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La verità vince su tutto - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:53

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La verità vince su tutto

Fabio Proto, Londra (UK)

L’accusa ha fatto di tutto per farmi perdere il controllo, ma ero troppo concentrato per lasciarmi intimorire. Le mie risposte non sono mai state offensive o irrispettose, quindi credo di aver ribaltato l’atmosfera di quell’aula di tribunale, fin da quando ho iniziato a parlare e ho sentito veramente di rappresentare l’umanità della Soka Gakkai

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L’accusa ha fatto di tutto per farmi perdere il controllo, ma ero troppo concentrato per lasciarmi intimorire. Le mie risposte non sono mai state offensive o irrispettose, quindi credo di aver ribaltato l’atmosfera di quell’aula di tribunale, fin da quando ho iniziato a parlare e ho sentito veramente di rappresentare l’umanità della Soka Gakkai

Dopo nove anni di gioiosa attività a Napoli, ho deciso di trasferirmi a Londra per migliorare il mio inglese. Avevo l’obiettivo di comprare una casa entro un anno che avrei messo a disposizione per le attività buddiste. E così ho fatto: dal 2002 abito a Londra, ho il lavoro che desideravo e ho comprato casa, punto di riferimento per le attività di gruppo. Sono conducente notturno di autobus ed è anche grazie alla mia pratica buddista che ho potuto sviluppare le capacità necessarie per un lavoro così difficile e impegnativo.
A maggio 2008 sono stato coinvolto in un grave incidente dove due pedoni sono rimasti feriti. Avevo il semaforo verde e stavo girando a sinistra a un incrocio (siamo a Londra!). Due pedoni hanno attraversato con il rosso benché avessero l’alt, ignorando anche la scritta “guarda a destra” a terra sull’asfalto, all’inizio dell’attraversamento. L’impatto è avvenuto sul lato sinistro dell’autobus che per me era impossibile vedere.
Ho seguito la procedura di emergenza: ambulanza e polizia sono arrivati immediatamente. Io ho completato il mio rapporto alla polizia che mi ha interrogato sulla dinamica dell’incidente. Le due persone hanno riportato ferite non gravi e dopo un’ora mi è stato permesso di riprendere il lavoro, completando, come previsto, il mio turno alle sei del mattino.
Credevo fosse finita lì, ma sei mesi dopo ho ricevuto una citazione in cui mi si invitava a dichiararmi colpevole o non colpevole per il reato di guida imprudente.
Sono rimasto scioccato nel leggere le testimonianze delle due persone che ho urtato, piene di menzogne e cattiverie: hanno scritto che avevano il verde e quindi il diritto di attraversare e che, secondo loro, avevo volutamente provocato l’incidente per spaventarli, rifiutando di ammettere qualunque responsabilità per quello che era successo.
Avrei potuto dichiararmi colpevole e rendere il lavoro di tutti molto più semplice, ricevendo uno sconto sulla pena che di solito consiste nel togliere punti dalla patente, una multa e solo nei casi considerati più gravi, la sospensione della patente, cosa che mi avrebbe impedito di fare il mio lavoro per chissà quanto tempo. Decisi, invece, di non arrendermi e di essere giudicato solo dopo aver raccontato la mia versione; rispedii alla corte del tribunale la mia dichiarazione di non colpevolezza e poco dopo arrivò la risposta: la data del processo era stata fissata per il 29 aprile 2009. Era gennaio e avevo tre mesi per prepararmi con il Daimoku, l’attività per gli altri e nello stesso tempo intraprendere le azioni giuste per concludere questa vicenda nel miglior modo possibile.
Ho chiesto consiglio a un compagno di fede che mi ha incoraggiato a recitare Daimoku per la giustizia, e per essere assolutamente chiaro nel comunicare l’esatta versione degli eventi. Questa era un’altra mia paura, perché l’inglese non è la mia lingua madre. Ho impiegato i mesi successivi per rafforzare fiducia, forza vitale ed essere pronto per il processo, sforzandomi molto nell’attività e nello studio. Non è stato facile, ho anche recitato Daimoku per sentire compassione e rispetto per quelle due persone che mi hanno accusato ingiustamente. Tutto ciò mi ha ricordato che anche il presidente Ikeda fu accusato di cose di cui non era colpevole, e di come anche lui avesse dovuto lottare per avere giustizia. In questo modo, nonostante il mio pessimo umore di quel periodo, mi sono sentito in sintonia con la Soka Gakkai e con i suoi ideali e i valori di base. Ho inoltre mantenuto molto riserbo su questa storia, perché non volevo che i miei amici si preoccupassero, e ho continuato a fare attività con impegno. Il più delle volte mi sentivo estremamente negativo e, al di là dell’accaduto, presto mi sono reso conto che lo scopo principale del mio Daimoku e delle mie attività era quello di combattere contro la mia stessa negatività, più di qualunque altra cosa.
Nel frattempo mi ricordai che la registrazione delle telecamere a circuito chiuso che erano sull’autobus sarebbero state una chiara prova della mia innocenza. Purtroppo gli addetti mi dissero che tutte le registrazioni vengono cancellate dopo circa tre settimane, ed erano già passati sei mesi. Non contento di questa risposta, feci un numero imprecisato di telefonate a vari dipartimenti della mia compagnia, all’avvocato, al sindacato, riferendo i minimi dettagli sull’incidente, spiegando quanto sarebbe stato importante per me recuperare la registrazione. Dopo un bel po’ di telefonate e Daimoku, hanno iniziato a collaborare insieme le persone alle quali mi ero rivolto e, a fine febbraio, mi fu comunicato che quello di cui avevo bisogno era stato trovato e il mio rappresentante sindacale disse che era stato un risultato “miracoloso”.
Il processo è durato quattro ore ed è stato più difficile di quanto avessi immaginato. È stato doloroso sentire i due principali testimoni confermare sotto giuramento tutte le loro menzogne nei miei confronti. Tuttavia la loro testimonianza risultò essere confusa e contraddittoria. Nonostante la mia totale attenzione a quello che ognuno diceva, ho avuto la capacità di restare calmo anziché scattare dalla sedia ed esplodere. Ho lasciato parlare tutti, convinto che il momento della verità sarebbe arrivato presto, anche se ero comunque preoccupato perché sapevo che in questo tipo di incidenti si tende a dare ragione ai pedoni, a prescindere dal colore del semaforo.
Sono stato chiamato per ultimo e la mia testimonianza è stata chiara, piena di dettagli utili, in linea con tutto quello che le telecamere avevano ripreso e, sorprendentemente per me, senza tensione o particolari emozioni. L’accusa ha fatto di tutto per farmi perdere il controllo, ma ero troppo concentrato per lasciarmi intimorire. Le mie risposte non sono mai state offensive o irrispettose, quindi credo di aver ribaltato l’atmosfera di quell’aula di tribunale, fin da quando ho iniziato a parlare e ho sentito veramente di rappresentare l’umanità della Soka Gakkai. Il verdetto dei giudici è stato brevissimo: «Abbiamo esaminato il caso con molta attenzione, e poiché il semaforo era verde per i veicoli, non poteva essere verde per i pedoni, per cui l’udienza è chiusa».
Nel momento in cui il giudice ha confermato la mia innocenza ho iniziato a piangere. È stata la fine di un incubo durato quasi un anno, ma ho avuto anche tanta soddisfazione perché alla fine la verità era venuta a galla. Il resto è stato un festeggiamento: ci sono stati baci e abbracci con l’avvocato e con i due colleghi che hanno voluto essere lì per me e con me tutto il giorno, e ovviamente abbiamo parlato di Buddismo durante il nostro viaggio di ritorno. Rientrato a casa, ho continuato a festeggiare davanti al mio Gohonzon e quella sera sono andato al lavoro, più contento e più grato che mai. Per il futuro sono determinato a mantenere lo spirito della Divisione giovani – ora che sono negli uomini – e del gruppo soka-han per il resto della mia vita e, facendo tesoro di questa bella avventura giudiziaria, sviluppare sempre più la convinzione che niente mi può sconfiggere e abbattere, per quanto sfavorevoli e avverse possano sembrare le circostanze.

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