigliò di non aspettare e mi disse che mi avrebbe aiutato economicamente. Così venni in Italia, non per studiare, ma per propagare il Buddismo. Arrivai il 25 ottobre 1965, il giorno successivo alla visita di sensei a Milano; non volevo disturbarlo, aveva tante cose da fare. Poi nel ’67 l’ho incontrato a Roma e ho avuto l’occasione di parlare con lui nell’ascensore dell’albergo dove alloggiava. Quell’incontro ha rafforzato ancora di più la mia decisione.
Dopo oltre cinquant’anni, sente sempre così forte la relazione con il presidente Ikeda?
Credo che questo legame non sia solo di questa vita… perciò non cambia nulla con il passare del tempo, è sempre rimasto uguale. Anche nei momenti di difficoltà cerco di portare avanti la mia decisione iniziale, il motivo per cui sono venuto in Italia. Tante persone mi hanno aiutato, i miei genitori, mia sorella maggiore, anche la mia sorella più piccola che è rimasta in Giappone a occuparsi di loro. Mio padre mi mandava dei soldi, anche se ne aveva pochi. La nostra famiglia era abituata a offrire tutto ciò che aveva, ogni volta che c’era la possibilità di fare l’offerta. In ogni occasione offrivamo tutto e ogni volta si ripartiva da zero. Mi ricordo quanto eravamo poveri dopo la guerra, ma come era sereno il cielo! L’unico modo per ripagare il debito di gratitudine verso i miei genitori è continuare a impegnarmi per kosen-rufu. Se non vado avanti non rispetto lo sforzo che hanno fatto per sostenermi.
Cosa significa la frase di Toda: «La Soka Gakkai è più importante della mia vita»?
Questa frase ci fa capire come Toda ha portato avanti la Soka Gakkai e come dovremmo portarla avanti noi. Non dovremmo pensare a noi stessi, ma al bene dell’organizzazione. La Soka Gakkai ha un’importanza enorme per la realizzazione di kosen-rufu, è l’unica possibilità per realizzare la pace e il benessere di tutti, perciò è importante proteggerla e farla funzionare bene. Di solito le organizzazioni hanno una struttura gerarchica, sorretta da logiche di potere, ma nella Gakkai non esiste questo potere.
Ciò che la tiene insieme sono i legami umani e lo spirito di realizzare kosen-rufu tutti insieme, in armonia. Come scrive il Daishonin: «Se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi, stessa mente” sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190). Il presidente Ikeda ci esorta a proteggere la nostra organizzazione e a non permettere mai che venga distrutta. Ma chi potrebbe distruggerla dall’esterno? Nessuno, solo dall’interno si può rovinare. Per questo sono fondamentali i legami umani, altrimenti c’è il rischio di farla diventare una struttura gerarchica. Bisogna mantenere sempre lo spirito originario della Gakkai, che è lo stesso spirito di Nichiren Daishonin.
Qualunque problema venga fuori, cerchiamo di risolverlo subito, con saggezza. Non possiamo far morire la Soka Gakkai, essa rappresenta un’occasione unica per l’umanità. Perciò bisogna fare tutto il possibile per creare e mantenere una rete di legami tra noi, sostenendoci e rispettandoci l’un l’altro, basandoci sul Gosho e sulle guide di sensei.
Cosa intende sensei quando dice che ognuno di noi dovrebbe avere la consapevolezza di un presidente della Soka Gakkai?
Ognuno dovrebbe approfondire perché esiste la Soka Gakkai, essere consapevole di quanto è utile per l’umanità. La Gakkai non è separata dalla nostra vita. Come l’oceano è formato dalle singole gocce d’acqua, allo stesso modo ogni persona rappresenta l’organizzazione, per questo è così importante comportarsi bene e continuare a migliorare il nostro comportamento. È questo che ci chiede sensei. Ogni persona dovrebbe interessarsi alla vita dell’organizzazione nel suo complesso, non guardare solo al proprio ambito di attività, ma sentirsi parte di un tutto. Ognuno dovrebbe assumersi la responsabilità guardando a tutta l’Italia, avere una visione più ampia delle cose.
Bisogna che le persone sappiano, che si condivida con tranquillità tutto ciò che riguarda la vita dell’organizzazione. Non c’è nulla da nascondere. Una persona informata è tranquilla, ma se qualcosa non è chiara nascono le difficoltà. Chi comprende l’importanza della Soka Gakkai rispetta gli altri e crea unità, e in questo modo lo sviluppo di kosen-rufu è più veloce. Chi si comporta male rende tutto più difficile. In quanto membri della Gakkai dovremmo chiederci se il nostro comportamento danneggia l’organizzazione. In tal caso si rallenta il progresso di kosen-rufu e si lascia spazio alle funzioni demoniache che possono distruggere l’armonia del sangha, la comunità dei credenti. Tante persone non ci pensano, sono piccole cose, molto delicate.
La nostra pratica buddista si riflette nella vita quotidiana. Se ti comporti male le persone penseranno che tutti i membri della Gakkai sono così. Ognuno dovrebbe cercare di agire con più saggezza, come “ambasciatore” della Soka Gakkai.
Come vede questa situazione così difficile del nostro paese, dove tante persone, soprattutto i giovani, hanno difficoltà a trovare lavoro, a nutrire speranza nel futuro?
Questa difficoltà non è soltanto italiana. Oltre ai giovani ci sono gli adulti che perdono il lavoro, è una situazione veramente dura. Un adulto che perde il lavoro avrà molta difficoltà a trovarne un altro e spesso rischia di perdere la casa, perché non riesce a pagare il mutuo. Adesso è così, e non sappiamo quando finirà. Una palla che rotola va fino in fondo, non si ferma. Oggi siamo nel mezzo della discesa e la palla ha preso velocità; prima di risalire si deve fermare. Per questo bisogna prendere una forte decisione e pregare intensamente.
Sembra una crisi mondiale senza via d’uscita. L’unica speranza è questo Buddismo, non c’è altra soluzione. Cambiare dall’interno, fare la propria rivoluzione umana, scavare sotto i propri piedi, trovare la sorgente, diffondere la Legge per aumentare le persone che recitano Nam-myoho-renge-kyo, per la propria e altrui felicità. Questa è la base da cui partire. Guardando la superficie delle cose la vita può apparire troppo difficile, piena di problemi di vario tipo. Per questo bisogna praticare come insegna Nichiren Daishonin, cercando di approfondire con la propria vita e continuando a migliorare in ogni istante.
Le cinque guide eterne
Nel 1957 il secondo presidente Josei Toda enunciò tre linee guida nella fede per dare una direzione chiara ai membri della Soka Gakkai, affinché non si lasciassero sopraffare dalle difficoltà e potessero vivere pieni di speranza. Da allora, la Soka Gakkai è progredita tenendo fermi questi tre punti. In un discorso del 2003, di cui riportiamo alcuni estratti, il presidente Ikeda ha aggiunto a quelle altre due guide. Il testo integrale è stato pubblicato su Il Nuovo Rinascimento n. 300
1. Fede per realizzare una famiglia armoniosa
Nichiren Daishonin afferma che coloro che credono nel Sutra del Loto attirano la fortuna da diecimila miglia lontano. Sulla base di questa convinzione, ognuno di noi può fare della propria casa un castello di felicità e di pace. In molti casi gli altri membri della famiglia non praticano il Buddismo, ma non c’è bisogno di preoccuparsi per questo: se decidiamo sinceramente e con fiducia di sviluppare la nostra fede, possiamo guidare tutti i familiari e i parenti di «sette generazioni precedenti e di sette generazioni successive» (RSND, 1, 728) nella direzione della felicità e della speranza, come un faro solitario che in una notte buia permette a molte imbarcazioni di navigare sicure.
2. Fede per diventare felici
Possiamo sicuramente diventare felici, questa è la promessa del Daishonin. La fede è uguale alla vita quotidiana. Mentre lottiamo con coraggio nel nostro ambiente sociale, progrediamo verso kosen-rufu per il bene e la felicità di tutte le persone. Come risultato di questi sforzi, un grande beneficio scaturisce dalla nostra vita. Nichiren Daishonin scrive: «Quelli che credono nel Sutra del Loto sono come l’inverno che si trasforma sempre in primavera. Non si è mai visto né udito, sin dai tempi antichi, di un inverno che si sia trasformato in autunno, né si è mai sentito di alcun credente del Sutra del Loto che sia diventato un essere comune» (RSND, 1, 477). La felicità non ci è concessa dagli altri, né arriva da qualche parte al di fuori di noi: è qualcosa che dobbiamo conquistarci in prima persona lottando contro l’oscurità fondamentale della vita, con il nostro stesso cuore.
3. Fede per superare le avversità
Il Daishonin scrive: «Se la propagate, i demoni sorgeranno certamente. Se così non fosse, non ci sarebbe modo di sapere che questo è il vero insegnamento» (RSND, 1, 446). Trovarsi di fronte a un ostacolo è la prova che stiamo praticando il corretto insegnamento. D’altra parte, il Daishonin insegna che solo superando grandi ostacoli possiamo raggiungere lo stato vitale indistruttibile della Buddità, e per questo dichiara: «In quel momento i tre ostacoli e i quattro demoni invariabilmente appariranno: il saggio si rallegrerà, mentre lo stolto indietreggerà» (RSND, 1, 568). Nessuno è più forte di chi ha lottato e vinto su un problema doloroso. Inoltre, questo tipo di persona può diventare un vero amico e un alleato di chi sta soffrendo. Fin quando la nostra fede brillerà di questo spirito appassionato, il progresso di kosen-rufu non si troverà mai a un punto morto.
4. Fede per godere di salute e longevità
La Legge mistica ci mette in grado di diventare più giovani e felici sia nel corpo che nella mente, ogni anno che passa. Il fondamento della salute è una fede forte, che ci permette di manifestare energia vitale, vincere sulle tendenze negative e trasformare il nostro karma. Per questo è importante impegnarsi attivamente per kosen-rufu all’interno della Soka Gakkai: in questo modo, dichiarava Toda, «otterrete un’energia vitale fresca e potente, conquistandovi nuove prospettive di vita, sia in termini di lavoro che di salute. Le cose di cui avete bisogno per sostenere la vostra esistenza semplicemente continueranno a fluire, come acqua che sgorga dal terreno».
5. Fede per vincere nella vita
Nichiren Daishonin scrive: «La Legge del Budda riguarda principalmente la vittoria o la sconfitta, mentre la legge del re si basa su ricompensa o punizione. Per questa ragione un Budda ha il titolo di “eroe del mondo”» (RSND, 1, 741). Essere vincitori è l’anima stessa del Buddismo. Nei sutra si attribuiscono al Budda titoli di lode come “vincitore su tutto” e “colui che ottiene lo scopo”. Il termine Budda è un altro nome per un vincitore assoluto. Qual è il segreto di una vittoria completa? Il Daishonin insegna che una solida unità di scopi è la fonte della vittoria: «Sebbene Nichiren e i suoi discepoli siano pochi di numero, poiché hanno lo spirito di “diversi corpi, stessa mente” realizzeranno sicuramente la loro grande missione di propagare il Sutra del Loto» (RSND, 1, 550).
Fede, pratica e studio
Immaginiamo fede, pratica e studio come le tre gambe di un tavolino: è evidente che, se ne viene a mancare una, il tavolino non sta in piedi. Si tratta di tre aspetti fondamentali che si alimentano a vicenda, essenziali per gettare salde fondamenta
Appena ho iniziato a praticare il Buddismo andavo a tutti gli zadankai: adoravo le riunioni di discussione dove si parlava delle esperienze personali e dei princìpi buddisti, ma non frequentavo le riunioni di studio. Un giorno il mio responsabile di gruppo mi disse: «Si dice che fede, pratica e studio nel Buddismo siano come le tre gambe di un tavolino: se ne manca solo una, il tavolino non sta in piedi e crolla». In effetti, mi sentivo barcollante e quelle parole risvegliarono in me la voglia di costruire salde fondamenta nella mia vita, la voglia di sentirmi solida qualunque cosa potesse accadere.
Ma cosa sono esattamente la fede, la pratica e lo studio nel Buddismo?
La recitazione del Daimoku è la pratica fondamentale e la lettura di alcuni passi del Sutra del Loto (Gongyo) quella di supporto. Attraverso questa pratica quotidiana trasformiamo le nostre tendenze karmiche, di qualunque natura esse siano, richiamando lo stato di Buddità inerente alla nostra vita, e indirizziamo ogni cosa verso la creazione del massimo valore. Spiega Daisaku Ikeda:
«Ci sono persone che hanno motori potenti e persone che hanno motori deboli. Cosa riusciamo o non riusciamo a realizzare nel corso della nostra vita è fortemente determinato dalla potenza del motore. La costanza della pratica quotidiana aumenta la potenza del motore. […] Gongyo è una pratica con la quale, attraverso la nostra fede nel Gohonzon, creiamo una fortissima unione fra il microcosmo della nostra esistenza e la forza vitale dell’intero universo. Se fatto regolarmente mattina e sera, la propria forza vitale, il proprio motore, ne esce rafforzata» (I protagonisti del XXI secolo, Esperia, pag. 224)
Inoltre, attingere a questa vasta condizione vitale ci permette di aprire la nostra vita e quindi sostenere anche quella degli altri. In questo modo la pratica per sé e la pratica per gli altri diventano un tutt’uno indissolubile. Quando iniziamo a percepire la gioia della Buddità dentro di noi, infatti, succede una cosa meravigliosa: iniziamo a desiderare spontaneamente che anche gli altri, colleghi, amici, familiari, tutti possano sentire questa gioia, e così nasce il desiderio di condividere il Buddismo con gli altri.
Un brano del Sutra del Loto che leggiamo tutti i giorni durante Gongyo dice: «Come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?» (SDL, 305). L’azione di shakubuku è la fonte della più grande fortuna perché realizza il desiderio innato del Budda, è l’azione che ci permette di rafforzare illimitatamente la condizione vitale e di compiere la nostra rivoluzione umana.
Ed eccoci così arrivati allo studio, che forse siamo abituati a pensare come un qualcosa di astratto, filosofico, ma in realtà non è così. Come spiega Ikeda: «L’anima dello studio del Buddismo risiede nel metterlo in pratica: leggendo il Gosho con la nostra vita, vale a dire mettendo in pratica i suoi insegnamenti, possiamo costruire dentro di noi un carattere risoluto, una felicità durevole e uno stato vitale forte e indistruttibile» (NR, 394, 5). La fonte dello spirito combattivo si trova negli scritti di Nichiren Daishonin e lo scopo dello studio è di fare nostro questo spirito facendo emergere il coraggio per sfidare ogni avversità. Se la pratica di Daimoku e Gongyo sono la base della fede, lo studio è la chiave per mettere in pratica la fede nella vita quotidiana. Questa consapevolezza mi ha alleggerito gradualmente di mille fardelli e mi ha tirato fuori una gioia inspiegabile.
Manca ancora una gamba al tavolino: cosa si intende per fede nel Buddismo?
Non si tratta di un dogma imposto, piuttosto è qualcosa che si costruisce sperimentando un cambiamento visibile e concreto. La fede è la risultante diretta della pratica e dello studio: «La cosa meravigliosa dell’aver fede nel Buddismo del Daishonin – scrive sensei – è la possibilità di condurre la vita delle persone dalla peggiore sofferenza alla più grande felicità possibile e di trasformare qualsiasi problema in fonte di crescita e realizzazione. La parola fede include tutto: la verità, il coraggio, la saggezza, la fortuna. […] Fede vuol dire avere eterna speranza, è il segreto di una realizzazione personale senza limiti, il vero principio fondamentale dello sviluppo umano» (I protagonisti del XXI secolo, pagg. 219-233). Insomma grazie alla pratica, allo studio e alla fede che si alimentano a vicenda, la nostra vita si rafforza illimitatamente e anche ciò che non riuscivamo a immaginare può prendere forma al di là dei limiti della nostra mente: da incerto tavolino che ero, oggi sento che la mia vita sta consolidando nel terreno le sue tre salde radici che la faranno diventare una grande e solida quercia.
TAVOLA ROTONDA
La Soka Gakkai siamo noi
Quando si è pensato di dedicare questo numero ai nuovi membri abbiamo deciso di coinvolgere alcuni di loro nella preparazione. Un contributo di grande stimolo che ci ha permesso di conoscere da vicino le loro idee, le loro esperienze, le loro emozioni
Cosa vi piacerebbe trovare in un numero del Nuovo Rinascimento dedicato ai nuovi membri?
Claudia: Mi piacerebbe che le persone più giovani nella fede fossero incoraggiate ad attivarsi in prima persona, a fare subito questo salto verso una dimensione più grande, che non è solo la pratica personale per trovare il lavoro o per l’esame all’università. Penso che tutti noi dovremmo coinvolgere soprattutto chi pratica da meno tempo, incoraggiarli a intervenire nelle riunioni di studio, a preparare le riunioni di discussione insieme ai responsabili, insomma a dare subito il proprio contributo là dove si è. Spesso le persone non si sentono pronte, vorrei aiutarle a credere nel proprio valore, nella preziosità della propria esperienza.
Voi siete entrati da poco a far parte dell’Istituto Buddista: trovate che vi viene dato spazio, vi sentite stimolati a intervenire?
Claudia: Per quanto mi riguarda a volte sì, altre volte è più faticoso. Credo che sia necessario lavorare sulla fiducia reciproca. Ci devo credere sia io che pratico da poco sia la persona che mi dà l’occasione. Quando mi hanno offerto la responsabilità di settore giovani donne praticavo da poco più di un anno, eppure mi hanno trasmesso talmente tanta fiducia che ho accettato volentieri, anche se in quel momento non sapevo dove mettere le mani. Ho sentito che mi avevano fatto spazio e si fidavano di me.
Fabio: Nel mio gruppo mi coinvolgono un sacco, anche perché sono l’unico giovane… Credo che un nuovo membro debba mettersi in gioco, fare esperienze, crescere affrontando anche degli ostacoli. Se non ci fossero le difficoltà non avremmo nessuno stimolo a crescere. Mentre prima trovavo delle scuse per non affrontare i problemi, adesso appena vedo uno scalino, cerco subito di superarlo con il Daimoku, anche se è una cosa che mi può far soffrire.
Claudia: Mi piacerebbe creare una sorta di diario di questo primo periodo su cui basare l’attività in futuro. Mi ricordo, ad esempio, che il giorno della cerimonia di consegna del Gohonzon avevo paura che mio padre potesse annoiarsi e da allora, ogni volta che sono presente a una consegna, cerco di tranquillizzare le persone su questo punto. Secondo me è importante utilizzare i nostri ricordi, le emozioni ancora vive per migliorare la nostra attenzione nei confronti delle persone. Così ho deciso di curare le piccole cose e cerco di annotarle, perché so che un giorno me le potrei scordare.
Ci sono aspetti dell’organizzazione o dell’attività che non vi sono chiari?
Claudia: Ogni volta mi stupisco di quanto le attività siano ben organizzate. All’inizio ti illudi di poter essere buddista anche senza i compagni di fede. Invece andando avanti capisci che l’organizzazione si prende cura di te, e in seguito ti nasce il desiderio di prendertene cura a tua volta. Quest’anno ho cominciato a fare attività byakuren e in questo modo ho attivato un motore più veloce per le mie esperienze di vita, perché sto sostenendo l’organizzazione che incarna la propagazione della Legge. Se non ci fosse la Soka Gakkai, l’insegnamento di Nichiren Daishonin non sarebbe arrivato dove è oggi.
Fabio: Ci sono state cose in passato che non capivo, ma ho domandato e mi sono chiarito. Quando vedo qualche difetto cerco di non criticare e di concentrarmi sul potenziale di miglioramento. All’inizio si può pensare di praticare bene anche da soli, ma in realtà non è cosi… da soli prima o poi si rischia di smettere.
Da quando pratico sento l’importanza di rispettare gli orari. Come mia caratteristica non sono molto puntuale, ma mi sto impegnando per arrivare in orario alla riunione di discussione. Sto cercando di trasformare questa tendenza anche nella mia vita, perché ho capito che il nostro comportamento nella società è lo specchio di come siamo interiormente. Sensei ci incoraggia a impegnarci proprio nelle cose concrete della vita quotidiana, a metterci obiettivi chiari e a coltivarli ogni giorno. Prima ero incostante ma pian piano ho imparato a prendermi degli impegni.
Claudia: A volte sembra che l’organizzazione sia là e noi qua. Invece la Soka Gakkai siamo noi, ognuno di noi. Sentire che io stessa sono l’organizzazione mi ha aiutata nell’ambiente di lavoro, dove cerco di non mettere in atto comportamenti sbagliati. Mi sento come un biglietto da visita della Soka Gakkai. Mi impegno a essere una buddista tutti i giorni e in tutti i contesti, non solo durante lo zadankai. Se riusciamo a sentirci parte attiva, verrà naturale anche prendercene cura.
L’anno scorso, quando mi hanno comunicato che avrei partecipato alla riunione europea del 22 ottobre a Roma, ho deciso di impegnarmi nello shakubuku, che per me era veramente una sfida difficile. Pochissimi giorni dopo una mia amica è venuta a chiedermi del Buddismo e a giugno ha ricevuto il Gohonzon! Ogni giorno avevo pregato perché lei desiderasse entrare a far parte della Soka Gakkai. Ci sono stati alcuni ostacoli ma non ho mollato, anche se sono sempre stata una persona che alla prima difficoltà si fermava. Adesso ho uno spirito combattivo e in qualsiasi situazione persevero, fino in fondo. L’organizzazione e l’attività sono come una palestra: puoi provare in anticipo dei meccanismi di vittoria che puoi applicare alla vita. È una condizione più protetta, ricca di persone che ti incoraggiano, un luogo dove poter sperimentare e accelerare questo processo di trasformazione.
Fabio: Anch’io ero una persona che si buttava giù facilmente. Sto leggendo un brano della Nuova rivoluzione umana che parla di un generale che per tutta la vita aveva guidato i suoi uomini senza arrendersi mai. Alla fine muore, ma il suo esercito trionfa. Josei Toda paragona questo episodio alla Soka Gakkai che con coraggio non si è arresa di fronte alle difficoltà.
Per me è fondamentale lo studio. Alcuni smettono di praticare perché non studiano; tutti recitano, chi più chi meno, però vedo che alcuni amici studiano poco o niente, non danno importanza a questo aspetto. Così succede che quando vai un po’ in crisi – e ci vai in crisi perché è impossibile non andarci dal momento che stai crescendo – se non studi non ti arriva quell’imbeccata che ti permette di risolvere il problema. In quel momento rischi di andare giù o di smettere. Da quando ho l’obiettivo di studiare tutti i giorni mi sento su un altro livello di crescita, faccio molte più esperienze, ho un altro passo. E il 25 novembre potrò sostenere l’esame di primo livello!
Claudia: In questi giorni riflettevo sull’importanza di cominciare a praticare in questo momento di forte crisi e di sfiducia totale, di grandi difficoltà. Sento quanto è importante dimostrare come si vince con la pratica buddista. Soprattutto gli adulti che hanno ricevuto il Gohonzon da poco raccontano con grinta come stanno affrontando situazioni molto difficili, come separazioni, figli a carico, mutui da pagare… Le loro vittorie incoraggiano un sacco di amici. A volte non c’è bisogno di tante parole se si parte dalla preghiera, da una pratica corretta e dallo studio. Mi ricordo quanto è stato importante per me leggere un articolo sullo stile di vita contributivo: da quel momento mi è venuta voglia di contribuire, comprendendo quanto è importante abbonarsi alle riviste e fare zaimu. Credo che se non fai l’abbonamento all’inizio, per esempio, o se non comprendi subito lo spirito dell’offerta, dopo è più difficile…
Avete qualche esperienza da raccontarci sulla gioia di offrire?
Giorgio: Fin dall’inizio quello che mi ha colpito della Soka Gakkai è stato proprio lo spirito di offrire se stessi, la propria vita. Prima di praticare, un anno fa, ero chiuso, timido, introverso, e vedere che qui le persone si relazionavano cuore a cuore mi ha fatto scattare qualcosa dentro. Ho sperimentato la gioia di offrire il mio tempo e impegnarmi a sostenere un’altra persona affinché possa essere in grado di alzarsi e diventare felice.
Io ho diciotto anni e molti giovani della mia età non hanno speranza per il futuro, non hanno punti di riferimento. Vedere quanto le persone nella Soka Gakkai si dedichino a incoraggiare gli altri mentre attraversano le loro difficoltà mi tocca particolarmente. Quanto allo zaimu, io non ho partecipato subito, ma poi, riconoscendo quello che l’organizzazione ha fatto per me, è diventato naturale voler ricambiare in ogni modo.
Quest’estate ho visitato il Centro culturale a Firenze e “standoci in mezzo” ho sentito che in tutta Italia ci sono persone che si stanno sforzando di tirare fuori il loro potenziale. Questa cosa mi ha dato un sacco di speranza e in quel momento mi è venuta voglia di fare zaimu, volevo sentirmi parte attiva di questo grande movimento che ti permette di alzarti, indipendentemente da dove abiti, da dove provieni.
Claudia: L’offerta in denaro è una cosa che all’inizio non mi piaceva, anzi la percepivo solo come una richiesta di soldi. Ma un giorno mentre recitavo Daimoku ho sentito gratitudine per la nostra organizzazione, perché abbiamo dei Centri culturali che sono tenuti come gioielli. Ho capito il significato profondo di tutte quelle cose che prima mi sembravano un po’ esagerate, e in quel momento ho apprezzato la cura senza la quale non esisterebbe la possibilità di praticare. In quel momento ho cominciato a offrire.
La gratitudine la senti dopo che hai fatto esperienze significative e sai nel profondo che senza la Soka Gakkai non ce l’avresti mai fatta. La gratitudine poi si espande, è contagiosa, diventa un motore enorme che ti permette di offrire quello che hai, e grazie a questo l’organizzazione può ancora migliorare. L’altro giorno ho notato che durante la cerimonia di consegna dei Gohonzon ai nuovi membri viene regalata una cartellina con dentro un bel cartoncino di benvenuto. Quando l’ho visto ho pensato che le nostre offerte erano servite anche per quel progetto, e ne sono stata felice.
Giorgio: Un anno fa a una riunione c’era un signore vestito normalmente. Ha raccontato che fino a due mesi prima viveva per strada e di come grazie all’organizzazione non si fosse mai sentito solo. Questa storia mi ha sconvolto e ho pensato: tu vivi per strada, sei solo, non hai una casa, non hai un lavoro e nessuno si cura di te. Poi incontri il Gohonzon e ricominci a vivere. Perciò ti senti di ringraziare l’organizzazione, che potrebbe sembrare qualcosa di esterno… ma in realtà ti è entrata nel profondo prendendoti per mano.
La vicinanza tra le persone è la cosa che mi è piaciuta di più. All’inizio non recitavo Daimoku, ma partecipando alle riunioni mi sentivo incoraggiato e ascoltando le persone mi chiedevo da dove tirassero fuori tutte quelle belle parole. Poi ho capito che le tiravano fuori dalla pratica. E lì ho cominciato a recitare Daimoku.
Quando hai deciso di ricevere il Gohonzon?
Giorgio: Quando ho sentito che non volevo più aspettare di cambiare tante cose che mi facevano soffrire. Mi sono detto: «Perché devo aspettare per essere felice?». In seguito mi hanno proposto di consegnare le riviste nel mio gruppo. Vedendo le persone così contente quando portavo i giornali, ho cominciato a desiderare che ogni parola scritta in quelle pagine incoraggiasse tutti. Man mano che consegnavo le riviste mi nasceva la voglia di fare qualcosa in più. Così ho desiderato non solo consegnarle, ma anche contribuire con delle riflessioni mie…
Quando penso alla guida di Toda “fede per diventare felici” mi chiedo spesso che cosa voglia dire [vedi pag. 14]. Ho capito che bisogna credere davvero nelle persone quando le incoraggiamo. Bisogna dare valore alla persona che ci sta di fronte senza mai sminuirla, così com’è. Ho letto che sensei, incontrando alcuni bambini di dieci anni, ha detto loro che sarebbero diventati delle grandi persone. Già vedeva il potenziale! Se è vero che tutti abbiamo lo stesso potenziale, allora bisogna riconoscerlo. Anche quando tua madre ti dice che ce la puoi fare… nel momento in cui senti che ti dà fiducia nel vero senso della parola, per quello che sei, allora ti alzi e fai qualcosa. Per come ero prima non avrei mai pensato di poter andare da qualcuno e dire: «Guarda che tu hai questo potenziale». Ma da quando ho ricevuto il Gohonzon mi capita spesso di svegliarmi con il desiderio di farlo conoscere agli altri. La mia determinazione nasce dal forte desiderio, unito alla preghiera, di sentire dentro di me ogni giorno la mia torre preziosa che emerge. È questo che mi spinge a ricercare il valore in ogni situazione e, ogni volta, a riconfermare a me stesso di crescere. Non importa quanto sono difficili le circostanze, l’unica cosa è compiere la mia rivoluzione umana.
ESPERIENZA DI DARIO NARDONE
Un giorno speciale
Il 22 aprile 2012 Dario ha ricevuto il Gohonzon. Questa è una parte del discorso che durante la cerimonia ha dedicato a tutti i suoi cari
Il mio incontro con il Buddismo avviene nel marzo del 2011, mentre sto pedalando nel deserto. Io sono alla ricerca della felicità, ogni giorno! E le parole di una persona cara mi scaldano il cuore. La Soka Gakkai, il Daimoku e… il Gohonzon, una “pergamena”, la mia vita. Voglio capire, di Buddismo ne so ben poco e su internet mi imbatto in siti che parlano di setta, di insegnamenti travisati, di falso Buddismo. Sono spaesato e allarmato! Ma poi semplicemente apro il cuore e accolgo l’invito, mi siedo e ascolto.
Voglio recitare anche io, affidarmi, essere felice! Nam-myoho-renge-kyo, Nam-myoho-renge-kyo. Quel suono e quel ritmo mi scuotono, mi accarezzano, mi scaldano e io mi sento “a casa”, accolto, una sensazione che avevo dimenticato dopo una separazione e una serie di situazioni difficili e conflittuali e un allontanamento volontario che mi ha fatto soffrire, in particolare la mancanza di Giacomo e Martina, i miei bambini.
Arriva il mio primo zadankai. Si recita Daimoku e Gongyo. Riesco a star dietro a una parola ogni tre, la pronuncia è approssimativa, eppure mi sento bene, ho fiducia in quello che sto vivendo, sono sorridente e ottimista.
Una guida del presidente Ikeda mi illumina: «Non si tratta del vostro ambiente o di chi vi circonda, né di come sono l’organizzazione o i responsabili. Essere sviati da questi fattori esterni è inutile. Tutto dipende da una persona: voi. Ciò che importa è che diventiate dei fari, splendenti di gioia e felicità, che viviate con fiducia e coraggio. Se risplendete, non vi può essere oscurità nella vostra esistenza» (Giorno per giorno, Esperia, 22 agosto). Mi viene detto di pormi obiettivi, anche molto pratici, e di pregare, determinare e agire per raggiungerli. Sento il bisogno pungente di mettere mano alla mia situazione lavorativa: sono un giornalista, libero professionista, so quello che valgo e il lavoro non è mai mancato. Quello che più di una volta è mancato è invece da parte mia il rispetto per la mia capacità di saper raccontare fatti e trasmettere emozioni. E questo si è sempre riflettuto in una mancanza di rispetto dei miei committenti, sia per il compenso non adeguato, sia per i tempi di pagamento, spesso infiniti. Ho pregato per cambiare il mio modo di essere e dare valore al mio lavoro: le mie capacità e il mio tempo sono preziosi.
Cambiando io, tutto l’ambiente intorno a me è cambiato e sono arrivate soddisfazioni che prima non mi sarei mai aspettato.
Sento una gioia profonda, che però non è legata al raggiungimento di un obiettivo in sé, ma proprio a quello che realmente sto facendo per la mia vita: la rivoluzione umana. Sto cambiando, sto facendo luce, con fatica e con lacrime che non voglio trattenere.
Ho sempre maggior consapevolezza che il cammino che ho intrapreso mi sta rendendo capace di non lasciare più indietro pezzi della mia vita; mi aiuta a fare luce sulla mia “oscurità”; mi dà la possibilità di cambiare la visuale e vedere realmente per quel che sono le mie tendenze karmiche; mi sta facendo capire cosa vuole dire avere io per primo rispetto della mia vita.
Alla fine del 2011 decido di ricevere il Gohonzon.
La felicità che ho nel cuore non la trattengo di certo e così comincio a fare shakubuku ai miei amici perché voglio che siano felici anche loro.
Voglio parlare della mia fede a mia madre, ma sono ottenebrato dalla fatica degli anni passati: i miei hanno vissuto la mia separazione con grandissimo dolore e più di una volta mi hanno riversato questo sentimento addosso, con forza. Ma ora non potevo più fuggire, e così mi ritrovo sul divano con mia madre a parlarle di Buddismo, del fatto che sto diventando protagonista della mia vita e da quel momento, in diverse occasioni, è capitato che mia madre si sia seduta vicino a me e ai miei figli mentre recitavo Daimoku.
Ho dovuto affrontare ancora numerose sfide prima di ricevere il Gohonzon, ma non mi sono risparmiato nemmeno un pizzico di fatica e di dolore e ho affrontato tutto con coraggio.
E posso dirvi oggi, in questo giorno speciale in cui comincio con ancora più vigore il mio cammino di rivoluzione umana, che ho vinto! E voglio continuare così, con profondo rispetto per me stesso, perché sono un Budda; e con profondo rispetto per tutte le persone che incontrerò, perché sono dei Budda.
ESPERIENZA DI UN GRUPPO DELLA TOSCANA
Indispensabili gli uni agli altri
Cura, incoraggiamento e sostegno reciproco hanno caratterizzato la storia di un gruppo della Toscana in cui ciascuno ha dato il suo contributo. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni protagonisti di questa esperienza
Laura, responsabile di gruppo: Ad agosto Dario e Giacomo hanno ricevuto il Gohonzon e a settembre anche Martina ha deciso di entrare a far parte della Soka Gakkai. Ho avuto l’onore e il piacere di seguire questi tre meravigliosi giovani che con la loro energia hanno motivato e rivitalizzato tutto il gruppo. Condividere con loro questo cammino di fede ha creato tra noi un legame ancora più forte e un continuo incoraggiamento reciproco. È proprio vero che la vittoria di un singolo è la vittoria dell’intero gruppo. Ho cercato di impegnarmi costantemente pensando sempre a cosa avrebbe fatto il nostro maestro e quale sarebbe stata la frase migliore per spronarli, il sorriso più caldo per accoglierli. Ho pregato fino a quando non mi sono sentita soddisfatta, e alla fine siamo stati ripagati con i sorrisi raggianti che hanno accompagnato la cerimonia di consegna dei Gohonzon. È stata una grande gioia!
Dario, 24 anni
I miei genitori si sono separati quando avevo otto anni e in seguito il nostro rapporto non è stato assolutamente facile; mio babbo se ne andò di casa, rendendo davvero dura la nostra crescita, e con mamma non riuscivo a parlare, essendo un maschio e avendo lei tante preoccupazioni nei miei confronti. Per anni ho accumulato rabbia, non credevo più nelle mie capacità e in un mondo giusto. L’unica via d’uscita era rappresentata dallo sport che amavo, il calcio, ma nell’adolescenza mi vidi sbarrare anche questa strada a causa di una rara malattia alle cartilagini che mi costrinse a cinque operazioni al ginocchio, mettendomi a terra fisicamente e psicologicamente. A quel punto era davvero troppo e incominciai a vivere tra rischi e vizi, in uno stato di continuo appannamento. Avevo provato a praticare il Buddismo, ma la forza di volontà non c’era ancora. A un certo punto, circa un anno fa ho ripescato una grande passione, la musica, lasciata da parte tempo addietro per concentrarmi nello sport e ho deciso di iscrivermi nuovamente a una scuola di musica. In passato avevo studiato per otto anni il pianoforte con ottimi risultati e, questa volta, grazie anche al sostegno di mia sorella e mia madre – che praticano anche loro – ho deciso di affrontare questa nuova sfida in modo diverso: ho cominciato a recitare Daimoku tutti i giorni e ho fatto shakubuku a un mio amico, Giacomo, che ha cominciato a praticare. Ci siamo incoraggiati a vicenda e soprattutto abbiamo instaurato una vera amicizia. Insieme a lui mi sono sentito più forte e determinato in questo cammino.
In agosto abbiamo ricevuto tutti e due il Gohonzon, strumento fondamentale affinché la mia vita e questa nuova esperienza musicale possano andare nella direzione giusta. Adesso sono felice di come stanno andando le cose e consapevole di quale cammino voglio percorrere. Anche il rapporto con mia sorella è migliorato molto, e adesso vorrei recuperare quello con mio padre, riavvicinarlo al Buddismo e diventare una persona utile per la felicità degli altri.
Giacomo, 24 anni
Quando Dario mi ha parlato di Buddismo ho cominciato a nutrire un certo interesse. Abituato a pensare molto, le domande che rimbalzavano nella mia testa aumentavano di giorno in giorno ma non riuscivo a trovare una risposta, visto che era un mondo totalmente sconosciuto. Quindi presi la decisione di testare personalmente quali benefici poteva darmi la pratica buddista quotidiana accompagnata dallo studio, stimolato anche dalle persone che mi stavano vicino nel gruppo. Era giugno e la prima cosa di cui mi accorsi dopo qualche settimana fu il cambiamento nel modo di percepire gli avvenimenti che mi capitavano, belli o brutti che fossero: da pessimista cronico quale ero, ho cominciato a credere che i desideri si potessero concretizzare e i problemi che mi si presentavano li affrontavo in maniera diversa, con più grinta e determinazione. Stavo iniziando a diventare protagonista della mia vita.
All’inizio del 2012 mi ritrovai nella classica situazione in cui le cose non vanno per il meglio… grossi problemi con la mia ragazza, indecisione sul futuro, incapacità di reagire.
Tutto questo mi portò a pensare che la cosa migliore fosse “cambiare aria”, prendere e partire, lasciandomi dietro tutto il mio passato. A luglio, dopo un mese di pratica buddista, ricevetti una telefonata molto importante: mi offrivano un posto di lavoro all’estero e la posizione che avrei dovuto ricoprire era quella che avevo tanto desiderato negli ultimi tempi. Le cose stavano iniziando a prendere una piega diversa.
Dentro di me sentivo la solita voce che diceva: casualità, fortuna, coincidenze… Questa volta, però, non l’ascoltai e il 7 agosto, dopo due mesi di pratica buddista, presi la decisione più importante della mia vita: ricevere il Gohonzon. Per un carattere come il mio non è stato facile accettare la potenza di questo mezzo, era come se fossi partito svantaggiato rispetto a molti altri non credendo quasi a niente, eppure mi è bastato poco per vedere i risultati di una pratica costante.
Continuavo a pregare con una grande voglia di ritrovare la mia strada e il mio equilibrio, indipendentemente da dove ero e con chi. Intanto i colloqui telefonici con l’azienda estera andavano avanti e tutto sembrava in dirittura di arrivo.
Ma un giorno iniziai a riflettere con calma sul da farsi: era davvero quello che volevo? Ero pronto ad abbandonare la specialistica a sei esami dalla fine e magari scappare da problemi e situazioni che sicuramente si sarebbero ripresentati in quanto legati al mio stato interiore e non all’ambiente in cui vivevo?
La risposta fu no. Ho quindi deciso di rimanere in Italia, almeno per il momento, per concludere il mio percorso di studi con tranquillità e serenità, due parole che fino a poco tempo fa sapevo a malapena cosa volessero dire. Anche se finora non ho incontrato grossi problemi, in realtà nella mia vita c’è stato un notevole cambiamento.
Martina, 17 anni
Recito Daimoku da circa nove mesi e lo scorso settembre ho deciso di ricevere il Gohonzon perché ho sentito di dover prendere in mano la mia vita.
Prima non riuscivo a realizzare i miei obiettivi perché ogni volta mi fermavo di fronte a vari ostacoli che derivavano dalla scarsa autostima e dalla poca chiarezza. Una volta presa la decisione di ricevere il Gohonzon l’ostacolo più grande è stato la totale mancanza di comunicazione tra me e i miei genitori.
Eravamo in continuo contrasto e non riuscivamo a costruire valore: io volevo che accettassero la mia decisione e il Gohonzon a ogni costo. Ho continuato a recitare Daimoku e a studiare il Buddismo decidendo di trasformare il mio atteggiamento. Quando Giacomo e Dario hanno ricevuto il Gohonzon ho provato un profondo sentimento di gioia nel vedere i loro familiari e i compagni di fede presenti alla cerimonia. Nei giorni seguenti la mia determinazione si è rafforzata e recitando più Daimoku sono riuscita a pormi in maniera positiva e serena verso i miei genitori, tanto che ho deciso di aiutarli nelle pulizie in casa e nel condominio.
La reazione da parte loro è stata molto positiva e in seguito hanno accettato il mio invito a partecipare a una riunione dove ho raccontato la mia esperienza.
ESPERIENZA DI SILVIA PASQUALINI
Il coraggio di cambiare
«Sto scoprendo un modo nuovo di vivere le mie emozioni, senza rinunciare a me stessa, al mio valore e a tutto ciò che amo fare»
Dieci anni fa un’amica mi accompagnò a una riunione. Nonostante sentissi esperienze interessanti, avevo la sensazione che quelle persone non fossero spontanee e dentro di me dicevo: «Voglio essere libera, la mia felicità non può dipendere da una pratica». Non tornai una seconda volta. Successivamente ho fatto un percorso di psicoanalisi e poi di meditazione Vipassana che mi ha riavvicinato alla filosofia buddista. Però il modo di sentire me stessa e la vita non era poi così cambiato. Continuavo a percepire una sensazione di isolamento, di chiusura verso gli altri. Benché fossi innamorata della vita, avvertivo come un muro tra me e il resto del mondo. Un malessere di sottofondo, costante. Non potevo chiamarlo dolore, ma era la mia sofferenza, sia nella mia famiglia che nel rapporto di coppia. Quando il malessere è diventato dolore ho chiesto al mio compagno, che praticava da anni, di darmi uno dei suoi libri sul Buddismo di Nichiren Daishonin.
Il Budda nello specchio l’ho letto in poco più di una notte. Era il 14 dicembre 2011, e quel giorno ho deciso che avrei ricevuto il Gohonzon il 27 dicembre.
Avevo iniziato a praticare costantemente solo tredici giorni prima, un’ora di Daimoku e uno stentato Gongyo, mattina e sera. Leggevo i Gosho e i libri sul Buddismo di Nichiren. Immediatamente ho avuto una sensazione di benessere e la certezza che qualunque cosa fosse accaduta, la direzione intrapresa mi avrebbe consentito di esser felice e a mio agio. Avevo trovato la strada per aprirmi e per abbattere il muro che mi divideva dagli altri.
A gennaio dovevo lasciare l’ufficio che condividevo con un’amica, perché non potevo affrontare l’aumento di affitto che ci avevano richiesto. Lo stesso giorno della cerimonia di consegna del Gohonzon ho trovato lavoro nello studio che stavo cercando, a pochi metri da casa. Non solo è cambiato il mio quotidiano, ma ho ridotto molte spese ed è stato positivo vista la crisi economica che tutti stiamo vivendo. Ho iniziato a vivere il quartiere dove abito da diciassette anni, nel quale tornavo solo la sera. Una rete straordinaria di compagni di fede mi ha accolto e sostenuto in ogni momento. La mia gratitudine va a tutti loro perché mi sono stati vicini quando, finalmente, a quarantatré anni ho cambiato il percorso della mia vita. E anche perché mi aiutano con calore a rinnovare ogni giorno il coraggio e la fiducia per affrontare e trasformare le difficoltà che incontro.
La mia relazione sentimentale è entrata in crisi; ho recitato Daimoku per l’armonia che non c’era. Non capivo perché. Non succedeva nulla, anzi, le discussioni e i conflitti si intensificavano fino a quando lui ha smesso di praticare. Ho determinato che ritornasse alla fede con spirito rinnovato. Ho aumentato il mio Daimoku, ho iniziato a fare attività di protezione e ad aprire la casa per le recitazioni di Daimoku. A febbraio mia madre, che ha settantacinque anni e vive in provincia di Viterbo, ha chiesto di fare Daimoku con me. Da allora recita Daimoku e Gongyo, mattina e sera. L’armonia è entrata nella mia famiglia. Il rapporto con mio padre, da sempre assente e disinteressato, è diventato ricco e aperto. Nel contempo la mia relazione continuava a essere piena di contrasti e di sofferenza. Davanti al Gohonzon ho scoperto che stavo rinunciando a me stessa pur di conservare quel rapporto. Mi sentivo rassegnata e non vivevo con quella forza che il Buddismo ci insegna a ricercare. Recitando Nam-myoho-renge-kyo ho sentito il valore e la preziosità della mia vita, quella torre preziosa che Nichiren ci invita a vedere dentro, e non fuori di noi. In quel preciso istante ho cominciato ad andare verso il valore, desiderando profondamente che entrasse in ogni aspetto della mia esistenza. Ho chiuso la mia relazione, ma non prima di esser riuscita ad aprirmi completamente con il mio compagno, cuore a cuore, ciascuno con la propria verità e la propria sofferenza, in armonia e valore. Con mia grande gioia lui ha ripreso a praticare.
Ho accettato per anni l’immutabilità e ora, davanti al Gohonzon, ho trovato il coraggio di cambiare. Sto scoprendo un modo nuovo di vivere le mie emozioni, senza rinunciare a me stessa, al mio valore e a tutto ciò che amo fare. Il Daimoku mi ha dato la forza per abbattere la gabbia della sofferenza e della paura e mi ha dato il coraggio per andare verso la libertà.
Protagonisti di un grande sogno
Anche se la Soka Gakkai può sembrare qualcosa di esterno alla nostra vita, fondamentalmente è un tessuto di legami umani. Una persona che ne ispira un’altra, al di là di ogni differenza: ecco come si può creare il cambiamento della società fin dalle fondamenta
La storia della Soka Gakkai è la storia di un grande sogno: permettere a tutte le persone di vivere felici grazie alla pratica buddista, all’educazione a una cultura di pace e al riconoscimento del valore e della dignità di ogni essere umano.
Per realizzare questo sogno si è impegnata a far conoscere il Gohonzon e l’invocazione della Legge, Nam-myoho-renge-kyo, dando vita a un movimento di persone comuni che agiscono per la felicità propria e altrui. È grazie a questo desiderio che ognuno di noi ha avuto la possibilità di conoscere la pratica buddista e cominciare a trasformare la propria vita.
Quando s’incontra la Soka Gakkai, si può correre il rischio di considerarla come qualcosa di esterno, un contenitore con una propria vita separata dalla nostra. Ma Daisaku Ikeda ci aiuta a comprendere che in realtà non è così: «Anche se utilizziamo il termine organizzazione, non dobbiamo dimenticare che essa è un complesso di legami tra esseri umani. Questa è la ragione per cui la Soka Gakkai continua a sostenere e a prendersi cura di ogni singolo membro, senza fare distinzioni» (I protagonisti del XXI secolo, Esperia, pag. 259).
È significativo che in uno dei suoi trattati più importanti, Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, Nichiren Daishonin per scrivere “paese” utilizzi in prevalenza l’ideogramma che si usa per “gente”, definendo così il “paese” come il luogo in cui vivono le persone comuni. Il “paese” quindi non è qualcosa di astratto, ma la somma di tutte le persone che lo abitano. Nello stesso modo potremmo intendere la Soka Gakkai. Se pensiamo alle gocce d’acqua dell’oceano, ogni singola goccia al suo interno contiene ciò di cui è fatto l’oceano intero. L’oceano non esiste separato dalle gocce d’acqua, anzi è il risultato della loro unione. Allo stesso modo l’organizzazione non è altro che l’unione dei compagni di fede che insieme al maestro portano avanti la missione di realizzare kosen-rufu.
Quando ne sono entrato a far parte, la prima cosa che mi ha colpito è stato il concetto di “alzarsi da soli”. Si respirava un’atmosfera di fiducia che nella vita non avevo ancora trovato, ma nonostante questo mi capitava di andare alla riunione di discussione e sentirmi come uno spettatore. Avevo difficoltà a slegare alcune corde che mi tenevano a terra e mi capitava spesso di pensare di non avere nulla d’interessante da dire, di non avere le nozioni storiche per parlare a un ospite e di sentire che le mie esperienze fossero sempre meno incoraggianti di quelle raccontate dagli altri.
Andando avanti ho incontrato anche situazioni che non mi sono piaciute, dove non mi sono sentito a mio agio. Come se fossi uno spettatore, appunto, guardavo con ammirazione le cose belle e mi spaventavo di quelle che non mi piacevano, magari pensando di non partecipare più. Sensei ci ricorda però che tutto dipende da noi stessi, dalla nostra determinazione di crescere migliorando continuamente. Ho cominciato così a recitare Daimoku per sentirmi parte attiva di questa organizzazione, impegnandomi da una parte a incoraggiare le persone così com’ero, pregando per arrivare al loro cuore e dall’altra, nelle situazioni che meno mi piacevano, per diventare io il motore del cambiamento. Daisaku Ikeda scrive: «L’organizzazione è un mezzo, non è il fine e quindi non è perfetta. Nei primi anni di pratica io stesso non ero soddisfatto della Soka Gakkai: a quei tempi non eravamo particolarmente impegnati in attività culturali e io non riuscivo proprio a farmi piacere un’organizzazione così. Venuto a conoscenza del mio malcontento il presidente Toda mi disse: “Se è questo ciò che provi, perché non crei un’organizzazione che ti piaccia? Lavora duramente e dedicati sinceramente a costruire un’organizzazione ideale attraverso i tuoi sforzi”» (D. Ikeda, I protagonisti del XXI secolo, Esperia, pag. 264).
Grazie a questo incoraggiamento ho cominciato a sperimentare una preghiera diversa sentendo la responsabilità, nell’organizzazione come nella mia vita, di migliorare le cose assaporando la gioia di sfidarmi.
Mi alzo con te
Se da una parte l’azione di “alzarsi da soli” rappresenta un cambio di prospettiva che ognuno può sperimentare, dall’altra esiste un aspetto della nostra pratica che è in qualche modo legato, se non complementare: sostenerci gli uni con gli altri e coltivare le relazioni tra noi.
Qualche mese fa stavo affrontando alcuni importanti cambiamenti. Una mattina mentre pregavo ho sentito un profondo senso di gratitudine per essere membro della Soka Gakkai e soprattutto per avere la possibilità di fare attività al suo interno. In Luce di felicità si legge: «Le attività della Soka Gakkai illuminano la via diretta verso la felicità: aiutano le persone a stabilire nella loro vita uno stato di felicità assoluta, contribuiscono a costruire una società prospera e a realizzare la pace nel mondo. Si tratta di un lavoro apparentemente normale, poco appariscente, ma sono le azioni degli inviati del Budda e i nobili sforzi dei Bodhisattva della Terra. Per questo motivo se una persona s’impegna seriamente nelle attività della Gakkai, è in grado di manifestare il grande stato vitale dei Budda e dei bodhisattva, mentre purifica la sua vita facendosi avvolgere dalla gioia e dalla fortuna» (NR, 494, 23).
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di fare un’offerta all’organizzazione perché sentivo che volevo sostenerla anche economicamente. Ho pregato per averne la possibilità, poiché in quel momento non stavo lavorando e, per la prima volta in modo chiaro, ho desiderato non solo fare zaimu, ma anche condividere la gioia dell’offerta con gli altri. Ho sentito che coltivare e accrescere la mia fede non poteva più prescindere dal desiderio che anche i miei compagni, soprattutto quelli più giovani nella fede, sperimentassero i benefici che stavo sperimentando io. Ho sentito di nuovo la gioia di trasmettere la Legge, la stessa che si prova quando si fa shakubuku per permettere a una persona di diventare felice.
Fin dall’inizio, per poter ricevere benefici, una persona ha bisogno di praticare il Buddismo come insegna il Daishonin e ognuno di noi può giocare un ruolo fondamentale nel sostenerla. Ciò significa innanzitutto migliorare noi stessi, approfondire la fede con il desiderio di crescere insieme e pregare per creare unità poiché, nel far da solo, ho a che fare unicamente con me stesso, mentre nel fare insieme agli altri incontro inevitabilmente un sacco di diversità. Significa anche un maggiore impegno nello studio, per trasmettere correttamente ciò che il Buddismo insegna a chi ha meno esperienza. Inoltre, per sostenere davvero, bisogna impegnarsi e pregare per vedere gli altri con gli occhi del Budda. Non esistono bravi e meno bravi, non esistono persone pronte o non pronte. Esistono Budda e Bodhisattva della Terra. Tutto sta nella nostra capacità di vedere.
Scrive il presidente Ikeda: «Lo spirito di compassione è la base del Buddismo. Quando le persone sentono che siete sinceramente preoccupati, che avete fatto Daimoku per loro, che le apprezzate e parlate con il cuore per il loro bene trattandole con rispetto, allora ne saranno profondamente toccate e sentiranno la forza per vivere con speranza e coraggio. Una persona che ne ispira un’altra, al di là di ogni differenza: ecco come si può creare il cambiamento della società fin dalle fondamenta».
Aprirsi agli altri
Ogni persona che comincia a praticare può rappresentare una nuova fiamma per il progresso di kosen-rufu e dell’organizzazione. Questa fiamma può estendersi oppure estinguersi nel corso di una notte per effetto di una pioggia intensa. Sotto questa luce Ikeda ci ricorda che il compito più urgente per contribuire a questo progresso è «sostenere ciascun credente, farlo crescere nella fede rendendolo capace di diffondere gli insegnamenti del Daishonin nel mondo. Invitare le persone a una riunione e trasmettere loro la pratica corretta sono azioni simili al funzionamento delle due ruote di una bicicletta. Entrambe si muovono contemporaneamente e solo così kosen-rufu può crescere e svilupparsi» (NRU, 2, 152).
Sostenere gli altri vuol dire realizzare il sogno originale di Nichiren Daishonin e creare legami che vanno al di là delle differenze. Nel perseguire questo sogno, nell’aprire la nostra vita, incontriamo molte diversità e difficoltà che alla fine possono trasformarsi in esperienze di crescita e unità.
Così Giorgio, diciotto anni, vede quest’impegno: «La lotta costante nel voler trasformare il veleno in medicina significa proprio utilizzare le sofferenze, nostre e altrui, per sperimentare e abbracciare la Legge mistica. Ed è questa l’essenza del Buddismo: se tempriamo la nostra fede solidamente, oggi più di ieri e domani più di oggi, riusciremo a permettere a ognuno di essere in grado di diventare felice».
Quando penso alla pace non la immagino più come qualcosa di straordinario. La pace inizia con lo stabilire legami da cuore a cuore tra persone diverse. In questa semplicità ho trovato la motivazione per continuare a fare la mia rivoluzione umana, così da avvicinarmi a un numero sempre maggiore di persone. A volte si pensa che questo tipo di azione riguardi solo alcuni di noi, o i responsabili… ma in realtà non è così. Ogni persona, anche se pratica da poco tempo, può iniziare a prendersi cura di un amico, a pregare per il suo benessere e contribuire con il proprio cambiamento al sogno di felicità e di pace del genere umano.
