Il concetto della “Via di mezzo” non ha niente a che fare con l’idea di passività o di compromesso. Il filo rosso di questo argomento complesso è il principio delle tre verità: esso spiega che la vera natura dei fenomeni non si trova nella loro esistenza temporanea (ke) o nella non sostanzialità dei fenomeni (ku), ma nella verità della Via di mezzo (chu) che presenta la realtà della vita come un tutto integrato, dove un aspetto compenetra perfettamente l’altro
Il principio
Privilegiare un solo aspetto della vita, che sia quello materiale (ke) o quello spirituale (ku), comporta – per il Buddismo – una visione distorta della realtà che conduce inevitabilmente alla sofferenza. Ke si riferisce all’aspetto fisico della vita; per quanto riguarda gli esseri umani, fondamentalmente indica il corpo. In termini più generali, ke comprende tutte le cose che possono essere percepite dai sensi e tutto ciò che può essere definito e misurato quantitativamente. Ke è “esistenza temporanea” perché ogni esistenza fisica, dalla più piccola particella atomica all’intero universo, percorre uno stesso ciclo di nascita, crescita, declino e morte. Quindi ogni esistenza fisica è un semplice fenomeno transitorio. Ku invece si riferisce agli aspetti “invisibili” o “spirituali” della vita, come per esempio i fiori “nascosti” in un ciliegio e che aspettano solo di apparire o l’ira che “dorme” in noi da qualche parte: non è né esistenza né non esistenza. Comprendere il concetto di ku può risultare difficile perché si tende ad applicarvi i criteri di valutazione che usiamo per la realtà fenomenica di ke. Per fare un esempio, quando dormiamo, sognamo. Sonno e sogni sono infatti esperienze soggettive di ku, cui non possono essere applicate le norme del “concreto” mondo di ke. Ma anche se il loro legame con la vita cosciente è spesso molto tenue, i nostri sogni sono esperienze reali, perché lasciano in noi un segno. In altre parole, ku è reale quanto ke, ma è reale in modo diverso, “non sostanziale”.
L’esistenza umana si esprime in modo armonioso soltanto quando utilizza creativamente sia gli aspetti fisici che quelli spirituali, creatività e armonia che possono essere conquistate seguendo il percorso della Via di mezzo (chudo), che integra e armonizza ke e ku e che corrisponde alla realtà ultima della vita: Nam-myoho-renge-kyo. Se paragonassimo ke e ku a due cavalli attaccati a un carro, chu sarebbe allora il conducente che ci garantisce la corsa sicura e in divenire, contrastando la tendenza del cavallo più forte che vorrebbe tirare il carro dalla sua parte.
L’evoluzione del concetto da Shakyamuni a Nichiren
Negli anni, il concetto della Via di mezzo ha subito un’evoluzione. Uno dei primi insegnamenti di Shakyamuni asseriva che l’Illuminazione non risiede in un’esistenza dedita al piacere o all’austerità spirituale, ma nella via di mezzo fra questi due estremi. E dichiarava che per raggiungerla era necessario percorrere l’ottuplice sentiero, cioè seguire otto regole di comportamento: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta attenzione, retta meditazione.
Questa interpretazione della Via di mezzo è quella più vicina all’idea di “moderazione in ogni cosa”, e spesso la cultura occidentale la identifica con l’ortodossia della dottrina buddista. Occorre però sapere che Shakyamuni insegnò questo concetto per accrescere la consapevolezza delle persone e prepararle al suo insegnamento più profondo, il Sutra del Loto, e che gli studiosi successivi lo svilupparono basandosi sia sul Sutra del Loto sia su altri sutra.
Nagarjuna, filosofo buddista vissuto in India tra il 150 e il 250 d.C., insegnava che la Via di mezzo è ciò che non nasce né muore, e che trascende i concetti di esistenza e di non esistenza. Egli codificò il concetto di ku: secondo Nagarjuna, ku era la vera natura di ogni cosa, che egli chiamò la Via di mezzo.
In seguito, T’ien-t’ai sviluppò gli studi di Nagarjuna, e affermò che la vera natura di ogni cosa non è ku e nemmeno ke, bensì quella Via di mezzo che possiede le caratteristiche di entrambe e che egli definì chu. Approfondendo ulteriormente la teoria di T’ien-t’ai, infine Nichiren Daishonin identificò chu con la grande pura Legge di Nam-myoho-renge-kyo, la verità essenziale che sottende ogni cosa e che corrisponde alla vera natura della vita delle persone comuni. Come egli dichiara: «È una realtà inafferrabile che trascende sia le parole sia i concetti di esistenza e di non esistenza. Non è né esistenza né non esistenza, e tuttavia manifesta le proprietà di entrambe. È la mistica entità della Via di mezzo che è l’unica vera realtà. Myo è il nome dato alla misteriosa natura della vita e ho quello attribuito alle sue manifestazioni» (Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4).
Questa lunga e difficile disquisizione filosofica potrebbe sembrare un tentativo di spaccare il capello in quattro, ma si tratta invece di altro. Infatti Nichiren, arrivando a definire la Via di mezzo come Nam-myoho-renge-kyo, poté spiegare come si possano rivitalizzare e armonizzare gli aspetti fisici e spirituali della vita recitando questa frase, tanto da influenzare positivamente il proprio ambiente o trasformare per esempio la collera incontrollabile o la paura paralizzante.
Ritornando alla metafora dei due cavalli che tirano il carro, Nam-myoho-renge-kyo equivale al conducente, chu; quindi recitare Daimoku ci fornisce l’energia e la saggezza per governare “i nostri cavalli” di ke e ku affinché si dirigano nella giusta direzione. La Via di mezzo buddista aggiunge una terza prospettiva tra due opposti.
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Il Gosho
Conversazione fra un santo e un uomo non illuminato (RSND, 1, 92)
«Si dice che nascere nel mondo degli esseri umani sia difficile come calare un filo dal cielo [e infilarlo nella cruna di un ago], e che poter vedere il Budda e ascoltarne gli insegnamenti sia raro come per una tartaruga con un solo occhio trovare un ceppo galleggiante con una cavità della propria misura. Credendo che il corpo fosse insignificante e la Legge suprema, l’uomo [non illuminato] scalò le montagne e, spinto dalla sua ansia, andò da un tempio all’altro, dove le gambe lo portavano, finché arrivò a una caverna tra le rocce: sullo sfondo c’erano verdi montagne scoscese, il vento tra i pini suonava la melodia di eternità, felicità, vero io e purezza e, davanti, le onde di un torrente di smeraldo si frangevano sulla riva echeggiando la perfezione di queste quattro virtù. I fiori che ricoprivano la profonda valle mostravano i colori del vero aspetto della Via di mezzo, e i boccioli dei susini che iniziavano a schiudersi nel vasto prato spandevano la fragranza dei tremila regni. Era uno spettacolo indescrivibile a parole, al di là del potere d’immaginazione della mente. […] Ah, la mente non può afferrare ciò, e nemmeno le parole possono esprimerlo! L’uomo si aggirò avanti e indietro, domandandosi che cosa aveva davanti, ora fermandosi a pensare, ora riprendendo i suoi passi. Improvvisamente s’imbattè in un santo. Osservando cosa stesse facendo, la sua voce che recitava il Sutra del Loto lo toccò nel profondo».