ku = nove; shiki = coscienza. Il principio delle nove coscienze fu sviluppato per la prima volta in India nel quinto secolo dal filosofo buddista Vasubandhu
Le prime sei: il contatto con il mondo esterno
“Coscienza” è la traduzione della parola sanscrita vijnana che significa “discernimento”. Le prime cinque coscienze corrispondono ai cinque sensi, esse sono: la coscienza della vista o chakshur 2) dell’udito o shrota, 3) dell’odorato o ghrana 4) del gusto o jihva e 5) del tatto o kaya. La sesta coscienza o coscienza della mente (mano) integra le percezioni delle altre cinque coscienze per formare immagini coerenti e giudizi rispetto al mondo esterno. Attraverso questo “assemblaggio” delle informazioni provenienti dai cinque sensi siamo in grado per esempio di distinguere un’arancia vera da una di plastica, a tutto vantaggio della nostra salute. Tale meccanismo basilare per la sopravvivenza non è infatti peculiare solo degli esseri umani ma esiste già a livello degli animali per favorire al massimo la sopravvivenza della specie.
La “coscienza razionale”
La settima coscienza (che in sanscrito si chiama sempre mano) è invece una facoltà mentale tipicamente umana, almeno per quanto ne sappiamo. Non riguarda il mondo esterno ma quello interiore, la capacità di porci dimande e di riflettere su noi stessi. Si ritiene che la consapevolezza dell’io e l’attaccamento a esso abbiano origine dalla settima coscienza, così come tutte le “grandi” domande sul senso della vita. In sanscrito la sesta e la settima coscienza hanno lo stesso nome ma, con la nostra visione occidentale, potremmo con una buona approssimazione chiamare la settima “razionalità”.
Il karma, ottava coscienza
L’ottava è la coscienza “magazzino” o coscienza alaya, così chiamata perché in essa si accumulano, come tanti “semi” o potenzialità karmiche tutti gli effetti delle proprie azioni buone o cattive. È il deposito delle tracce lasciate in noi dalle infinite esperienze compiute dall’infinito passato sino a ora attraverso pensieri parole e azioni. Queste tracce determinano ogni aspetto della nostra attuale esistenza individuale, dalle sembianze fisiche alle condizioni di vita, dalle malattie al carattere, dai particolari talenti alla durata della nostra vita, stabilendo così la direzione in cui la nostra vita tenderà a svilupparsi. Insomma l’ottava coscienza contiene il nostro karma. In termini occidentali si avvicina in parte all’idea dell’inconscio, la parte sepolta dell’iceberg della nostra vita, della quale non siamo consapevoli ma che in realtà influenza tutte le nostre scelte. Il Buddismo però non considera il karma fisso e immutabile, anche se questa mancanza di consapevolezza del karma e la profondità di esso spesso ci rendono così difficile invertirne la rotta con le facoltà proprie delle altre sette coscienze. Così a volte non è possibile vincere certe nostre paure solo con la razionalità o la volontà. Inoltre la coscienza alaya non solo comunica con le altre coscienze, come si vede dal fatto che la nostra “tendenza karmica” influenza i nostri pensieri e le nostre percezioni, ma comunica anche con quella delle altre persone, è indissolubilmente legata a quella della nostra famiglia, della nostra specie, dei nostri simili e in genere a quella dell’universo in cui viviamo. Anche questa idea si avvicina ad alcune riflessioni della psicologia occidentale come quella di Carl Jung sull’esistenza di un inconscio collettivo e di una serie di archetipi interiori comuni a tutta l’umanità. È sempre a livello della coscienza alaya che si mantiene la continuità della vita al di là dei cicli di nascita e morte. Quando si muore, l’energia karmica potenziale continua a fluire nella coscienza alaya e crea le circostanze in cui potersi nuovamente manifestare attraverso la nascita, in una nuova vita individuale. Infine, c’è la nona coscienza detta coscienza amala. Questa è la sorgente stessa della vita che sostiene perfino il funzionamento della coscienza alaya. Lo scopo della pratica buddista è di stimolare il risveglio di questa coscienza pura e incontaminata dal karma che ha il potere di illuminare tutte le altre coscienze.
La nona, la natura di Budda
Nel Buddismo di Nichiren Daishonin la coscienza amala corrisponde alla natura di Budda, l’immensa potenzialità contenuta nella vita che risvegliamo attraverso la pratica di Nam-myoho-renge-kyo. Nichiren ribadisce che «il corpo è il palazzo della nona coscienza», la natura di Budda è una facoltà umana innata, una coscienza che una volta risvegliata ci permette di vedere con altri occhi la realtà, di andare oltre i preconcetti della mente e le limitazioni del karma per indirizzare la nostra vita nella maniera migliore per creare felicità in noi e intorno a noi.