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La ragazza del muretto - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:30

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La ragazza del muretto

Laura Marra, Prato

«Credo sinceramente che quando si fa qualcosa per gli altri, desiderando nel proprio cuore che siano felici, si costruisca anche la nostra felicità, mattoncino dopo mattoncino, anche se sul momento ci può capitare di soffrire da cani»

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«Credo sinceramente che quando si fa qualcosa per gli altri, desiderando nel proprio cuore che siano felici, si costruisca anche la nostra felicità, mattoncino dopo mattoncino, anche se sul momento ci può capitare di soffrire da cani»

Prima di incontrare il Buddismo soffrivo di crisi d’ansia e attacchi di panico. Avevo paura di tutto, ma specialmente della morte. All’origine di tutto c’erano i quotidiani scontri con mio padre, del quale dovevo affrontare continuamente i violenti attacchi e che odiavo per come trattava me e mia madre. Nascondevo comunque abbastanza bene questa enorme sofferenza dietro un atteggiamento superficiale: non volevo andare a lavorare e dormivo fino a mezzogiorno aspettando il ritorno di mia madre dal lavoro. Non dimenticherò mai l’espressione del suo viso, segnato dal dolore e dalla stanchezza, tutte le volte che rientrava a casa dopo una faticosa giornata. Nel 1988 mia cugina Monica mi parlò del Buddismo; quel pomeriggio stavo male più del solito e lei mi disse solo: «Recita Nam-myoho-renge-kyo, vedrai che diventerai una persona felice». Presi la cosa molto seriamente e iniziai subito a recitare Daimoku con la speranza di diventare almeno serena – felice mi sembrava una parola troppo grande, non ci credevo! – e i primi tempi che recitavo Daimoku ero attanagliata da ogni tipo di paura. Ma in mezzo a tutta quella sofferenza riuscivo a intravedere uno sprazzo di luce. Mia madre, che ignorava cosa stessi facendo, notò il mio cambiamento: giravo per la casa canticchiando anche se… non c’era poi molto da stare allegri! Recitavo molto Daimoku anche perché, non lavorando, avevo tanto tempo a disposizione. Mi chiamavano “la ragazza del muretto”: infatti, dove c’era un muro bianco, ero lì che pregavo con tutta me stessa. Nel 1990 ho ricevuto il Gohonzon e poco dopo ho conosciuto Marco. Io, che fino ad allora avevo vissuto sempre situazioni sentimentali del tipo “chiodo schiaccia chiodo”, senza voler rimanere mai troppo coinvolta, mi rendevo conto che per la prima volta nella mia vita ero realmente innamorata. Determinai che l’avrei sposato a tutti i costi. Iniziai a recitare quattro ore di Daimoku al giorno per realizzare questo scopo e mi tuffai letteralmente in ogni tipo di attività buddista: accettai la responsabilità di un gruppo, partecipavo all’attività dello staff edizioni, svolgevo anche l’attività di byakuren. In quel periodo avevo iniziato a lavorare in un pub di cui lui era assiduo cliente, così avevo la possibilità di vederlo quasi tutte le sere e questo era il vero motivo per il quale sopportavo turni di lavoro massacranti. Non perdevo l’occasione di parlare di Buddismo a tutte le persone che passavano nel locale e che avevo occasione di conoscere. Credo sinceramente che quando si fa qualcosa per gli altri, desiderando nel proprio cuore che siano felici, si costruisca anche la nostra felicità, mattoncino dopo mattoncino, anche se sul momento ci può capitare di soffrire da cani. Per anni ho lottato contro le mie tendenze e contro i miei dubbi che diventavano ogni giorno sempre più grandi. Marco era diventato il mio oggetto di culto, non riuscivo a separarmi da lui e sopportavo in silenzio i suoi continui tradimenti; la mia vita era diventata così piccola e chiusa che mi ritrovavo a recitare davanti al Gohonzon per un unico obiettivo, quello di tenerlo legato a me. Nel ’92, in occasione della visita del presidente Ikeda in Italia, ho avuto l’immensa fortuna di cantare per lui e in quell’occasione ho deciso nel mio cuore di diventare davvero una persona felice.
Nel 1996 partecipai a un corso nazionale a Chianciano per gli staff byakuren e soka-han. Mi sentivo profondamente a disagio, non avevo più voglia di combattere né di vivere (ero arrivata a pesare quaranta chili) e il solo fatto di trovarmi in mezzo a tutte quelle persone allegre e vocianti mi dava fastidio, volevo solo correre a casa dal mio Marco… Ma quando al corso venne il direttore generale Kaneda per spiegare il Gosho I desideri terreni sono Illuminazione compresi improvvisamente perché dentro di me c’era tutta quella sofferenza. Era come se mi risvegliassi improvvisamente, in tutto quel periodo avevo cercato disperatamente la felicità solo al di fuori di me, dando per scontato che dipendesse da un uomo. Che illusione! Chiesi scusa alla mia vita con tutta la forza che avevo e la gioia che sentii esplodermi dentro fu tale da cancellare tutti gli anni di sofferenza. Piangevo, ma erano lacrime di felicità, e lasciai il corso con la determinazione di recuperare il rapporto con mio padre, di trovare un lavoro giusto per me e costruire una famiglia felice per kosen-rufu. Soprattutto sentivo che me lo meritavo! Quella sera stessa ho recitato davanti al mio Gohonzon, per la prima volta, per la felicità di mio padre e per unire il mio cuore al suo. Ogni giorno facevo piccole azioni per avvicinarmi a lui e devo dire che è stato più facile del previsto. Piano piano sparirono i rancori e nel 1998, quando è morto, aveva ormai compreso quanto lo amassi sinceramente. Riuscii persino con naturalezza a fargli vedere il Gohonzon e ascoltare il suono del Daimoku, che… gli piacque!
Nel frattempo il mio rapporto con Marco si andava sempre più deteriorando e, verso la fine del 1996 conobbi Giuseppe, anche lui buddista. Con lui mi sono sentita subito a mio agio, non avevo bisogno di fingere per stare bene insieme, per apparire perfetta ai suoi occhi; piano piano la nostra tenera amicizia si è trasformata in un sentimento più profondo. Nel 1997 eravamo insieme in vacanza in Val d’Aosta e di ritorno da un’escursione iniziai a sentirmi male. Avevo dei dolori al basso ventre: mentre recitavo, Giuseppe chiamò il medico dell’hotel che mi diagnosticò una minaccia d’aborto e mi preparò un foglio di ricovero immediato ma scelsi di non andare all’ospedale perché con un calmante il dolore era scomparso e preferivo eventualmente ricoverarmi vicino a casa. Ero confusa: non avevo assolutamente idea di essere incinta! Recitai Daimoku tutta la notte e il mattino seguente tornammo a Prato dove mi sentii ripetutamente male e infine fui ricoverata d’urgenza. Mi sottoposero a un’ecografia e mi dissero che si trattava di una gravidanza extra-uterina; avrebbero dovuto asportarmi la tuba ed ero stata molto fortunata a essere ancora viva. La paura di non farcela mi assalì nuovamente, non volevo operarmi. Soffrivo terribilmente per quel figlio che non era rimasto con me e all’idea che forse non avrei più potuto avere figli. Anche in quell’occasione continuai a recitare Daimoku e fu come se mi risvegliassi da un brutto sogno. Incominciai a guardarmi attorno e ovunque vedevo tanto dolore. Non ero sola. Non ho più pensato a me e alla mia sofferenza ma ho indirizzato il mio Daimoku verso la sofferenza degli altri e ho cominciato a parlare alle persone attorno a me del grande potere del Gohonzon e di Nam-myoho-renge-kyo e lentamente ho risentito dentro di me quella gioia che già conoscevo. Sentivo di aver trasformato realmente il veleno in medicina e non ero più preoccupata per l’operazione. Il mattino seguente il dottore, entrando in camera, mi disse che non c’era più bisogno di alcun intervento chirurgico perché non ero più in pericolo di vita.
Nel 1998, dopo la morte di mio padre, Giuseppe è venuto a vivere con me. Io ho iniziato a lavorare a tempo indeterminato in una struttura che si occupa del sostegno e della riabilitazione dei bambini autistici senza mai smettere di desiderare un lavoro che mi tenesse occupata solo sei ore al giorno – in modo da poter avere più tempo da dedicare all’attività e alla famiglia – e che mi permettesse di guadagnare di più per poter acquistare la casa nella quale vivevo. Nel frattempo mi era stata affidata la responsabilità di un settore. In occasione dell’attività per la mostra sui diritti umani a Prato, io e Giuseppe decidemmo di realizzare un altro scopo: sposarci. Nel frattempo avevo anche fatto domanda di assunzione presso il tribunale di Prato. Il 1° settembre 2001 io e Giuseppe ci siamo sposati e la mattina stessa sono andata, vestita da sposa, al Palazzo di Grazia e Giustizia per firmare il mio contratto di lavoro: sono impiegata presso la Procura della Repubblica di Prato.
Ricordate il mio sogno di comprare la casa nella quale vivo da sempre? Lo scorso novembre, partecipando alle attività per la commemorazione del settantaduesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai, ho deciso ancora una volta di provare a realizzare un obiettivo apparentemente impossibile: per farla breve, le mie tre sorelle e mio fratello erano decisi a vendere la casa a estranei per ricavarci più di quello che avrei potuto pagare io e invece sono riuscita a trovare un accordo con loro e ad acquistarla al prezzo che volevo!
Adesso io e Giuseppe abbiamo un nuovo obiettivo: desideriamo un figlio che prosegua il nostro cammino per la pace nel mondo. E ne ho anche un altro, più “interiore” ma altrettanto ambizioso: riuscire a sviluppare la capacità di infondere speranza e gioia a ogni persona che incontrerò.

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