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Le lezioni della storia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:40

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    Le lezioni della storia

    Daisaku Ikeda analizza nella recente proposta di pace tre aspetti di “Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”, il più importante trattato di Nichiren Daishonin, scritto in una epoca travagliata e drammatica. A distanza di settecentocinquant’anni esso offre ancora indicazioni preziose per affrontare le crisi del nostro tempo

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    Daisaku Ikeda analizza nella recente proposta di pace tre aspetti di “Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”, il più importante trattato di Nichiren Daishonin, scritto in una epoca travagliata e drammatica. A distanza di settecentocinquant’anni esso offre ancora indicazioni preziose per affrontare le crisi del nostro tempo

    «Non soltanto devi fare proposte concrete per la pace dell’umanità, devi anche lavorare in prima persona perché siano messe in pratica. E anche se non saranno pienamente o immediatamente accettate, saranno una “scintilla” dalla quale alla fine scaturirà un movimento per la pace simile a un grande fuoco. Le teorie che non si basano sulla realtà rimarranno sempre un futile esercizio. Le proposte concrete offrono la cornice per la trasformazione della realtà e possono servire a proteggere gli interessi dell’umanità». Questo disse Josei Toda al suo giovane discepolo, Daisaku Ikeda, più di cinquant’anni fa. E da ormai trent’anni, senza interruzione, ogni anno, nell’anniversario del Giorno della Soka Gakkai Internazionale, Ikeda pubblica le proposte di pace «che rappresentano lo sforzo di adempiere al mio voto personale al mio maestro».
    Oggi Daisaku Ikeda ha ottantaquattro anni ma, come lui stesso dice, se ne sente nuovamente ventiquattro [cfr. NR, 484, 8]. La proposta di quest’anno coniuga le caratteristiche dell’età d’oro e quelle della gioventù: la saggezza, la pazienza, la lungimiranza da un lato, e dall’altro la passione, l’entusiasmo e il coraggio di non arrendersi davanti a ciò che tutti chiamano impossibile. Soprattutto questa proposta trasmette una profonda sensibilità, una partecipazione emotiva alle sofferenze, non della generica umanità, ma di ogni singolo che abita il nostro pianeta. Un po’ quello che diceva il Daishonin nella Raccolta degli insegnamenti orali: «Le diverse sofferenze che tutti gli esseri viventi sopportano sono tutte sofferenze personali di Nichiren». E questa acuta percezione del dolore di ognuno si trasforma in un appello accorato per non cedere all’indifferenza davanti al susseguirsi di minacce sempre più forti.
    Una minaccia è l’intensificarsi dei disastri naturali, il cui impatto sembra diventare paradossalmente sempre più grave col crescere del progresso tecnologico, come dimostra il triste episodio della centrale nucleare di Fukushima. E non sono solo i disastri naturali, ma anche quelli «umani, sociali, derivati dalla crisi economica, dalle malattie, dal degrado ambientale, che mettono le persone in condizioni di subire, da un momento all’altro una privazione improvvisa» delle basi stesse della propria esistenza.
    Cosa significa, davvero, da un momento all’altro, perdere le persone più care? Perdere la propria casa, la propria città, vedere «recisi in un istante i collegamenti fra le persone e i luoghi» che amiamo e che formano la nostra identità? Possiamo immaginarlo davvero? O perdere il proprio lavoro e, come afferma Ikeda citando le parole di Stuart Rees, direttore della Sidney Peace Foundation con il quale sta realizzando un dialogo, vedersi «negato quel senso profondo del proprio valore umano che deriva dal lavoro; sia nel senso di guadagnarsi da vivere, sia di avere la soddisfazione di realizzare qualcosa o dare un contributo alla società». È indispensabile una maggiore concentrazione a livello internazionale sulle misure necessarie a garantire la “sicurezza umana”, a far sì che «quando le persone vivono crisi ripetute e disastri imprevedibili che ne determinano la caduta» ci siano sempre «mani in grado di afferrarle».
    Nel tredicesimo secolo il Giappone fu colpito da disastri e sconvolgimenti sociali che uccisero un gran numero di persone e provocarono sofferenze inaudite. E l’anelito a trovare un modo per alleviare la sofferenza della gente spinse il Daishonin a scrivere Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, uno dei suoi trattati più importanti. Imparando da quella che lo storico Arnold Toynbee chiamava le “lezioni della storia”, quest’opera può rappresentare «una cornice utile per riflettere sulla situazione contemporanea».
    Tre aspetti di questo trattato, osserva Ikeda, sono rilevanti per il problema della sicurezza umana. Anzitutto un dettaglio, nel quale però «si può dire che sia condensata la filosofia di Nichiren». Nichiren, quando parla dello stato usa raramente i caratteri cinesi più usuali, che rappresentano un sovrano o un’arma racchiusa entro mura o confini, ma usa quasi sempre il carattere in cui «all’interno delle mura o dei confini sono contenuti i tratti che rappresentano il popolo, le persone comuni». A significare, con una presa di posizione assai coraggiosa per il suo tempo, che «la base dello stato è costituita dalle persone e dalla loro vita, non dall’autorità politica o dalla forza militare».
    Che senso ha, si chiede Daisaku Ikeda, l’esistenza di questo stato se «non compie sforzi per alleviare le sofferenze dei suoi cittadini e offrire sostegno alla loro ricerca di poter vivere dignitosamente»? I disastri mettono in evidenza i punti di debolezza della nostra società rivelando quanto siano vulnerabili e non tutelate in particolare le categorie sociali degli anziani, i bambini, i disabili. E le donne, alle quali dedica un intero capitolo, osservando che spesso su di loro ricade il carico più pesante nelle situazioni di calamità, ma anche che esse possiedono risorse insostituibili per la prevenzione e la ricostruzione che la società deve tenere in gran conto e valorizzare adeguatamente.
    Il secondo aspetto del trattato di Nichiren che Ikeda considera è una visione del mondo basata sulla consapevolezza profonda della «nostra interconnessione». Il riconoscimento, in parole semplici, che non si può essere felici da soli, ignorando l’infelicità e le minacce che colpiscono gli altri. L’importanza di considerare gli effetti nel tempo e nello spazio delle varie minacce e disastri, cioè «di non ignorare la tragedia ovunque essa accada e di impedire che i lasciti negativi del presente gravino sulle generazioni future».
    Il terzo aspetto del trattato di Nichiren sul quale Ikeda richiama l’attenzione si riferisce al concetto moderno di “empowerment”, la fiducia nel potere di ogni persona di fare la differenza nel proprio ambiente e influenzare così anche le scelte a livello globale.
    “Credere nelle capacità reciproche e lavorare insieme per farle emergere” richiede uno sforzo coraggioso. E Ikeda cita le parole di un uomo coraggioso, il vescovo brasiliano Helder Câmara: «Tu non devi mai arrenderti. Finché una persona è viva, da qualche parte sotto la cenere è rimasto un piccolo residuo di fuoco e tutto il nostro compito è… soffiare con molta cura… e vedere se si accende». «Lo spirito dell’empowerment – conclude Ikeda – consiste nell’attizzare con cura quel “piccolo residuo di fuoco” nell’animo umano dei nostri sostenitori così come dei nostri oppositori». Questo spirito è essenziale «per ristabilire la salute e l’equilibrio mentale delle persone, “la guarigione del cuore”». Un’impresa impossibile da realizzare da soli. Che si tratti di un lutto personale o di una catastrofe collettiva, l’unico aiuto per la guarigione del cuore è il sostegno degli altri.
    Nella seconda parte della proposta, Daisaku Ikeda espone una serie di suggerimenti concreti, per i quali rimandiamo il lettore al numero di Buddismo e società sul quale la proposta sarà pubblicata integralmente. Vale la pena però di accennare alle osservazioni che formula riguardo la più grande minaccia che l’umanità si trova di fronte: le radiazioni nucleari. Per la prima volta Ikeda affronta senza mezzi termini il problema dell’energia nucleare ricordando che «le conseguenze negative che derivano anche solo dal funzionamento normale e senza incidenti delle centrali potrebbero durare centinaia e anche migliaia di anni». «Il danno alla salute e all’ambiente naturale che deriva dall’esposizione alla radioattività – scrive Ikeda, – è esattamente lo stesso, […] qualsiasi sia la fonte da cui essa proviene: l’uso effettivo di armi nucleari, la fuoriuscita di radioattività che accompagna lo sviluppo, la produzione o i test relativi a queste armi, oppure un incidente in un impianto per la produzione di energia nucleare». Perciò egli auspica vivamente una rapida transizione a una politica energetica che non sia più basata sull’energia nucleare.
    Infine, per quanto riguarda l’abolizione definitiva in tutto il mondo delle armi atomiche, invita a realizzare una forte pressione da parte di tutti i gruppi sociali, per ratificare al più presto una Convenzione sulle armi nucleari che esprima chiaramente la condanna assoluta di queste armi di distruzione globale e diventi la base per una loro effettiva eliminazione. E propone che la prossima conferenza per la revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, prevista per il 2015, abbia luogo a Hiroshima e Nagasaki, le due città che ancora portano le ferite dei bombardamenti atomici nella Seconda guerra mondiale, in modo che chi governa il mondo, dopo esserci stato fisicamente, possa dire, come l’ex segretario della difesa statunitense William J. Perry: «Le immagini orribili delle conseguenze dei bombardamenti atomici sono adesso indelebilmente impresse nella mia mente. Questa esperienza ha rafforzato la mia determinazione che queste armi non debbano mai più essere usate di nuovo in alcun luogo della Terra».

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