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La riva opposta - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:50

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La riva opposta

Il modo migliore di onorare e ricordare i propri defunti è far rivivere il loro spirito attraverso le nostre sincere e gioiose preghiere. Toda era convinto che lo sviluppo della nostra organizzazione avrebbe accresciuto l’invidia della maggior parte del clero, la cui unica preoccupazione era sfruttare i credenti per arricchirsi

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Il modo migliore di onorare e ricordare i propri defunti è far rivivere il loro spirito attraverso le nostre sincere e gioiose preghiere. Toda era convinto che lo sviluppo della nostra organizzazione avrebbe accresciuto l’invidia della maggior parte del clero, la cui unica preoccupazione era sfruttare i credenti per arricchirsi

Quest’oggi sono presenti molti membri che hanno contribuito in modo straordinario a sostenere e proteggere la Soka Gakkai con ogni mezzo. Come espressione della mia sincera gratitudine per la vostra instancabile dedizione, vorrei parlare delle cerimonie funebri higan e del Picco dell’Aquila. [Il termine higan designa una serie di funzioni tradizionali buddiste per i defunti che si tengono in Giappone per sette giorni in coincidenza con gli equinozi di primavera e autunno, cioè due giorni caratterizzati dall’uguaglianza del giorno e della notte in tutte le parti della terra. Questi periodi hanno inizio tre giorni prima dell’equinozio, il quarto giorno è quello dell’equinozio (quest’anno il 23 settembre), e continuano per i tre giorni successivi, n.d.r.].
Tra breve arriverà in Giappone il periodo delle commemorazioni higan autunnali (a partire dal 20 settembre). Un proverbio giapponese dice: «Il calore estivo e il freddo invernale durano fino all’equinozio (higan)». Quello primaverile (attorno al 21 marzo) segna tradizionalmente la fine del periodo più freddo dell’inverno, mentre quello d’autunno (attorno al 23 settembre) segna la fine del periodo più torrido dell’estate e l’inizio del clima più fresco.
Vista l’estrema sensibilità del popolo giapponese per i multiformi cambiamenti portati dal susseguirsi delle quattro stagioni, gli equinozi sono un preciso segnale che dà il via a un momento di profonda sintonia col ritmo dell’universo. Per noi della Soka Gakkai, l’equinozio di primavera può essere considerato il 3 maggio, giorno della Soka Gakkai, mentre il nostro equinozio d’autunno è il 18 novembre, giorno della fondazione.
Ogni anno, durante il periodo higan, anch’io offro preghiere solenni per tutti i membri defunti che si sono impegnati tanto per kosen-rufu, e per i parenti e antenati di tutti i compagni della Soka Gakkai. Molti membri visitano le tombe dei loro cari, nei vari cimiteri della Soka Gakkai, oasi di eternità che si possono trovare dall’Hokkaido settentrionale fino a Okinawa, nel sud del paese. Mi auguro che faranno di queste visite un’opportunità per ripensare a loro con piacere e far rivivere il loro spirito, mentre godono delle bellezze della natura nell’incantevole clima autunnale.
Dal punto di vista buddista il vero significato di questa tradizione viene rivelato dall’ideogramma cinese con cui si scrive la parola higan. Esso significa “la riva opposta”, cioè quella più lontana di un fiume, in contrapposizione col termine buddista shigan, “questa riva”, che si riferisce al regno delle sofferenze di nascita e morte, il regno dell’illusione proveniente dai desideri terreni. In quest’ottica, perciò, “la riva opposta” rappresenta lo stato di emancipazione dalle sofferenze e illusioni, il nirvana, cioè lo stato illuminato della Buddità. Per estensione, la parola higan ha anche il significato di “raggiungere la riva opposta”, riferendosi al processo o allo sforzo necessario per ottenere l’Illuminazione.
Per raggiungere la “riva opposta”, il Buddismo Mahayana stabilisce sei paramita, o pratiche: l’offerta, l’osservazione dei precetti, la tolleranza, l’assiduità, la meditazione e l’ottenimento della saggezza. La parola sanscrita paramita significa proprio “raggiungere la riva opposta”, o la perfezione, e questo stesso termine nel giapponese viene traslitterato con “haramitsu” che nella traduzione diventa “to higan“.
Il Buddismo di Nichiren Daishonin insegna che abbracciare il Gohonzon corrisponde di per sé all’osservazione della propria mente, cioè all’ottenimento dell’Illuminazione. Perciò, anche solo abbracciando la Legge mistica, il che consiste nel credere in essa con tutto il cuore e recitare Nam-myoho-renge-kyo insegnandolo agli altri, possiamo ottenere gli stessi benefici che otterremmo praticando le sei paramita per innumerevoli eoni, e raggiungere “la riva opposta” della Buddità. Questa è la manifestazione dell’immenso potere del Budda e della Legge nel Buddismo di Nichiren Daishonin, al quale possiamo attingere illimitatamente grazie al potere della nostra fede e della nostra pratica.
Nel suo trattato Il vero Oggetto di culto il Daishonin illustra con chiarezza questo principio, assicurando che quando ci dedichiamo sinceramente alle due vie di pratica e studio per kosen-rufu, mostriamo la prova inconfutabile della nostra rivoluzione umana, mentre le nostre vite acquisiscono naturalmente le virtù essenziali del bodhisattva che derivano dalle sei paramita. In questo senso, se non dimostriamo un miglioramento e una crescita come esseri umani, non stiamo praticando il Buddismo del Daishonin.

Nel Buddismo del Daishonin, ogni giorno è “la riva opposta”

Come ho già detto, nel Buddismo il significato originario di higan è “la riva opposta”, intendendo lo stato di Illuminazione o la pratica che porta a esso; in origine questo termine non aveva niente a che fare con le preghiere per gli antenati e infatti neanche il Daishonin lo usa mai in tal senso nei suoi scritti. Le funzioni funebri higan equinoziali non hanno un’origine buddista ma sono una tradizione giapponese che si è probabilmente diffusa anche attraverso l’influenza delle dottrine della Pura Terra.
Alcune scuole che in Giappone avevano adottato quelle dottrine svilupparono una pratica di meditazione sulla Pura Terra di Perfetta Beatitudine situata a ovest, fissando il sole calante durante gli equinozi, cioè negli unici due giorni dell’anno in cui il sole tramonta esattamente a ovest. Secondo alcuni studiosi, questa pratica, nel tempo, si fuse con tradizioni indigene preesistenti riguardanti il culto degli spiriti e degli antenati e con vari rituali di civiltà agricole che si celebravano negli equinozi, fino ad arrivare ai riti higan per i defunti. In particolare, l’usanza giapponese di far visita alle tombe dei familiari durante gli equinozi si pensa abbia origine nel periodo Edo (1600-1868), quando i monaci buddisti cominciarono a concentrare la loro attività quasi esclusivamente sui riti funebri.
Nel Buddismo del Daishonin “ogni giorno è higan“, cioè la nostra pratica quotidiana di Gongyo e la recitazione del Daimoku rappresenta di per sé un rito higan per i nostri defunti. Il Daishonin insegna che il modo più appropriato per trasmettere benefici e onorare la memoria dei nostri cari è condividere con loro il beneficio e la fortuna che acquisiamo in prima persona attraverso la pratica quotidiana della Legge mistica.
Se manteniamo questa consapevolezza, poi non c’è niente di male nel seguire l’usanza tradizionale in Giappone, cogliendo queste due occasioni dell’equinozio primaverile e autunnale per ricordare ed esprimere la nostra gratitudine ai defunti; ciò concorda con il precetto di adattarsi ai costumi locali, qualora ciò non contrasti con i principi fondamentali del Buddismo (zuiho bini).
Ribadisco, però, che il modo migliore per onorare e ricordare i defunti in accordo con gli insegnamenti del Daishonin consiste nel riunirsi, insieme ai compagni di fede, recitando Gongyo e Daimoku insieme a loro con gioia, approfondendo la promessa di agire per kosen-rufu e facendo nostre le aspirazioni di coloro che non ci sono più.

La tradizione del Buddismo funebre

All’inizio, Shakyamuni aveva insegnato ai monaci a concentrarsi sulla propria pratica religiosa e sul miglioramento spirituale, ma in Giappone, dopo il declino del sistema shoen (proprietà terriere) nel periodo Muromachi (1333-1568) [che aveva visto il governo feudale privare i templi di monopoli e grandi possedimenti agricoli, da cui traevano sostentamento, n.d.r.] e con l’instaurarsi del sistema danka (parrocchiale) durante il periodo Edo (1603-1867) il Buddismo si ridusse al “Buddismo funebre”, come spesso viene chiamato oggi [nel periodo Edo era vietata anche la propagazione religiosa. Nel sistema danka i templi buddisti vennero incorporati nella burocrazia governativa, con il compito di sovraintendere ai danka (proprietà parrocchiali) in cui risiedevano, n.d.r.]. I preti dei templi buddisti persero lo spirito di dedicarsi alla crescita religiosa e spirituale simboleggiata dal voto di rinuncia a ogni desiderio e ambizione mondana, dedicando invece sempre più tempo alla celebrazione di riti funebri come base della loro economia e inventando molte nuove cerimonie per richiedere offerte ai propri parrocchiani. Gli studi storici mostrano chiaramente che tali cerimonie non sono basate su insegnamenti buddisti o pratiche religiose, e di fatto spesso incorporano elementi di altre religioni o credenze popolari, sia giapponesi che straniere.
Ad esempio, il servizio funebre che solitamente in Giappone si celebra il quarantanovesimo giorno dopo la morte di una persona, è riconducibile al Brahmanesimo dell’India antica. Pratiche simili, come quella del servizio funebre del centesimo giorno, del primo e del quarto anniversario della morte di una persona derivano dal Confucianesimo. Importati dalla Cina, questi riti vennero introdotti in Giappone durante il periodo Heian (794-1185). Col passare del tempo, quando la celebrazione dei riti funebri era già diventata uno degli introiti principali dei templi, si aggiunsero molti altri riti al calendario delle cerimonie, come la celebrazione del settimo, tredicesimo, diciassettesimo, venticinquesimo, cinquantesimo e sessantesimo anniversario della morte di una persona [questi servizi funebri cadono rispettivamente nel sesto, dodicesimo, sedicesimo, ventiquattresimo, quarantanovesimo e cinquantanovesimo anniversario della morte, secondo il computo occidentale, n.d.r.].
Durante l’epoca in cui visse il Daishonin, la pratica di celebrare servizi per i defunti nel quarantanovesimo giorno e nei vari anniversari era già diffusa, come si capisce dagli accenni, nei suoi scritti, a offerte che gli venivano inviate per tali occasioni. Il Daishonin loda la devozione dei suoi seguaci nell’onorare i propri defunti e offre lui stesso preghiere in suffragio, ma non incoraggiò mai i suoi fedeli a commissionare questi riti oltre a non aver mai menzionato nei suoi scritti, come già detto, servizi funebri higan per i defunti.
Il Buddismo del Daishonin non è una religione dalle vedute ristrette e opprimenti, legata a vuoti rituali e cerimonie, ma incoraggia, piuttosto, a coltivare una mente vasta e aperta, in armonia col ritmo dell’universo; è una religione che indica la strada giusta per godere di un’esistenza di profondo significato, piena di fortuna e benefici in tutte le stagioni della vita.
Qual è, allora, il senso delle cerimonie higan per noi? Dalla prospettiva dell’insegnamento buddista, il loro vero scopo è quello di ispirare noi e le nostre famiglie, affinché lottiamo con speranza e determinazione ancora maggiore verso “la riva opposta”, cioè lo stato di Buddità.

Il guscio vuoto del Buddismo

Toda affrontò spesso l’argomento higan in relazione al corretto insegnamento del Buddismo. Una volta, ad esempio, disse: «Durante i periodi higan e o-bon, molte persone affluiscono ai templi e il Buddismo sembra prosperare in Giappone. Ma in realtà non è direttamente correlato al Buddismo; è solo un guscio vuoto». [O-bon: detto anche bon e urabon. Una tradizionale celebrazione buddista in onore dei defunti che si tiene ogni anno in Giappone il 15 luglio o il 15 agosto, secondo l’usanza locale, n.d.r.]. Toda insegnava che le attività quotidiane della Gakkai sono la vera strada per “la riva opposta”; sono gli sforzi costanti in nome della fede a condurci sull’opposta riva della felicità. Toda era determinato a guidare tutti i membri verso quella riva e questo spirito è stato ugualmente condiviso dai primi tre presidenti della Gakkai.
Toda criticava aspramente anche il “Buddismo funebre” giapponese con i suoi preti corrotti e avidi di denaro: «L’alto clero buddista tradizionale in Giappone ha perso completamente qualsiasi potere o influenza in termini di insegnamento e pratica, e i suoi preti, una classe improduttiva, vivono in modo meschino lucrando sulle celebrazioni funebri. Ciò rispecchia esattamente le parole di Nichiren Daishonin: “Gli uomini di oggi voltano le spalle a ciò che è bene e seguono ciò che è male” [Assicurare la pace nel paese, SND, 1, 6, n.d.r.]».
«Tutto [nella classe dirigente buddista in Giappone] diverge dall’intento di Shakyamuni, in quanto i preti sottostanno a una rigida ritualità e hanno perso di vista la vera sostanza del Buddismo; inoltre si preoccupano solamente del proprio benessere, invece che della vita delle persone. In più i loro seguaci non si impegnano assolutamente a comprendere o studiare gli insegnamenti della scuola cui appartengono, cosicché quando i templi, che non hanno alcuna relazione con la vita reale delle persone, invitano i fedeli a elargire generosi contributi e donazioni, questi acconsentono ciecamente, motivandoli con la tradizione».
«Spero davvero che il Giappone possa liberarsi velocemente di tali templi e preti e veda l’alba di un Buddismo di cui possa andar fiero di fronte al mondo».
Toda era molto esplicito anche riguardo a certi preti della Nichiren Shoshu che mancavano del benché minimo barlume di fede. Li denunciò con severità, dicendo: «I preti dovrebbero condurre le persone all’Illuminazione, ma guardate come hanno sfruttato i credenti per arricchirsi, usando le offerte per comprarsi oggetti di lusso personali per il proprio piacere e soddisfazione. Questo è il comportamento di individui corrotti, completamente in errore rispetto agli insegnamenti fondamentali del Buddismo. Che gente deplorevole!».
«Col tempo, i preti si sono appropriati dei templi come fossero proprietà privata, impegnati solamente a riempirsi le tasche. Cercano di nascondere la loro vile avidità sotto le loro vesti da prete, e pur avendone l’aspetto, essi sono gli scherani del re Demone del sesto cielo».
Non dimenticherò mai le parole di Toda, che avevano il tono di una direttiva solenne, quando parlò della causa fondamentale della corruzione del clero della Nichiren Shoshu: «Perché i preti cominciarono a degenerare e diventare corrotti? Perché si dimenticarono di dedicarsi all’obiettivo supremo di kosen-rufu. Una volta fatto questo primo passo falso, tutto è andato di conseguenza. Pur declamando il messaggio di “assicurare l’eterna trasmissione della Legge mistica” la maggior parte del clero si preoccupa solo del proprio benessere e di come soddisfare mire e ambizioni personali. In altre parole, si sono ridotti a una condizione animale in cui sono schiavi dei loro desideri».
In un’altra occasione, Toda predisse anche: «Quando le teste rasate, cioè i preti di professione che usano egoisticamente il loro ruolo per un tornaconto economico, proliferano nella società giapponese senza più avere la capacità di guidare le persone all’Illuminazione, è certo che finiranno per allearsi fra loro attaccando ferocemente chiunque cerchi in maniera altruistica di darsi da fare per il benessere del paese, della società e del Buddismo».
«Se la Gakkai cresce fino a diventare una solida organizzazione, il clero diventerà certamente invidioso e la Gakkai sarà bersaglio di un’imprevista persecuzione».
«Se il clero cercherà di impedire in qualche modo la grande battaglia per kosen-rufu, i giovani dovranno sollevarsi e denunciare severamente tali azioni».
Lo scopo dell’appassionato messaggio di Toda era che ci levassimo a contrastare qualsiasi tentativo, proveniente dal clero della Nichiren Shoshu, di abusare della sua autorità religiosa per attaccare i nobili figli del Budda e ostacolare l’avanzata di kosen-rufu.

Il Picco dell’Aquila è un luogo di pratica e studio

Oggi sono qui con noi molte persone che hanno dato un grosso contributo alla costruzione e al miglioramento dei nostri preziosissimi Centri culturali, dove si riuniscono i compagni di fede dediti a kosen-rufu.
Quando il suo seguace Toki Jonin offrì un grande centro per l’istruzione degli altri discepoli del Daishonin, egli, ringraziandolo, gli scrisse: «Quando andrai nella pura terra del Picco dell’Aquila, potrai dire di aver costruito il più importante tempio del Loto di tutta la terra di Jambudvipa [tutto il mondo]» (WND, 2, 969). È con lo stesso spirito che vorrei offrire la mia eterna gratitudine per il vostro splendido impegno.
In molti dei suoi scritti, Nichiren Daishonin fa riferimento alla pura terra del Picco dell’Aquila, il luogo dove si dice che il Budda Shakyamuni abbia esposto il Sutra del Loto, realizzando lo scopo per cui era apparso nel mondo. Ai tempi di Sha­kya­muni, la città di Rajagriha (l’attuale Rajgir) prosperava come capitale di Magadha, il regno più potente dell’antica India. Circondata da cinque montagne, è stata descritta come una roccaforte naturale, e il Picco dell’Aquila (noto anche come Picco dell’Avvoltoio, o monte Gridhrakuta) la cinge a nord-est. Il nome ha origine dalla sua forma, ma viene anche chiamata Sacro Picco dell’Aquila, per il valore che gli viene attribuito.
Fu su questa montagna che il Budda Sha­kyamuni espose la Legge suprema e qui, sotto la sua guida, i discepoli cominciarono a dedicarsi alla pratica buddista: sostenendolo con lealtà e proteggendolo, incisero i suoi insegnamenti nelle loro vite. Era, in pratica, un luogo nel quale i discepoli si esercitavano nella pratica e nello studio insieme al loro maestro, un palcoscenico per predicare e praticare, dove maestro e discepolo univano i loro cuori per il comune scopo di un’ampia propagazione della Legge.
Per mio interesse personale, ho visitato una volta il Picco dell’Aquila. Era il 4 febbraio del 1961, durante il mio primo viaggio in India, esattamente quarantacinque anni fa. Dal momento che quando arrivai si avvicinava già il crepuscolo, non mi fu possibile salire sulla montagna, ma volli fare una passeggiata alle sue pendici. È una montagna relativamente piccola: ci vuole solo una camminata di mezz’ora per arrivare alla vetta e il sentiero è disseminato da varie grotte, all’interno delle quali si dice che vivessero e svolgessero la loro pratica buddista discepoli del Budda come Shariputra e Ananda. Dalla sommità si gode una vista panoramica della città di Rajgir e c’è uno spiazzo abbastanza ampio da far sedere diverse decine di persone. Questo è il luogo dove si dice che Shakyamuni abbia predicato la Legge.
Lì vicino ci sono sorgenti calde naturali, fatto piuttosto inusuale e raro per l’India, e si dice che Shakyamuni e i suoi discepoli si bagnassero in queste acque.
Nel Sutra del Loto è scritto che sul Picco dell’Aquila si radunarono centinaia di migliaia di esseri viventi, ma ho visto che il vero picco non è abbastanza grande per contenerli. Il presidente Toda interpretava ciò affermando che gli esseri viventi riuniti nell’assemblea del Sutra del Loto esistevano dentro la vita di Shakyamuni.
Il vero Picco dell’Aquila è una montagna scoscesa con poca vegetazione. Il Daishonin sostiene che il suo nome derivi dal fatto che ci vivevano le aquile (o gli avvoltoi, secondo le fonti) che si nutrivano dei cadaveri che venivano abbandonati nella foresta situata a sud (vedi GZ, 811).
Secondo il Daishonin è molto significativo che gli eventi della magnifica assemblea descritta nel Sutra del Loto, che racchiude l’intero universo, dovessero aver luogo proprio lì, citando in proposito il fondamentale principio buddista per cui “il mondo di saha è di per sé la Terra della Luce eternamente tranquilla”.
Il mondo di saha infatti è un regno di sopportazione, si riferisce al mondo in cui viviamo, pieno di continue avversità e sofferenze che dobbiamo sopportare nel corso delle nostre vite. La Terra della Luce eternamente tranquilla si riferisce, invece, a una terra pura, nobile, pacifica e incontaminata, dove dimora il Budda.
Quindi il Picco dell’Aquila simboleggia il mondo di saha, pieno delle sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte, mentre la Terra della Luce eternamente tranquilla, rappresentata dall’assemblea del Sutra del Loto, appare proprio sul Picco dell’Aquila, e non in qualche altro posto lontano e separato da esso. In altre parole, il vero Buddismo non è separato dalla realtà, ma si trova dentro di essa, a confronto diretto con la sofferenza umana, e insegna come superarla. Il vero Buddismo trasforma questo mondo di sofferenza e avversità in una terra preziosa piena di speranza. In questo senso trovo che il principio per cui “il mondo di saha è di per sé la Terra della Luce eternamente tranquilla” sia condensato nell’espressione “Sacro Picco dell’Aquila” o “pura terra del Picco dell’Aquila”.

L’essenza del Buddismo è qui e ora

In un suo discorso, il Daishonin afferma: «Che si trovino sulle montagne o nei campi, il luogo dove Nichiren e i suoi seguaci che praticano il Sutra del Loto dimorano è il Picco dell’Aquila […]. Ovunque pratichiamo l’Unico veicolo di Nam-myoho-renge-kyo, quel luogo è il Picco dell’Aquila, la capitale della Luce eternamente tranquilla» (GZ, 811). La pura terra del Picco dell’Aquila non è un qualche regno lontano, separato dal mondo di saha, come la Pura Terra della Perfetta Beatitudine posto a ovest, il luogo dove i seguaci della scuola Nembutsu (Pura Terra) aspirano a rinascere dopo la morte. Per raggiungerla, quindi, non abbiamo bisogno di affidarci al potere esterno o all’aiuto di qualche essere trascendente come Amida, il Budda della Pura Terra della perfetta beatitudine.
Nella Raccolta degli insegnamenti orali, il Daishonin afferma: «Il luogo in cui la persona sostiene e onora il Sutra del Loto è il luogo della pratica in cui la persona si reca. Non è che si lasci il luogo dove ci si trova per andare da qualche altra parte» (OTT, 192). Chi sostiene e rende onore al Sutra del Loto non si allontana dalla realtà per andare da qualche altra parte alla ricerca di felicità e sollievo.
In Risposta a Sairen-bo, scritto durante il duro periodo del suo esilio a Sado, il Daishonin afferma: «Ovunque dimoriamo praticando l’Unico veicolo, quel luogo sarà la capitale della Luce eternamente tranquilla. E, senza dover muovere un passo, i nostri discepoli e sostenitori laici possono vedere il Picco dell’Aquila in India e, giorno e notte, andare e venire dalla Terra della Luce eternamente tranquilla che esiste sin dall’inizio dei tempi» (SND, 9, 163). Vale a dire che il posto dove coloro che seguono la guida del Daishonin e praticano la Legge mistica con impegno pieno di passione verso kosen-rufu è la pura terra di cui ho parlato. L’essenza del Buddismo non si trova in qualche luogo lontano, ma è qui e ora. Il Buddismo non va ricercato altrove.
Bryan Wilson (1926-2004), il sociologo inglese delle religioni famoso in tutto il mondo, con cui ho pubblicato un dialogo, faceva notare che la missione originaria della religione dovrebbe consistere nel perseguire la pratica religiosa nel quotidiano e nello sforzo costante di costruire una società umana migliore [La religione e i valori umani, Esperia, 2005, n.d.r.]. La Soka Gakkai sta avanzando orgogliosamente su questa strada. Credo che tutti voi, persone sagge qui riunite oggi, lo sappiate bene.

(continua)

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