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La volontà che diventa potere - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 17:37

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La volontà che diventa potere

Lorenzo Fain, Cervignano del Friuli (UD)

“Non si può” non mi appartiene più, nulla mi sembra irraggiungibile adesso, anche se sto ancora imparando a scegliere con serenità e a fare le cose insieme agli altri piuttosto che da solo

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“Non si può” non mi appartiene più, nulla mi sembra irraggiungibile adesso, anche se sto ancora imparando a scegliere con serenità e a fare le cose insieme agli altri piuttosto che da solo

Il 15 ottobre scorso ho ricevuto una telefonata dal Centro culturale di Firenze nella quale mi venivano riportati i ringraziamenti da parte del presidente Ikeda per il regalo che gli avevo spedito. Ero molto stanco dopo la notte trascorsa nella casa famiglia in cui lavoro, ma quella telefonata mi ha riempito di gioia. A metà agosto avevo inviato a sensei una copia del mio romanzo appena pubblicato. È la storia di persone comuni: slanci che puntualmente si arenano nella quotidianità, la ricerca di qualcosa che possa dare un senso al vivere, la ferita e la rabbia di chi si sente in credito con la vita e la necessità di ricominciare tutto da capo.
Avevo iniziato a scrivere questo breve romanzo ben tredici anni fa, quando all’età di trent’anni anch’io dovevo ricominciare tutto da capo, in un periodo molto difficile per me e la mia famiglia.
I miei genitori si erano imbarcati in una ristrutturazione che richiedeva risorse molto superiori alle nostre possibilità e per sostenerli avevo messo da parte studi e progetti per il futuro. Contemporaneamente mio fratello si era trovato ad affrontare una lunga e dolorosa sofferenza psichica: la schizofrenia. Non potevo fuggire, dovevo rimboccarmi le maniche perché non c’era alternativa. Ho sostenuto tutti per moltissimo tempo, comprendendo che una sofferenza può offrire anche l’opportunità di migliorare, anche se non credevo fosse veramente possibile per me realizzarmi. Frequentavo l’Azione Cattolica dall’età di quindici anni e avevo una fidanzata, con cui consumavo le mie briciole di felicità nelle rare occasioni in cui potevo uscire con lei per bere qualcosa dopo la messa serale del sabato. Ero un bravo ragazzo, anche se i miei amici dicevano che, a causa di quello che avevo trascorso, ero diventato gelido e impermeabile. La malattia mentale coinvolge tutti i membri di una famiglia, che spesso vive a lungo nell’isolamento, nell’angoscia e nella disperazione. Dopo numerosi ricoveri, avevamo trovato un nuovo equilibrio grazie a un farmaco sperimentale e a un modo nuovo di stare insieme. Migliorata la condizione di mio fratello, la relazione sentimentale su cui avevo investito tutto in quegli anni si concluse con uno strappo e mi ritrovai a leccarmi le ferite imprigionato in una vita che non desideravo, senza un vero reddito né progetti. Non ero mai stato così male. Mio padre sbandierava il suo motto: «Voglio, posso e comando!» ma nella realtà dei fatti, ogni progetto o desiderio si arenava in un desolante “purtroppo non si può”. Vorrei ma non posso. Ero incastrato nell’immagine di bravo ragazzo, sotto cui friggeva la voglia di vivere veramente, ma l’oscurità mi faceva percepire impossibile o inaccessibile ogni cosa desiderassi. Non sapevo ancora di possedere anch’io la Buddità, né conoscevo il modo per farla emergere. Iniziai così a prendermi cura delle mie passioni, la pittura e la scrittura, e di me stesso.
Partecipai a un laboratorio di scrittura creativa, mi iscrissi a una scuola di Counseling rogersiano che aveva sede a Milano, e iniziai le ricerche per il romanzo. Grosse novità per un friulano impellicciato da orso delle nevi. Fu a Milano che conobbi Stefano, un ragazzo sardo che sfidava ogni mese difficoltà incredibili per arrivare a scuola, incoraggiarci con le sue massime buddiste e la sua simpatia contagiosa. Ci parlò di Nam-myoho-renge-kyo e a maggio del 2000 fece sperimentare il Daimoku a tutta la classe. Benché scettico, decisi che un concorso pubblico per animatore sociale sarebbe stata la mia occasione: feci Daimoku, studiai, sfidai la paura e al concorso arrivai terzo. Venni chiamato per un progetto di promozione sociale e la responsabile che conobbi in quell’occasione divenne poi mia moglie e la madre dei miei due splendidi bambini. A dicembre 2001 ricevetti il Gohonzon in un appartamento arredato solo con il mobile per custodirlo, ma tutto per me. Volevo ma… ora potevo! Durante i primi anni di pratica mi sono “allenato” nello staff di protezione e ho fatto molti chilometri per fare attività. I nuovi ritmi imposti da tutti quei benefici ottenuti (figli, casa, lavoro e animali vari) mi sfinivano: ogni volta arrancavo e rideterminavo di trovare un nuovo equilibrio, per vincere sulla frustrazione per quello che non riuscivo a fare e su cui incombeva la “colla” dei miei «Non si può». Il romanzo era sempre lì, rifiutato dagli editori, a volte nemmeno letto. Ho accettato la responsabilità di gruppo, poi di settore e mi sono allenato nella palestra della Soka Gakkai alla ricerca di modi creativi per sostenere gli altri senza dimenticare me stesso: dovevo definire meglio gli orari, evitare gli sprechi di energia, cercare di mettere in pratica le parole del presidente Ikeda: «Se consideriamo le difficoltà che incontriamo come sfortuna o fortuna dipende da quanta determinazione abbiamo, dal nostro atteggiamento o dallo stato vitale» (D. Ikeda, Giorno per giorno, esperia, 27 ottobre).
Ho imparato a combattere il senso di colpa e la lamentela con il Daimoku e le offerte sincere. A poco a poco il “bravo” ragazzo che ero ha lasciato spazio a una persona nuova, capace anche di dire di no. La mia grande occasione di crescita è stata comunque la casa famiglia in cui svolgo il ruolo di educatore. Forse puoi mentire a te stesso, ma non è così semplice farlo con un adolescente! L’adolescenza è un’epoca di grandi slanci e poca concretezza; ci vuole impegno e la capacità di fare scelte affinché i sogni non rimangano solo illusioni: lo stesso valeva per me.
Ci sono stati periodi difficili, ma in tutti questi anni non ho mai abbandonato la fede e ho continuato a impegnarmi sempre di più, anche nello zaimu che è diventato costante come deve essere costante la cura di ogni aspetto che si desideri coltivare. La mia vita si è amplificata e hanno trovato nuovo spazio i miei sogni. Per il romanzo cercavo un editore “vero” che non mi chiedesse contributi alle spese di pubblicazione ma desse dignità al mio lavoro. Non volevo accontentarmi perché avevo dedicato questo sogno a sensei. L’editing è stato fatto dagli amici che mi hanno aiutato a tagliare il superfluo e a lavorare come un artigiano che leviga il suo legno. Con la pratica cambiavo io e con me anche gli occhi con cui rileggevo il manoscritto, che volevo migliorare nei dettagli per offrire al mio maestro qualcosa di cui potesse andare orgoglioso. «I discepoli proteggono il maestro attraverso i risultati che conseguono […], è il momento di praticare per i sogni invece che per i problemi» (NR, 398,14). I miei meravigliosi compagni di fede mi hanno incoraggiato a non sentirmi inadeguato tutte le volte che non riuscivo a portare avanti l’attività come avrei voluto e questo ha rafforzato la mia fede, trasformato la fatica in sfida e la sfida in vittoria e gioia. «Il solo modo di realizzarsi è portare a compimento ciò che è più immediato» (D. Ikeda, Giorno per giorno, esperia, 24 ottobre). Con questo incoraggiamento di Ikeda in mente, ho affrontato lo spettro di una nuova ristrutturazione, questa volta di casa mia, deciso a non far scontare ai miei figli l’esperienza già vissuta. Nonostante il conto perennemente in rosso, tutto è andato per il meglio; ho trovato il denaro necessario e ho migliorato l’efficienza energetica dell’edificio ottenendo più di quello che immaginavo. “Non si può” non mi appartiene più, nulla mi sembra irraggiungibile adesso, anche se sto ancora imparando a scegliere con serenità e a fare le cose insieme agli altri piuttosto che da solo.
Da qualche mese io e mio fratello abbiamo iniziato una psicoterapia e puntiamo a coinvolgere anche tutta la famiglia. L’obiettivo di mio fratello è “vivere veramente”. Con l’avvento della crisi economica il mio desiderio è diventato trovare il modo di contribuire alla creazione di lavoro per altre persone attraverso la mia completa realizzazione. L’anno scorso ho trovato un editore vero, con distributori in quasi tutto il paese e chi si occupa della promozione. Il libro è uscito in agosto e siamo già alla prima ristampa! Volevo che fosse una storia in grado di incoraggiare le altre persone così come spesso avevano fatto i libri con me. Nel mio romanzo si parla della possibilità che ognuno di noi ha di trasformare la propria vita sfidando la “colla” che sembra non volerci mollare dalle nostre tendenze negative. Per me è la storia di una vittoria che ho dedicato a kosen-rufu, al mio mae­stro e alla mia vita, alla mia famiglia e agli amici che in questi anni mi hanno sostenuto.

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