Dopo l’articolo sulle riunioni di discussione pubblicato sul numero del 15 settembre, Il Nuovo Rinascimento ha rivolto a Tamotsu Nakajima una serie di domande suggerite dai lettori
Redazione: Che cos’è la riunione di discussione?
Nakajima: La riunione di discussione in giapponese si chiama zadankai. Za significa sedere, dan discutere, dialogare, kai riunione. Il nome stesso indica quindi che lo scopo di questa riunione è dialogare. Anche se nel nome non è specificato, è implicito che l’argomento delle nostre riunioni è il Buddismo del Daishonin. Anzi, l’obiettivo principale delle riunioni è insegnarne i principi alle persone nuove, perché possano imparare a praticarlo correttamente e diventare felici.
Redazione: Perché diciamo che la riunione di discussione è l’attività più importante della Soka Gakkai?
Nakajima: Perché la riunione di discussione è il luogo più adatto per incontrare le persone nuove e far conoscere loro il Buddismo. Non dovremmo mai dimenticare che la cosa più importante nel Buddismo del Daishonin è permettere a tutte le persone di conoscerlo, praticarlo e diventare felici: in una parola, shakubuku. Senza condividere l’obiettivo del Budda di rendere felici tutte le persone, anche il Daimoku che recitiamo non ha valore. La pratica insegnata dal Daishonin è molto semplice, la difficoltà non sta nella forma, ma nel cuore: è molto più difficile desiderare la felicità di ogni persona che recitare Gongyo e Daimoku. Se desidero che un’altra persona sia felice, posso parlarle del Buddismo utilizzando la mia esperienza, posso insegnarle a recitare Daimoku, ma questo è ancora limitato: se desidero che impari a praticare correttamente è necessario che l’accompagni alla riunione perché possa ascoltare il maggior numero possibile di esperienze e punti di vista e che crei legami con più persone diverse. È anche possibile che alla riunione partecipi qualcuno che è in grado di spiegare qualcosa meglio di me, o in un modo più adatto a quella particolare persona: così è più facile che desideri cominciare a praticare. Certo, le riunioni e i corsi che facciamo fra noi che già pratichiamo sono importanti, dobbiamo continuare ad approfondire il Buddismo fino alla fine della vita, ma la riunione di discussione è la nostra attività più importante perché è rivolta alle persone nuove. Il primo obiettivo del Buddismo di Nichiren è la propagazione, non dovremmo mai dimenticarlo. Approfondire la fede significa approfondire il desiderio di far conoscere il Buddismo agli altri.
Redazione: Quindi praticare senza partecipare alla riunione di discussione non è corretto, anche se si frequentano gli altri membri al di fuori delle riunioni?
Nakajima: Questo atteggiamento mostra che non si è capito bene il Buddismo. La riunione di discussione che teniamo il primo e il terzo giovedì di ogni mese è il luogo della propagazione e chiunque pratichi il Buddismo del Daishonin deve sapere subito, fin dall’inizio, che lo shakubuku è una parte fondamentale della pratica insegnata da Nichiren. Se all’inizio insegnamo soltanto Gongyo e Daimoku – la pratica per sé – pensando che dello shakubuku ne possiamo parlare più avanti, stiamo seguendo una nostra opinione personale. Quello che dobbiamo insegnare è il Buddismo di Nichiren, che comprende anche la pratica per gli altri; anzi, lo shakubuku è la cosa più importante. Partecipare alla riunione significa anche condividere un concreto scopo numerico: quest’anno ogni gruppo aveva (e ha ancora, il 2005 non è ancora finito) l’obiettivo di consegnare due nuovi Gohonzon. Al di là del numero che in sé può essere poco importante, si tratta di due persone in più che possono diventare felici grazie alla pratica buddista, questo sì che è importante.
Redazione: Distinguendo tre “categorie” di persone che partecipano alle riunioni, cioè i membri, i responsabili di gruppo che preparano la riunione e quelli di altro livello che vengono invitati, quale consiglio potresti dare a ciascuna categoria?
Nakajima: Il punto fondamentale è lo stesso per tutti: il voto del Daishonin, il desiderio di rendere felici tutte le persone, di aiutare gli altri a cambiare la vita. Far diventare felice una persona non è facile. Il responsabile di gruppo ha l’incarico di seguire tutti i suoi membri e i principianti, aiutarli a capire quanto sia valida questa pratica e quanto sia importante portare altre persone alla riunione. Ma la forza e le capacità del solo responsabile di gruppo sono limitate, per questo esistono i responsabili di settore e capitolo che normalmente dovrebbero avere maggiore esperienza: invitandoli nel suo gruppo e facendo attività insieme a loro può imparare qualcosa lui stesso. Dobbiamo ricordare, però, che nell’organizzazione non è importante la gerarchia, ma i legami umani. In qualche caso estremo, il responsabile di gruppo è geloso dei propri membri e non è contento che questi creino legami con altri responsabili, pensa di dover essere lui il loro unico punto di riferimento, come se i membri del gruppo fossero di sua “proprietà”. Ma le capacità di un singolo, per quanto bravo, sono sempre limitate e aiutare le persone a creare una rete più vasta di legami umani nell’organizzazione significa aiutarle a diventare più felici. Questo era l’intento del secondo presidente Toda quando creò la struttura della Soka Gakkai che utilizziamo ancora oggi: i responsabili di gruppo seguono i membri e li fanno conoscere tutti ai responsabili di settore. Questi, a loro volta, seguono i responsabili di gruppo e, grazie alla loro collaborazione, possono conoscere tutti i membri; inoltre, si preoccupano di far conoscere i responsabili di gruppo a quelli di capitolo, e così via. Il progetto di Toda era basato sul rapporto umano, non sulla gerarchia. In Giappone, quando c’è una riunione per responsabili di capitolo, non vi partecipano solo i responsabili di capitolo, ma anche quelli di centro, territorio, area. Così tutti sanno di cosa si è discusso ed è più facile mantenere legami e collaborare. Spesso partecipano anche alcuni responsabili di settore: questo, per i membri giapponesi, non rappresenta assolutamente un problema, anzi, è un modo per partecipare tutti alla discussione e avere tutti le stesse informazioni. In Italia è diffusa un’altra mentalità, c’è una maggiore attenzione alla gerarchia, ma non è corretto, non è questo lo spirito con cui l’organizzazione è stata pensata da Toda.
Redazione: Come si prepara una riunione?
Nakajima: Dobbiamo considerare due aspetti. La riunione è fatta per le persone, in particolare per gli ospiti. Se le persone non vengono non c’è riunione, quindi il primo aspetto della preparazione è preoccuparsi di far venire le persone. A questo scopo è necessario che i responsabili conoscano i membri, li vadano a trovare. Non conoscerli in modo generico, ma per aiutarli a praticare correttamente, conoscere la loro situazione, incoraggiarli, fare Gongyo e Daimoku insieme e spiegare l’importanza di fare shakubuku. Ricordiamoci sempre che se trascuriamo quest’ultimo punto non stiamo insegnando il modo corretto di praticare il Buddismo del Daishonin. Anche quelli che hanno appena iniziato hanno il diritto di sapere che recitare Gongyo e Daimoku non è sufficiente, il Daishonin lo dice chiaro. Compreso questo punto, fondamentale per la loro felicità, tutti cercheranno di fare shakubuku e accompagnare ospiti alla riunione.
Quando le persone sono alla riunione, abbiamo il compito di incoraggiarle: questo è l’altro aspetto della preparazione. Il primo consiglio per i responsabili di gruppo è sfruttare l’esperienza di quelli di settore e capitolo e invitarli alla riunione. Così io, responsabile di gruppo, posso lasciare a quello di settore o capitolo la conduzione della riunione e concentrare la mia attività dei giorni precedenti sul primo punto, cioè invitare le persone e incoraggiare i membri a portare ospiti. Inoltre assumo il ruolo di anello di congiunzione fra i membri e il responsabile di settore o capitolo e allo stesso tempo posso imparare qualcosa osservando come questi conduce la riunione, cosa dice, come risponde alle domande.
Ma non sempre è possibile invitare un altro responsabile, quindi devo preparare qualcosa da trasmettere ai membri e agli ospiti per incoraggiarli a cominciare a praticare o a praticare meglio. Devo curare la preparazione sia dal punto di vista materiale, sia da quello della mia personale esperienza: devo recitare Daimoku per la loro felicità e sforzarmi nella mia responsabilità. Ma la preparazione non devo farla da solo, devo sempre condividerla con gli altri membri o con i miei corresponsabili cercando di imparare da qualcuno più esperto perché più imparo e miglioro, più posso trasmettere alle altre persone.
La preparazione tecnica di una riunione, però, non dovrebbe occupare molto tempo perché l’attività principale per ogni responsabile dovrebbe essere andare a trovare i membri, creare legami con loro, incoraggiarli e insegnare loro a praticare correttamente come insegna il Daishonin. Quando io vado a trovare un membro, porto sempre con me un’altra persona: innanzitutto per una questione di delicatezza, anche nei confronti dei familiari, poi perché è bene che anche un’altro ascolti quello che viene detto. Posso approfittarne per far conoscere il membro che andiamo a trovare a un responsabile di settore o capitolo, oppure porto con me un altro membro perché possa cominciare a imparare guardando come mi comporto io durante una visita. Chi mi ha accompagnato potrà poi ritornarci da solo. Incaricando una persona di curarne un’altra, dividendo i compiti, non sarò costretto a curare personalmente una decina di persone: l’attività sarà più facile per me e più utile per loro. Questo è un consiglio generale: di norma l’attività non si fa da soli, è sempre meglio condividerla con qualcun altro. Appena si presenterà la necessità di dividere il gruppo o il settore i responsabili saranno già pronti, avranno già un po’ di esperienza e avranno già creato legami umani sia con i membri che con i responsabili di settore. Così saremo sicuri di dare delle responsabilità a chi ha già dimostrato di volersele assumere e non saremo costretti a scegliere i nuovi responsabili seguendo altri criteri più discutibili.
Redazione: Come possiamo coinvolgere nella preparazione le persone che tendono a non partecipare?
Nakajima: Le persone non sono stupide, ogni essere umano cerca di essere felice. Se qualcuno non partecipa all’attività, probabilmente è perché non siamo capaci di trasmettergli che è importante per la sua felicità. Ogni singola persona è importante per kosen-rufu. Quello che possiamo fare è domandarci prima di tutto se, come responsabili, desideriamo davvero la loro felicità e poi cercare di parlare loro dal punto di vista del Buddismo.
Redazione: Come si sceglie l’argomento?
Nakajima: Dato che il primo obiettivo è avere ospiti alla riunione, gli argomenti sono pochi: cos’è questo Buddismo, cosa significano le parole che recitiamo, cos’è il Gohonzon. Chi già conosce queste cose può avere altre domande, per esempio perché si ricevono benefici recitando Daimoku. Con la nostra esperienza sappiamo bene che tipo di argomenti interessano ai partecipanti, quali domande ci verranno rivolte. In teoria rispondere è facile, ma il punto non è tanto rispondere con le parole quanto convincere le persone a praticare il Buddismo. Un buon sistema è imparare a utilizzare al meglio tutte le persone che partecipano alla riunione. Alle domande teoriche può anche rispondere il responsabile, ma spesso più della teoria serve l’esperienza e ogni partecipante può intervenire con la sua testimonianza. Bisogna imparare a usare tutte le capacità e le risorse che convergono nella riunione. Le persone nuove hanno già fatto un primo passo decidendo di partecipare, adesso dipende da noi se trovano un ambiente accogliente, persone simpatiche e gentili, calore umano, argomenti interessanti, esperienze incoraggianti e si sentono invogliati a ritornare e a provare a praticare il Buddismo. Alla luce di questo, per un responsabile la chiave del successo della riunione sta nel conoscere molto bene i suoi membri, aver creato con loro delle relazioni molto strette, e di conseguenza nel saper “utilizzare” le loro esperienze e le loro capacità per il successo della riunione. Quando si risponde a una domanda, prima di passare alla domanda successiva bisogna assicurarsi che l’argomento sia concluso e chi ha fatto la domanda sia soddisfatto della risposta. Non dobbiamo permettere che una risposta sia incompleta o insoddisfacente.
Redazione: Ma il responsabile deve sempre rispondere a tutto?
Nakajima: A volte, rispondere a una domanda complessa può richiedere più tempo di quello a disposizione e si può chiedere alla persona che ha fatto la domanda se gradirebbe approfondire l’argomento la volta successiva. Se nessuno sa rispondere a quella particolare domanda, piuttosto che inventarsi qualche cosa pur di rispondere, la cosa migliore è rispondere semplicemente “non lo so”, aggiungendo che per la riunione successiva ci preoccuperemo di approfondire l’argomento o di invitare qualcuno in grado di rispondere. Nessuno può sapere tutto e non è motivo di vergogna non saper rispondere a qualcosa. L’importante è che alla fine, magari alla riunione successiva, la persona sia soddisfatta.
Redazione: Cosa consigliare a quei responsabili che parlano molto monopolizzando la riunione?
Nakajima: Il ruolo del responsabile non è tenere una lezione sul Buddismo, ma permettere a tutti i partecipanti di contribuire al successo della riunione, “utilizzando”, come ho detto prima, le esperienze e le caratteristiche di ciascuno. Se un responsabile monopolizza la riunione bisogna che qualcuno abbia il coraggio di spiegargli che continuando così le riunioni saranno sempre noiose, le persone non saranno invogliate a partecipare e non inviteranno volentieri i loro amici. Può darsi che quel responsabile non si comporti così per arroganza, ma al contrario per il timore di non dare abbastanza o per la paura di lasciare lunghi e imbarazzanti momenti di vuoto o di silenzio. Può darsi che non si sia mai reso conto di questa sua caratteristica e che sia addirittura grato a chi gliela fa notare.
Redazione: Prima hai detto che teniamo le riunione di discussione al giovedì, ma ci sono riunioni anche in altri giorni della settimana.
Nakajima: Sì, ho anche sentito parlare di “settimana delle riunioni di discussione”: non è corretto. Da qualche decina d’anni, per un accordo a livello nazionale, la riunione di discussione si tiene il giovedì sera. Questo ci permette anche di raccogliere in tempo i dati sulla partecipazione a livello nazionale che una volta riuscivamo ad avere addirittura la sera stessa delle riunioni, mentre oggi è molto più difficile. Per esigenze particolari dei suoi membri, un gruppo può tenere la riunione il giovedì pomeriggio o anche la mattina. Se non c’è un valido motivo per cambiare il giorno della riunione, questa dovrebbe comunque essere tenuta il giovedì che è il giorno da noi tradizionalmente dedicato alla riunione di discussione. In presenza di un valido motivo, di reali esigenze dei membri, può essere per esempio anticipata al mercoledì. Possiamo avere un po’ di elasticità se tutti sono d’accordo e naturalmente se lo spostamento della riunione viene adeguatamente comunicato almeno fino al livello di capitolo, ma rimane il fatto che l’espressione “settimana delle riunioni” non è corretta perché il giorno delle riunioni è sempre stato il giovedì e lo resterà fino a quando non ci accorderemo diversamente a livello nazionale. Un esempio scherzoso che spero possa rendere più chiaro il mio punto di vista: se io dico che l’elefante ha il naso lungo dico una cosa giusta, ma se dico che chi ha il naso lungo è un elefante sbaglio. Per la riunione è lo stesso: se dico che le riunioni sono il giovedì e in caso di necessità possono essere spostate a un altro giorno dico una cosa giusta, ma se dico “settimana delle riunioni” sbaglio. La scelta del giovedì nasce da una decisione che abbiamo preso anni fa tutti insieme; un’altra soluzione potrebbe essere ugualmente corretta, però la decisione di cambiare dovrebbe essere altrettanto condivisa a livello nazionale.
Redazione: Quando in un gruppo sono rimaste soltanto tre o quattro persone e si ritrovano sempre soltanto loro, come possiamo aiutarli a trovare nuovi stimoli?
Nakajima: Se si è arrivati a questo punto è molto difficile. Consiglierei di unirsi a un altro gruppo e ricominciare insieme perché quando si rimane in pochi si perde forza: di solito, la forza di un gruppo dipende anche dal numero e non c’è niente di male nello scegliere una soluzione di questo tipo. Però il Buddismo ci insegna anche che tutto parte dalla decisione di una singola persona, quindi se i membri di quel gruppo decidono che vogliono farcela da soli e se ne assumono la responsabilità, possono farcela. In fondo… basta fare shakubuku. Il solo vero problema sarebbe se le persone non avessero intenzione di fare shakubuku.
Redazione: In molti gruppi c’è l’abitudine di recitare Daimoku a lungo aspettando che ci siano tutti per fare Gongyo e cominciare la riunione.
Nakajima: A volte si ritarda per aspettare i membri del gruppo, a volte – peggio ancora – per aspettare il responsabile che abbiamo invitato. Apparentemente è un’attenzione nei confronti di chi ritarda, che può avere dei buoni motivi per ritardare, ma in questo modo si ignora completamente lo sforzo di chi invece è arrivato puntuale. L’orario deve essere rispettato: se abbiamo deciso di iniziare Gongyo alle otto e un quarto, si inzia Gongyo alle otto e un quarto anche se non ci sono ancora tutti. Se abbiamo detto a tutti che si inzia alle otto e poi iniziamo alle otto e un quarto non va più bene. Può darsi che qualcuno, senza che altri lo sappiano, abbia fatto uno sforzo per riuscire a essere puntuale, perché ignorare il suo impegno? Non abbiamo il diritto di far perdere tempo agli altri.
Redazione: Quanto tempo dedicare alla recitazione?
Nakajima: Di norma Gongyo e Daimoku si fanno a casa. In Giappone, alle riunioni di discussione non si recita. Il motivo principale per cui in Italia lo facciamo dovrebbe essere farlo ascoltare alle persone nuove, quindi dovremmo recitare per un tempo breve, ma in modo preciso e scandito perché l’ospite possa almeno seguire quello che recitiamo e sentirne il ritmo. Direi una decina di minuti tutto compreso: se l’inizio della riunione è alle otto, alle otto e dieci inziamo a parlare. C’è però un altro problema: molte persone non si sentono a loro agio se non recitano Gongyo prima della riunione. È un’idea molto diffusa, ma la trovo ugualmente strana, come se non facendo Gongyo la riunione dovesse per forza andare male. Non è così, questo modo di intendere Gongyo è formale. Questo non significa che non sia importante fare Gongyo regolarmente mattina e sera, ma pensare che se, per fare un esempio, ho preso l’impegno di spiegare qualcosa alla riunione, ma se arrivo tardi e non faccio Gongyo non sarò capace di spiegare bene è un atteggiamento formale.
Redazione: Vuoi dire qualcosa sull’atteggiamento da tenere verso chi offre la propria casa?
Nakajima: Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Bisogna avere un atteggiamento molto rispettoso e pieno di gratitudine per chi offre la sua casa. Per esempio, limitiamoci a occupare la stanza che viene messa a disposizione per la riunione: sarebbe molto scortese entrare, non invitati, nelle altre stanze. In Giappone, di solito, ci si reca nella casa dove si svolgerà la riunione un po’ prima per pulire e preparare, ma di solito si trova tutto già pulito e pronto, e dopo la riunione si sistema tutto come prima, meglio di prima, poi si ringrazia e si va via. Spesso le persone hanno l’abitudine di parcheggiare un po’ lontano per evitare che tante macchine o moto (che sono ancora più rumorose) arrivino più o meno insieme nei pressi della casa creando disturbo. Bisogna avere una grande attenzione per tutti i particolari.
Redazione: Quando si può dire che una riunione è ben riuscita?
Nakajima: È molto difficile dire se una riunione è andata bene, perché i risultati si vedono dopo un po’ di tempo. Credo che sia più corretto valutare i risultati di un periodo, più che di una singola riunione, per capire se la strada che stiamo percorrendo è quella giusta. Una singola riunione è andata bene quando tutti i presenti hanno partecipato attivamente e sono andati via contenti, ma quello che conta è comunque il risultato nel tempo. Per questo motivo penso che un responsabile di capitolo o di centro che si trattenga per un certo periodo a fare attività con uno stesso gruppo o settore sia in grado di apprezzare meglio l’efficacia del suo operato. Credo che in questo tipo di attività, il livello centrale debba essere il capitolo: i responsabili di capitolo sono nella condizione di seguire direttamente i singoli gruppi e sono il collegamento naturale fra i membri e i responsabili di gruppo e settore da una parte e i responsabili di centro, territorio e area dall’altra. Non dobbiamo mai dimenticare che lo scopo della nostra pratica e di ogni nostra attività è la felicità di tutte le persone. Se si dimentica questo, niente di quello che facciamo ha più alcun significato.