Un padre assente, risentimento nel cuore e buio nell’anima. Il protagonista di questa storia nutre una sofferenza senza fine. Poi incontra il Buddismo e qualcosa lentamente si scioglie
La storia della mia vita è segnata da un pessimo rapporto con mio padre. Ricordo la mia infanzia come un vero inferno, la nostra condizione economica era disastrosa, mio padre era un inetto e irresponsabile che non riusciva a trovare un impiego stabile e accumulava debiti e guai a non finire. Cominciai a provare un odio feroce attribuendogli la responsabilità di tutte le nostre sofferenze.
La rottura si consumò nel 2008, quando la situazione divenne insostenibile e decisi di andare via di casa portando mia madre con me.
Dopo qualche mese espresse il desiderio di parlarmi. Mi chiese di perdonarlo, ma rifiutai: volevo solo che sparisse dalla mia vita e lui scoppiò in un pianto a dirotto. Avevo il buio nell’anima, guardavo mio padre mentre si allontanava da me e si asciugava le lacrime con un fazzolettone ed ero quasi felice nel vederlo così disperato e addolorato. Per mesi non lo avrei rivisto.
Cambiai lavoro, tra i miei nuovi colleghi c’era la persona che mi parlò del Buddismo. Provai subito un’immediata simpatia per questo ragazzo così estroverso e solare. Cominciò a spiegarmi i benefici che aveva ottenuto e infine mi invitò a una riunione buddista.
Al termine del meeting mi suggerì di sperimentare questa pratica e di stabilire un tempo per realizzare i miei obiettivi.
Decisi di provare, progressivamente cominciai a sentire un cambiamento, recitavo Daimoku e studiavo, rimasi folgorato nel leggere la frase di Nichiren «l’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre» (RSND, 1, 1008).
Un giorno, davanti al Gohonzon, mi tornò in mente l’immagine di mio padre che si allontanava da me in lacrime. In un attimo scoppiai a piangere, sentii come se tutto il suo dolore mi stesse investendo all’improvviso. Stavo capendo che anche lui aveva sofferto. Mi chiusi in casa e piansi per un giorno intero.
Qualche giorno dopo gli telefonai, gradualmente riallacciammo i rapporti e andai a trovarlo.
La sua casa era spoglia e semiabbandonata, ma notai una grande parete adorna di quadri bellissimi, e riconobbi la firma sulle tele: la sua! Mi spiegò che per vincere la solitudine e non lasciarsi andare alla disperazione, aveva cominciato a dipingere. Voleva aprire una piccola bottega d’arte. Quelle parole mi folgorarono. Mio padre mi stava regalando una grande lezione di vita: quel vecchino spaurito – ai miei occhi – aveva trovato la forza e il coraggio per continuare a sognare, mentre io avevo perso la voglia di vivere e avevo rinunciato a guardare al futuro.
Avevo avuto la prova della validità del Buddismo: anche nella persona più oscurata si cela del valore, tutti abbiamo in noi il seme della Buddità. Mio padre aveva espresso una bellezza d’animo che non immaginavo: quei dipinti bellissimi manifestavano la sua vera, profonda natura.
Per la prima volta provai ammirazione e invidia per lui. L’idea di somigliargli mi aveva sempre irrigidito e disgustato, ma ora pensavo che non sarebbe stato male.
Dopo questa esperienza decisi di ricevere il Gohonzon. Per anni ho combattuto con l’ambiente esterno, da lì è iniziata una battaglia diversa, una lotta interiore con quel me stesso malvagio, per cercare di diventare una persona migliore, di valore. Sento che ho tanta strada da fare, non sono ancora riuscito a perdonarlo del tutto, così come non sono ancora riuscito a perdonare me stesso per essermi lasciato andare a sentimenti così negativi, però non ho paura, ho il Gohonzon e sento che posso farcela.
Inoltre non dimentico mai di avere un maestro che mi sostiene lungo il mio cammino con i suoi incoraggiamenti; nei momenti più bui e di maggiore sconforto rileggo una sua guida e ho la sensazione di sentire la sua voce amorevole che mi detta queste parole: «Tutti fanno degli errori, non vi è nulla di cui vergognarsi. Dovremmo vergognarci, invece di lasciare che un errore ci paralizzi, o ci scoraggi e ci renda deboli, incapaci di manifestare la nostra forza interiore. Sarebbe una vergogna anche ripetere lo stesso errore. Quando si sbaglia è importante riflettere profondamente su quanto è successo e imparare da quell’errore, e poi decidere con forza di non ripeterlo mai più. In questo modo un errore può diventare un trampolino per una splendida crescita personale. Così un errore può diventare una preziosa esperienza di vita» (NR, 503, 19).