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Le donne delle rivoluzioni silenziose - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:39

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    Le donne delle rivoluzioni silenziose

    Sono quelle capaci di avviare dal nulla grandi progetti, di portare avanti un impegno per tutta la vita, di scuotere le coscienze e di parlare con sincerità. Il presidente Ikeda ce ne parla spesso, lasciandoci capire che quelle persone speciali siamo anche tutte noi

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    Sono quelle capaci di avviare dal nulla grandi progetti, di portare avanti un impegno per tutta la vita, di scuotere le coscienze e di parlare con sincerità. Il presidente Ikeda ce ne parla spesso, lasciandoci capire che quelle persone speciali siamo anche tutte noi

    «Le donne aprono la strada», scrive Nichiren Daishonin (D. Ikeda, Buddismo oggi 2003-2005, esperia, pag. 280). Pronunciate più di otto secoli fa, queste parole sono oggi la sintesi del pensiero costante che il presidente Ikeda nutre nei confronti delle donne: il loro ruolo nella missione di kosen-rufu. Il loro ruolo nell’eliminare sofferenza e trasmettere gioia. Il loro ruolo per realizzare una società in cui prevalga il buon senso, l’armonia, l’amore e la compassione per l’altro. Perché le donne? Mi sono chiesta. Perché tanta attenzione a quello che fanno e potranno fare? La risposta l’ho trovata leggendo le biografie delle donne che Ikeda spesso cita nei suoi scritti, con alcune delle quali ha intrattenuto dialoghi davvero interessanti. L’ho trovata rileggendo i molti Gosho che Nichiren ha indirizzato alle sue discepole, chiamandole “sagge” e “nobili”. L’ho trovata guardando gli sforzi che le donne della Soka Gakkai fanno per realizzare ogni giorno un piccolo ma decisivo passo in avanti. Tutte queste persone, conosciute o confuse nella folla, sono quelle che conducono ognuna la propria “rivoluzione silenziosa” che porta la consapevolezza dei problemi da affrontare e fa cambiare le cose. Tutte, in un modo o nell’altro, impegnate a trasmettere felicità. Con un semplice sorriso, con il coraggio di perseguire i propri scopi, con la capacità di parlare e ascoltare con il cuore, con la determinazione di continuare a dialogare nonostante le difficoltà, con la fede che non si arrende al dubbio. Un atteggiamento costruttivo, insomma.

    Kosen-rufu, un impegno che non finisce

    Il presidente Ikeda ha definito le donne «madri di kosen-rufu» (D. Ikeda, Il Gosho e la vita quotidiana, esperia, pag. 70) dove quell’essere madri significa crescere, accudire, seguire per sempre le sorti della diffusione della pratica buddista e della pace nel mondo. Significa prendere un impegno e portarlo avanti pensando continuamente che è parte di noi, la nostra stessa vita. Se essere felici è avere uno scopo e un profondo senso di missione (vedi D. Ikeda, Giorno per giorno, 22 gennaio) dobbiamo ricercare costantemente il nostro particolare modo di esprimere le nostre capacità, il nostro potenziale. «Cercate di dare un nuovo aspetto alla vostra vita per mezzo della fede e indirizzate i vostri sforzi verso questa via» (RU, 5, 55). Sono le parole che Josei Toda pronunciò in occasione di un incontro amichevole e informale in un ristorante a Tokyo il 10 giugno 1951, incontro che di fatto ufficializzava la nascita della Divisione donne. Un lascito chiaro, che in maniera semplice e senza tanti fronzoli consegnava nelle mani di ogni singola donna di ieri e di oggi un compito immenso. Quello di «agire per la felicità di tutta l’umanità mirando a kosen-rufu» (D. Ikeda, Giorno per giorno, 12 marzo). Un compito che non si esaurisce quando le attività terminano, gli incontri di discussione finiscono o quando quell’ora di Daimoku fatta con altri membri del nostro gruppo è trascorsa. L’impegno per kosen-rufu, ci ricordano Nichiren, Toda, Ikeda, è un impegno nella vita e con la propria vita.

    Le attiviste che Ikeda apprezza

    Negli anni il presidente Ikeda ha dedicato molte riflessioni e scritti ad attività di donne di ogni credo e provenienza sociale. Ha studiato e approfondito il loro pensiero, il loro operato, creando parallelismi tra il loro modo di sentire, parlare e agire e la filosofia buddista.
    Ikeda cita donne che vuole farci conoscere, apprezzare, capire, prendere ad esempio. Cita donne partite dal niente, dal bisogno, dalla sofferenza, che hanno saputo, con le loro azioni e le loro opere, influenzare il pensiero, la politica, le normative nazionali e internazionali.
    Ma cita anche, e sempre, noi tutte: «La storia della Divisione donne è la storia stessa della Soka Gak­kai» (NR, 354, 3) perché «nei momenti cruciali sono la forza e il coraggio della gente comune […] che sono risolutive» (D. Ikeda, Giorno per giorno, 19 aprile). Quello che conta, appunto, non è la posizione da cui si parte, ma la convinzione che accompagna l’azione e la lotta.
    Helen Keller (1880-1968) era diventata sordo-cieca a pochi mesi di vita eppure con una forza straordinaria, e grazie alle cure di un’insegnante che la seguì per tutta la vita, riuscì a imparare il linguaggio dei segni, a parlare, a laurearsi. Fu una grande attivista per i diritti civili, dedicò la sua lunga vita ai diritti delle donne e della classe operaia, amica e consigliera dei presidenti degli Stati Uniti dell’epoca. «Il modo per crescere veramente – affermava – è aspirare ad andare oltre i propri limiti, nutrendo sublimi desideri di grandi cose, e lottando fino in fondo per realizzarli. Quando agiamo al massimo delle nostre possibilità, non sappiamo mai quale miracolo sia scritto nella nostra vita e nella vita di un altro». Un’altra attivista sociale che sensei ama proporci nei suoi scritti è Jane Addams (1860-1935), la prima donna a ricevere nel 1931 il premio Nobel per la pace, che affermava: «Quando le donne si solleveranno la guerra sparirà» (D. Ikeda, Artefici della rivoluzione umana, esperia, pag. 30). Ancora oggi associazioni e gruppi civili sorgono dall’azione di donne che non si arrendono al potere, al sopruso, alla violenza. Sono, per esempio, le madri di Plaza de Mayo, madri dei desaparecidos scomparsi dal 1976 al 1983 durante la dittatura militare argentina. Sono le donne in nero contro la guerra, di ogni angolo del mondo, che urlano tutte lo stesso “no” ai conflitti. Sono le donne che chiedono di conoscere la verità sulle centinaia di ragazze uccise al confine tra Messico e Stati Uniti. Ma sono anche quelle donne che non si arrendono alla visione consumistica che vorrebbe annientare la singola persona e le sue necessità in nome del profitto di nazioni già ricche, come Wangari Maathai, ecologista ke­nyana, premio Nobel per la Pace nel 2004, nota per aver fondato il movimento “Green Belt” (Cintura verde). Un gruppo di donne che dal ’77 a oggi ha piantato migliaia e migliaia di alberi mettendo un piccolo argine al problema della deforestazione e ispirando altri paesi e gruppi analoghi. Oppure ancora donne come Rosa Parks (1913-2005) o Nadine Gordimer che hanno usato la propria vita, le proprie energie una per combattere la segregazione razziale negli USA, l’altra l’apartheid nel Sud Africa. O, infine, quelle donne come Hazel Henderson, futurologa di fama mondiale, economista, consulente per lo sviluppo sostenibile che ha divulgato nel mondo il concetto di “Pensare globalmente, agire localmente”, che spinge a un nuovo approccio con la realtà e lo sfruttamento delle risorse, bene prezioso di tutti, una donna che ha cominciato impacchettando nel retro del negozio ciò che i clienti acquistavano. «Tutto dipende dalle persone […] tutto si riconduce alle persone» (D. Ikeda, Artefici della rivoluzione umana, esperia, pag. 23). E dunque tutto comincia quando una sola persona si alza per combattere.

    La convinzione che sfida ogni ostacolo

    Non accettare, non rassegnarsi, chiedere verità e giustizia. Impegni pesanti, che una volta presi non possono essere abbandonati. E dunque occorre decisione, perseveranza. E una forte convinzione. Nelle decine di Gosho indirizzati a donne che avevano abbracciato il Sutra del Loto, Nichiren fa spesso riferimento, lodandola, alla convinzione di queste persone. Una convinzione che le spingeva ad affrontare lunghi viaggi pericolosi, come nel caso della giovane Nichimyo insieme alla piccola figlia, per arrivare laddove il maestro era esiliato e solo (cfr. Lettera alla santa Nichimyo, RSND, 1, 285). Una convinzione, come quella della monaca laica Sennichi, che la spingeva a sfidare i divieti e le censure dell’epoca per continuare a sostenere il maestro (vedi Il tesoro di un figlio devoto, RSND, 1, 924). A queste donne Nichiren ha affidato le basi della fede, consigli, incoraggiamenti e anche teneri pensieri di amicizia. «Ogni volta che senti la mia mancanza, guarda il sole che sorge [al mattino] e la luna che sorge la sera. In qualsiasi momento io sarò riflesso nel sole e nella luna» (vedi Lettera alla monaca laica di Ko, RSND, 1, 530). Le donne di cui leggiamo sono donne d’azione, che pensano: «È molto difficile, comunque ce la farò» e con questo spirito vanno avanti. Quando questa “spinta” interiore viene dal desiderio di riempire di valore ciò che facciamo, i risultati diventano grandi e vanno oltre il personale beneficio. Quando ciò avviene, stiamo agendo per realizzare kosen-rufu.

    Qualità da coltivare per il dialogo e la pace

    «Le donne giocano una parte vitale nel movimento per la pace della SGI» (H. Henderson, D. Ikeda, Cittadini del mondo, Sperling & Kupfer, pag. 24). Dunque non è un caso che il presidente Ikeda abbia legato il nome del Boston Research Center, istituto da lui fondato che si occupa di studi, ricerche e conferenze sulla pace e il dialogo, a nomi di donne. Da Elise Boulding, esperta e grande studiosa dei temi in questione, al direttore dell’istituto, Virginia Straus. Forse perché c’è un modo di parlare, di trasmettere contenuti, di fare comunità, che è davvero tipico delle donne, che è veramente un attributo che potremmo definire femminile. Se funziona, se porta a risultati così concreti, come gli innumerevoli esempi che sensei ci propone, allora dovremmo farne tesoro. Toda affermò: «I membri della Divisione donne, così come le donne in genere, non si lasciano abbattere da una crisi: sono coraggiose e senza paura. Dovreste far loro attenzione e seguire il loro esempio» (D. Ikeda, Il Gosho e la vita quotidiana, esperia, pag. 74).
    Nel Buddismo di Nichiren non c’è discriminazione, per questo nemmeno superiorità. Perciò quando il presidente Ikeda esalta le donne e la loro capacità di mettere in atto, ognuna nella propria vita, una rivoluzione silenziosa, non esalta solo la persona “nata femmina” ma le qualità femminili che la persona mette in campo: grazia, pazienza, cura, attenzione, delicatezza, perseveranza. Qualità che possono dunque diventare patrimonio di chiunque ed essere utilizzate per creare relazioni più profonde con gli altri. Perché «il modo in cui utilizziamo le nostre capacità è molto più importante di quali esse siano» (Daisaku Ikeda, Artefici della rivoluzione umana, esperia, pag. 40).

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