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L'anima dei colori - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

7 dicembre 2025 Ore 00:51

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L’anima dei colori

Tutto ciò che vive è colorato. Attraverso una riflessione sul colore, tratto distintivo della vita e della civilità umana, Ikeda giunge a spiegare l’importanza di permeare sempre di più la propria vita con il colore della fede e della Buddità

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Tutto ciò che vive è colorato. Attraverso una riflessione sul colore, tratto distintivo della vita e della civilità umana, Ikeda giunge a spiegare l’importanza di permeare sempre di più la propria vita con il colore della fede e della Buddità

Il colore è un fenomeno misterioso. Quando siamo attorniati da colori caldi, il nostro spirito ne è riscaldato. Tale è il potere esercitato dal colore e il suo effetto sul nostro stato emotivo e fisico, che si sono affermate discipline come la psicologia dei colori e la cromoterapia.

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Intanto l’autunno a Kyoto ci offriva uno splendido banchetto di colori. Le foglie avevano assunto tinte vermiglie, scarlatte e amaranto, sfumature dorate, ocra e giallo limone. Gli alberi rilucevano della vitale, corroborante energia del rosso e del giallo. Sullo sfondo verde scuro dei cedri di Kitayama, gli alberi della zona nord di Kyoto erano al culmine di una vera festa della vita, accesi di uno splendore che pervadeva ogni cosa.
Il colore è vivo. Ogni essere vivente ha dei colori.
I fiori sono colorati, per attrarre uccelli e insetti – si dice – ma sarà l’unico motivo? Anche i frutti sono colorati. È solo per attirare gli animali e gli uccelli che spargono i loro semi, oppure è una manifestazione della luce che è un elemento essenziale della vita?
Un tempo, al Training Center della Soka Gakkai di Okinawa, c’era un acquario con dei pesci di un blu così iridescente che sembravano l’incarnazione stessa delle luccicanti correnti oceaniche. Osservandoli saettare nella vasca, commentai con gli amici: «Tutte le cose viventi aspirano alla bellezza».
L’inizio della civiltà umana segna anche il primo uso consapevole del colore. Uno dei caratteri del cinese antico per indicare la parola “colore”, irodori, rappresenta delle dita sopra una pianta – in altre parole, l’immagine di una persona che raccoglie foglie o bacche che l’uomo usava nell’antichità per creare pigmenti e tingere fibre e tessuti.
Anch’io ho tinto il “tessuto” di kosen-rufu con i colori brillanti della cultura. Prima che le attività culturali entrassero nella Soka Gakkai, l’organizzazione poteva definirsi di un color grigio scuro. Speravo di ravvivarla di brillanti colori. Inizialmente tutti si opponevano alla costituzione dei gruppi di pifferi e tamburi, delle bande musicali e ai festival culturali. Solo il presidente Toda comprese i miei obiettivi e mi esortò a continuare.
Tornando alla mia visita a Kyoto, mi trovavo là nel tardo autunno del 1986 per il Festival dei giovani per la pace e la cultura. Il festival evocava le immagini di uno splendido quadro delle epoche passate. Sul palco spiccavano principesse con sontuosi strascichi e principi coi fastosi costumi dell’aristocrazia; ai lati, bellissimi carri ornati di fiori e dame di corte in abiti scintillanti danzavano graziosamente, agitando ramoscelli di ciliegio in fiore.
Mi ricordarono il famoso ballo del principe Genji, “il principe splendente” nel romanzo che porta il suo nome. Nel capitolo Una gita autunnale, Genji, nel pieno splendore della gioventù, incanta la corte eseguendo la danza Onde dell’oceano blu.
Anticamente, in Oriente, la gente attribuiva colori diversi a ogni stagione: il verde alla primavera, il rosso all’estate, il bianco all’autunno e il nero all’inverno, identificando anche il susseguirsi delle stagioni con le diverse fasi della vita, dalla verde gioventù alla rosseggiante maturità, seguita dagli argentei anni autunnali e dai toni crepuscolari della vecchiaia.
Durante la Danza della gioventù, al festival culturale, ogni attore brillava per l’entusiasmo di dare il meglio di sé, sembrava che ciascuno di essi splendesse di un’aura diversamente colorata che si armonizzava perfettamente con quella degli altri.
Ma questo arcobaleno di luci non si limitava a coloro che stavano sul palco. I membri seduti sulle tribune del pubblico, infatti, eseguivano un numero con dei fogli colorati che rappresentavano “I fiori di ciliegio della nostra promessa”, in cui cinquecento fiori di ciliegio si aprivano simultaneamente, facendo rimanere a bocca aperta per la meraviglia gli altri spettatori. Dietro il radioso successo di questo spettacolo c’erano stati mesi di accurata progettazione, preparazione e prove.
Tutti i costumi del festival erano stati tinti a mano e cuciti dai membri stessi. I cuori di coloro che avevano lavorato così intensamente dietro le scene risplendevano, quel giorno, di colori di ineguagliabile bellezza! È interessante notare che, secondo alcuni, una delle parole giapponesi per “colore”, iro, deriva originariamente da uruwashii, cioè “bello”.
Il colore è bellezza. Il colore è arte, emozione, pensiero. Il colore è poesia. È il canto stesso della vita. Il Buddismo insegna che tutti i colori e le fragranze sono manifestazioni della Via di mezzo. Il Buddismo considera ogni colore e profumo, ogni essere inanimato e vivente – uccelli, animali, uomini e fiori, ogni singolo stelo d’erba e albero – tutti i vari e magnifici fenomeni dell’universo, senza alcuna eccezione, come manifestazioni del vero aspetto della Via di mezzo, della natura di Budda. Ecco perché il Buddismo insegna che anche i fiori e gli alberi otterranno la Buddità.
Anche l’arte delle tinture naturali vegetali, così evoluta in Giappone, è basata su uno spirito di profondo rispetto per la vita della pianta. Con profonda gratitudine per i misteriosi poteri della natura, gli artigiani giapponesi hanno utilizzato liberamente la naturale tavolozza dell’universo: frutta e bacche, foglie, radici, rami, cortecce e fiori, per tingere stoffe e tessuti delle più sottili sfumature.
Si riteneva che un indumento fosse impregnato dell’energia vitale proveniente dalle piante con cui veniva fatto, e dal lavoro e dalla dedizione di coloro che avevano intessuto e cucito gli abiti. Così il vestito che si indossava non avvolgeva solo il corpo ma anche l’anima.
Anche la vita può essere considerata come un processo per colorare la trama e intessere il broccato della nostra missione individuale. La pratica buddista consiste nel tingere il nostro spirito, tingendo il nostro intero essere con l’intenso colore della Buddità.
Se ci si limita a colorare la superficie, essa col tempo si può consumare. E se il colore non viene applicato con cura sicuramente sbiadirà. Ma il tessuto delle nostre vite deve poter superare le prove più severe, fino a quella della morte.
Un’anziana infermiera, che è stata con molti pazienti durante i loro ultimi momenti, ha detto: «Pare che alla fine, davanti agli occhi, passi, come in un film, la vita intera; non il fatto di essere diventato presidente di una compagnia o i successi d’affari o cose del genere, ma il tipo di vita che si è vissuto, chi si è amato e come ci si è comportati, quanto si è stati insensibili o crudeli. C’è un senso di soddisfazione per aver vissuto secondo le proprie convinzioni o di profonda sofferenza per averle tradite. In un lampo ci torna in mente tutto ciò che siamo stati come esseri umani. Questa è la morte».
Forse è per questo che la maggioranza di coloro che hanno vissuto esperienze di pre-morte non danno più grande importanza ai beni materiali o allo status sociale. Infatti, la consapevolezza razionale non è sufficiente, perché non affrontiamo la morte solo con l’intelletto: non ci troviamo di fronte a essa con la mente, ma con il nostro intero essere. Ecco perché è così importante che la nostra vita sia intimamente permeata dal colore profondo della fede.
Nichiren Daishonin scrisse al suo giovane discepolo Nanjo Tokimitsu: «Tuo padre era noto per essere una persona di radiosa integrità e tu hai ereditato da lui quel colore rosso intenso [dell’integrità]. Così come il blu dell’indaco si intensifica a ogni immersione nella tintura, così tu sei di un blu più vero della pianta di indaco stessa» (GZ, 1554-55).
Produrre una sfumatura intensa di rosso è un processo impegnativo. Una poesia tratta dall’antica raccolta giapponese Man’yoshu (Antologia delle diecimila foglie) parla di un “abito intinto otto volte nel rosso”, dove “otto” sta a significare molte volte. Il rosso intenso può essere ottenuto solo immergendo con cura e ripetutamente il tessuto nella vasca di tintura.
Anche le sfumature sempre più intense di blu venivano prodotte con successive immersioni, a partire dal color acquamarina e scurendolo gradualmente fino all’azzurro cielo, lavanda, blu reale, oltremare, blu notte e nero blu. Sono necessari una grande attenzione e un lavoro meticoloso per tingere un tessuto in modo che mantenga il colore e, anzi, risalti di una luce ancora più luminosa e intensa col passare del tempo.
Tale è la forza di un capolavoro. Il colore sembra prender vita. E così anche noi, dobbiamo avere vitalità, vigore e forza fino all’ultimo respiro.
Il giardino nella zona nord di Kyoto che i miei amici mi mostrarono era un mare di colori scintillanti, così intenso che sembrava tingere la nostra visuale. L’espressione giapponese che significa “foglie colorate autunnali”, momiji, deriva da una parola che significa “spremere”. Con l’arrivo dell’inverno, le piante e gli alberi spremono fuori il porpora e l’oro da dentro le loro vite, facendole splendere con l’ultima luce dell’anno.
Gli alberi erano vivi, infuocati; più brillanti dei fiori, con le foglie infiammate dalla luce stessa della vita, parevano esortare gli esseri umani: «Vivete con passione. Vivete come se ardeste, ed emanate la vostra luce più bella fino alla fine. Solo così potrete creare ricordi immutabili della vostra esistenza in questo mondo».
«Vivete al massimo. Siete nati con una missione, quindi vivete con fierezza, senza rimpianti né rimorsi!».
La nostra missione, ebbene sì, la nostra missione è di sommergere completamente il mondo con una coltre di variopinti fiori di felicità.

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