Mi alzavo alle quattro del mattino; la mia vita si svolgeva fra lavoro, autostrada, attività buddista e poca famiglia. nello stesso periodo in cui pensavo di licenziarmi mi proposero di fare la responsabile di gruppo, proposta che decisi di accettare, chiedendomi: «Cosa posso fare per il mio maestro?»
Sono slovacca e vivo in Italia dal 1997. Dopo quattordici anni di matrimonio divorziai e rimasi da sola con le mie due figlie: Zuzi di quattordici anni e Petra di dodici. Nel 1996 insieme a loro visitai l’Italia. I miei amici italiani mi presentarono un signore che mi parlò del Buddismo e mi lasciò un biglietto con su scritto: «Recita Nam-myoho-renge-kyo con il desiderio di essere felice». Cercava una persona che potesse stare con la madre ammalata e mi propose questo lavoro. In Slovacchia lavoravo come capo reparto in ospedale, ma il mio ex marito non ci aiutava economicamente e i soldi non bastavano mai. Recitai questa frase per risolvere la mia situazione e decisi di accettare il lavoro in Italia lasciando le mie figlie alle cure di mia sorella. Il mio amico ogni giorno mi spiegava qualcosa sul Buddismo e così imparai a fare Gongyo e Daimoku e da subito mi sentii più coraggiosa e decisa. Soffrivo molto per la loro lontananza e Petra, che non vedevo da due anni, la sentivo al telefono sempre molto triste. Recitando pensavo alle parole di Nichiren: «Non accadrà mai che la preghiera di un praticante del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (Sulle preghiere, RSND, 1, 306). Sentii una grande forza dentro di me e decisi di ricevere il Gohonzon: era il 2000. Lavoravo in fabbrica e potei affittare in poco tempo una casa per accogliere Zuzi e Petra che vennero a vivere con me. Desideravo tanto tornare a svolgere la mia professione di infermiera, ma occorreva il riconoscimento del mio titolo professionale in Italia. Un giorno, dopo tre anni di peregrinaggi per uffici e ambasciate, venni a sapere dal Ministero della salute che tutti i miei certificati erano stati smarriti. Dopo essere riuscita a parlare con il funzionario responsabile, tornai a Fabriano molto serena e alcuni giorni più tardi il Ministero mi comunicò che il mio titolo era stato riconosciuto! Potevo fare l’infermiera anche in Italia, avevo vinto!
Nel 2001 ricevette il Gohonzon anche Petra, e io sostenni l’esame per l’iscrizione all’Albo professionale delle infermiere: promossa! Trovai lavoro in una clinica privata molto lontana da casa. Mi alzavo alle quattro del mattino; la mia vita si svolgeva fra lavoro, autostrada, attività buddista e poca famiglia. Nello stesso periodo in cui pensavo di licenziarmi mi proposero di fare la responsabile di gruppo, proposta che decisi di accettare, chiedendomi: «Cosa posso fare per il mio maestro?». Presentai le dimissioni e presi servizio in una nuova clinica ma anche lì le condizioni lavorative non erano facili, inoltre non mi rinnovarono il contratto di lavoro. Recitavo tantissimo Daimoku per trasformare la mia sofferenza. Le proposte di lavoro che ricevevo prevedevano sempre distanze di almeno cento chilometri. Come potevo lasciare la casa e la città dove avevo portato il Gohonzon? L’unico ospedale in città era quello pubblico, dove non avevo nessuna possibilità di essere assunta non essendo cittadina italiana. Intanto rafforzavo la mia fede leggendo i Gosho. Recitando sentii un grande senso di gratitudine anche verso me stessa e pensai di meritarmi delle condizioni lavorative dignitose. Mentre stavo preparando la riunione di discussione mi telefonò il direttore dell’agenzia infermieristica per comunicarmi che ero stata assunta, come infermiera giornaliera, all’ospedale pubblico di Fabriano! Non potevo crederci… Ho iniziato a lavorare il giorno successivo con regolare assunzione a tempo determinato.
Tornando alle mie figlie, Zuzi soffriva di un disturbo dell’alimentazione per il quale lo psichiatra aveva proposto una cura intensiva di sei anni. Io e Petra recitavamo Daimoku per proteggerla, con il desiderio di trasmetterle lo spirito del Buddismo. Non ci siamo mai arrese. Finalmente Zuzi iniziò a praticare. Ha avuto bisogno di essere seguita con tanta attenzione ma in un anno è riuscita a eliminare tutti gli psicofarmaci.
Nel 2004 Zuzi ricevette il Gohonzon e, lei che era sempre stata instabile nelle relazioni sentimentali, si fidanzò con un ragazzo che presto divenne membro dell’Istituto buddista. Insieme a lui trasformò il dolore di non poter avere figli, a causa di una amenorrea causata da disturbi dell’alimentazione, e dopo un po’ di tempo rimase incinta.
Petra, che già lavorava in fabbrica sostenendo la famiglia, poté partecipare al concorso per infermiera professionale dopo aver ottenuto il riconoscimento del titolo di infermiera, venne assunta in una sola settimana poiché, nel frattempo, la Slovacchia era entrata a far parte della Comunità europea.
Nel 2006, potei riabbracciare i miei fratelli e le mie sorelle in Slovacchia. Era il momento di raccontare l’esperienza buddista vissuta in Italia. Mi ascoltarono con le lacrime agli occhi, ma riguardo alla pratica restarono scettici. Rientrai in Italia con il desiderio che germogliassero, rapidamente, i semi piantati nel mio paese.
In Slovacchia non c’era alcun praticante buddista; recitavo Daimoku per la felicità della gente del mio paese e per organizzare un incontro con Yuko, la responsabile della Repubblica Ceca. Con tanti sacrifici per accumulare giorni di ferie, io e Petra riuscimmo a partire. L’incontro con Yuko fu emozionante; in quell’occasione seppi che gli unici membri slovacchi eravamo io, le mie figlie, una ragazza a Roma, una in Spagna e una a Londra. Una volta tornate in Italia, insieme alla ragazza di Roma iniziammo a recitare, il primo giorno di ogni mese, due ore di Daimoku, col desiderio comune di realizzare kosen-rufu in Slovacchia. Non riuscimmo però a contattare la concittadina che viveva in Spagna. Decisi che nel 2008 avrei regalato a sensei, per il suo compleanno, lo sviluppo di kosen-rufu in Slovacchia con la consegna di un Gohonzon. Il primo beneficio è stato che mia sorella ha iniziato a praticare.
Qualche giorno dopo arrivò nel mio gruppo un ragazzo romano. Ci raccontò la sua esperienza in Spagna, dove viveva presso suo fratello sposato con una ragazza slovacca, Lenka, la nostra connazionale che non riuscivo a contattare! Con Yuko decidemmo di organizzare per febbraio una riunione con partecipanti della Repubblica Ceca e Slovacca. Mia sorella stava praticando da sei mesi e desiderava ricevere il Gohonzon. Trascorsi due mesi a preparare le traduzioni dell’argomento della riunione di discussione. Organizzai per telefono i trasporti. Arrivata in Slovacchia con Zuzi e il piccolo Alex, lavorai notte e giorno per la buona riuscita della riunione. Una settimana prima Yuko mi aveva comunicato che, probabilmente, sarebbe stata rinviata la consegna del Gohonzon. Desideravamo tantissimo questo momento, perciò non mi feci prendere dallo sconforto e continuai a organizzare tutto ciò che era necessario per lo zadankai. Tutto era pronto, compreso il butsudan spedito dall’Italia.
Il giorno della riunione arrivarono puntualmente venti persone, molte delle quali avevano percorso più di trecento chilometri. Dopo aver fatto un Gongyo risonante e due ore di Daimoku per il successo dell’evento, fiduciosi aspettammo il responsabile dei Paesi dell’est che sarebbe arrivato da Vienna e avrebbe dovuto consegnare il Gohonzon a mia sorella Zuzana: e così è stato, ora anche lei è un membro. La bellissima ed emozionante cerimonia di consegna del primo Gohonzon è stata comunicata anche al presidente Ikeda.
Il 4 novembre scorso ho firmato il contratto di lavoro a tempo indeterminato presso l’ospedale di Fabriano e sono felice perché è con la prova concreta che facciamo crescere i praticanti.
Questa era la risposta alla domanda che spesso mi sono fatta in questi anni: «Che cosa posso fare per il mio maestro?».