Daniela Cannas, direttore amministrativo in un istituto professionale. Dopo aver messo in discussione il suo atteggiamento sul lavoro è arrivata a ricoprire un ruolo di rilievo. Un’occasione anche per contribuire affinché la scuola sia un ambiente di lavoro in cui ognuno possa sentirsi a suo agio e svolgere al meglio le proprie mansioni
Perché hai intrapreso questa carriera?
Questo lavoro è stato unicamente un risultato della mia pratica buddista. Se trenta anni fa mi avessero detto che avrei fatto il direttore amministrativo in un istituto superiore non ci avrei creduto. Pur praticando il Buddismo, in passato ero stata sempre un po’ superficiale nelle mie scelte lavorative, considerando ogni lavoro come una parentesi transitoria e un po’ noiosa e senza preoccuparmi di mettere basi per il mio futuro. Ritrovarmi disoccupata a trentasette anni e con molte difficoltà economiche in famiglia mi ha obbligata a riconsiderare l’argomento lavoro con maggior consapevolezza e a mettere un obiettivo chiaro davanti al Gohonzon. Fu l’occasione per determinare di trovare un impiego che mi rendesse indipendente e che non fosse precario, nonostante non fossi più giovanissima e con un diploma di maturità classica in mano.
Ti sei messa un obiettivo preciso sulla figura professionale da perseguire?
Non esattamente. Questa profonda decisione e la lotta intrapresa davanti al Gohonzon hanno fatto sì che arrivassero delle risposte ad alcune azioni che avevo compiuto quindici anni prima, all’inizio della mia pratica buddista: all’epoca avevo fatto domanda al Provveditorato agli Studi per entrare nella graduatoria dei supplenti del personale non docente, però non ero troppo motivata e l’avevo compilata in modo incompleto, trovandomi così con migliaia di persone davanti. Incredibilmente però quella domanda era entrata in una graduatoria permanente ancora valida e perciò avevo ancora una possibilità di ripropormi nelle scuole.
In tutto questo non nascondo che ci sono stati momenti molto duri, giorni in cui non avevo i soldi per fare la spesa, ma dalla recitazione del Daimoku era emersa una nuova consapevolezza, un nuovo ichinen: lo scopo della mia vita non poteva essere solo trovare lavoro, sentivo che dovevo dedicarmi a qualcosa di più grande del mio desiderio personale.
Questo atteggiamento rinnovato ha fatto sì che gli eventi volgessero a mio favore e ho potuto svolgere anche alcune supplenze come custode. Ho accettato il lavoro con allegria, dandomi da fare il più possibile anche nei tempi morti e sempre con molta gratitudine verso gli altri: sapevo che quello era un percorso necessario per trasformare me stessa. Una vera rivoluzione umana rispetto a quando andavo a lavorare piagnucolando perché quello che dovevo fare non mi piaceva.
I miei colleghi mi hanno sostenuta, insegnandomi il lavoro e anche aiutandomi a comprendere il meccanismo per lavorare nelle scuole e conoscere tutti i diritti di cui potevo usufruire come lavoratrice dipendente. L’anno successivo ottenni una supplenza annuale sempre come custode, ma dopo solo cinque giorni fui convocata dal Provveditorato come responsabile amministrativo in una scuola.
E lì è cominciata la carriera che mi ha condotta fino a qui. Nel corso degli anni ho accettato tutte le assegnazioni, senza distinzione di luogo o prestigio, senza badare se era scomodo, vicino o lontano, pur avendo ancora i figli piccoli.
Quindi ti sei trovata investita di un ruolo che non avevi mai ricoperto prima. Non ti ha spaventata l’idea di non saperlo fare?
Ero preoccupata e incerta, avevo una buona esperienza amministrativa nel privato ma nessuna nella scuola, non avevo idea delle scadenze da rispettare e in più dovevo organizzare il lavoro degli altri. Durante ogni Gongyo mattina determinavo di lavorare al meglio. Per organizzare il lavoro degli altri ho anche usato l’esperienza della mia attività buddista instaurando dei buoni dialoghi anche con i colleghi di altri istituti. Mentre io avevo molto da imparare sulla scuola, loro si dovevano confrontare per la prima volta con pratiche amministrative tipiche del settore privato che io conoscevo. Ci siamo trovati quindi tutti insieme, periodicamente, scambiandoci esperienze e opinioni per organizzare al meglio i rispettivi lavori. Un po’ come quando facciamo le nostre riunioni per organizzare le attività.
In generale qual è il cambiamento più importante che sei riuscita ad attuare sul lavoro?
Quello operato nell’istituto in cui mi trovo oggi. Quando sono arrivata qui, nel 2007, ho trovato una situazione complessa a causa di un passato conflittuale fra il personale non docente, il preside e il precedente direttore amministrativo. Il clima di tensione era noto a tutti, tant’è che il personale di segreteria era quasi tutto precario e nessuno chiedeva il trasferimento in questa scuola.
Mi trovavo per la prima volta a lavorare in un istituto professionale: è una scuola complessa, con tanti laboratori e attività e di conseguenza anche con tanto personale non docente, una trentina di persone. Tra le cose che deve fare un direttore amministrativo, c’è il piano delle attività con l’indicazione di quelle che danno diritto a un compenso aggiuntivo. In questa scuola la trattativa era molto complicata e tirava fuori tutte le conflittualità interne; in passato si era protratta per mesi e mesi. Io ho iniziato a smussare queste tensioni, cercando un buon rapporto con ognuno e la situazione negli anni è migliorata.
Tuttavia, di fondo percepivo ancora del malcontento e sentivo una grande pesantezza rispetto all’organizzazione del lavoro. Quindi sono tornata davanti al Gohonzon per capire come trasformare la mia scuola in un ambiente di lavoro in cui ognuno potesse sentirsi a proprio agio e svolgere al meglio le proprie mansioni. In realtà negli anni trascorsi avevo acquistato esperienza, avevo superato il concorso per direttore amministrativo, ero sempre stata stimata dai dirigenti scolastici e dai revisori dei conti, ormai contavo sulle mie capacità personali più che usare il Gohonzon. Recitando mi sono resa conto che la situazione non poteva cambiare se io stessa avevo messo limiti al cambiamento.
In effetti lavorando a lungo in un posto si può fare l’errore di catalogare le persone: quello è affidabile, quell’altro non ha voglia di fare, quello non capisce e così via. Io stavo facendo proprio quell’errore: coltivare un pregiudizio. Perciò il problema ero io, non il personale. Avevo dimenticato che siamo tutti dei Budda e che questa consapevolezza è l’unica che ci consente di poter trasformare il luogo dove siamo.
Ho iniziato a recitare per superare i miei pregiudizi e per vedere i pregi di ogni persona, questo ha portato un grande cambiamento. Proprio alcune persone che non erano mai disponibili, sono diventate quelle che collaborano di più. C’è stato anche un rappresentante sindacale che si è scusato con me perché sentiva di avermi mal giudicata in passato.
La scelta di questa scuola un tempo era sconsigliata, invece ora il personale non docente è tutto di ruolo e qualcuno che è andato via vorrebbe tornare. C’è sicuramente ancora molto da migliorare, ma sono contenta perché invece dei limiti, ora vedo le potenzialità di questo istituto.
In quanto tempo sei riuscita a realizzare un cambiamento così significativo?
Nel momento in cui ho deciso di sentire la Buddità negli altri sono bastati un paio di mesi perché le cose iniziassero a cambiare. È naturale usare il Gohonzon per quello che non sappiamo fare, ma è altrettanto naturale usare le nostre capacità personali quando pensiamo di averle. Io non sono autoritaria, guardo il risultato e lascio autonomia organizzativa, cerco sempre di andare incontro alle esigenze di tutti, sono disponibile e queste mie caratteristiche in genere mi fanno apprezzare dagli altri.
Questo però da solo non basta: usare il Gohonzon per far sì che il posto di lavoro o il luogo in cui ci troviamo diventino la terra del Budda fa la differenza e ci consente di realizzare un terreno fertile dove far fruttare meglio i nostri talenti e quelli degli altri. Quando noi decidiamo, quando ci prendiamo la responsabilità di agire per primi a favore di un cambiamento, allora le cose migliorano, è inevitabile. Se ci basiamo solo su ciò che accade cambia poco o niente, rimaniamo confinati nei nostri limiti, dobbiamo avere il coraggio di abbattere tutti i muri e aprire la nostra mente.
Hai altri sogni per il tuo futuro?
Chissà… forse potrei cambiare lavoro. Ho concluso gli studi in psicologia e ho sempre la mia passione per la musica, non è detto che in futuro non metta a frutto gli altri miei talenti! Ma ho imparato a non far dipendere la mia felicità da quello che sto facendo. In passato ho sempre pensato: «Ora devo sistemare questa situazione e poi potrò pensare alla mia realizzazione», non vivendo mai a pieno il momento presente.
Quello che faccio è un lavoro di responsabilità e di grandi sfide quotidiane, ma cerco di usarlo per imparare, per creare quel valore in più che mi fa sentire migliore. Credo che dovremmo usare tutte le circostanze per creare valore nel momento in cui le viviamo, a partire dalla pratica quotidiana: dato che pratico il Buddismo, tanto vale farlo bene per trasformare la mia vita. Quello che viviamo possiamo decidere di farlo diventare un tesoro o meno, dipende veramente solo da noi, se impariamo a usare le circostanze invece che subirle.