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La pratica quotidiana - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 07:01

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La pratica quotidiana

Questo Focus conteiene alcuni chiarimenti sulla nostra pratica quotidiana sia per chi sta iniziando ora, sia per rinfrescare in chi pratica da più tempo la consapevolezza dell’essenza umanistica del Buddismo di Nichiren Daishonin

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Praticare il Buddismo per i membri della SGI vuol dire essenzialmente fare la propria rivoluzione umana. Grazie alle persone che abbiamo intorno, grazie alle circostanze che incontriamo e alle condizioni sociali in cui siamo immersi, possiamo vedere gli aspetti di noi da migliorare.
Nichiren Daishonin ha scritto che, per risolvere qualsiasi sofferenza, bisogna usare la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra e ha anche spiegato in cosa consiste questa strategia: recitare Daimoku al Gohonzon per la felicità nostra e degli altri, trasmetterlo a quante più persone possibile e agire basandosi su questo tipo di preghiera, per creare valore.
È fondamentale come ci prendiamo cura del Gohonzon, l’unica causa esterna che ci permette di manifestare la Buddità. Perciò il posto della casa che scegliamo per custodirlo, la cura per tenere questo luogo pulito e dignitoso, non sono formalità rivolte al culto di una divinità esterna bensì azioni rivolte all’affermazione del rispetto della nostra vita.
Ogni cosa nella nostra pratica è rivolta a permetterci e a permettere agli altri di poter pregare al meglio e con la massima concentrazione. A tal proposito i cellulari, così utili a rimanere in contatto, non sono “buoni amici” mentre si recita Daimoku. Non sarebbe meglio spegnerli o abbassare la suoneria fino al termine della recitazione? E quando entriamo in una stanza dove le persone stanno recitando, non sarebbe meglio salutare quando si è finito, senza interromperle o disturbare le persone intorno?

Senza formalità

Fare Gongyo e Daimoku è una cerimonia solenne, attraverso cui dal profondo della vita stiamo facendo emergere la Buddità. A volte capita anche di vedere la persona che guida Daimoku alzare il batacchio della campana in aria prima di suonarla per indicare la fine della recitazione, ma non è necessario fare questo gesto che risulta formale e privo di significato.
L’essenza del Buddismo di Nichiren Daishonin non è formalità. Il Daimoku è la base di tutto e ciò che conta è il nostro cuore, la nostra fede.
La chiave è l’atteggiamento con cui preghiamo, come sensei afferma: «È importante pregare con cuore aperto e sincero, così come siamo. Tutti affrontiamo momenti di preoccupazione, angoscia o tristezza nella vita; in quei momenti possiamo andare davanti al Gohonzon con la nostra sofferenza e pregare con tutto il cuore, come un bambino che cerca il caldo abbraccio della mamma. Il presidente Toda diceva spesso che quando preghiamo per i nostri problemi non c’è bisogno di fare tante cerimonie, bisogna solo pregare sinceramente al Gohonzon per guardare cosa abbiamo davvero nel cuore. Quando siamo di fronte a una sfida decisiva possiamo pregare con forza, coraggio e con la ferma determinazione di vincere. Quando lottiamo contro i tre ostacoli e i quattro demoni possiamo pregare con un cuore di leone, fiduciosi di sconfiggere quelle funzioni negative. Quando siamo di fronte all’opportunità di trasformare il nostro karma possiamo infondere nel nostro Daimoku l’incrollabile decisione di non essere sconfitti. Quando siamo felici per qualcosa possiamo pregare con profonda soddisfazione e gratitudine. Ciò che conta è continuare a recitare Nam-myoho-renge-kyo fino in fondo in ogni circostanza».

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Pregare, ma con quale atteggiamento?

Prendiamoci un attimo e riflettiamo sul modo in cui preghiamo. Qual è il nostro atteggiamento, la postura, il tono e il ritmo della voce? Considerando le circostanze particolari della vita di ognuno, è importante pregare davanti al Gohonzon come se fossimo in presenza del Budda. Con l’obiettivo di fare una pratica quotidiana gioiosa e appagante, presentiamo alcune indicazioni concrete volte a rinnovare il nostro atteggiamento nella preghiera

La voce

«La voce compie il lavoro del Budda» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 109, 41)

Quando parliamo, cantiamo o recitiamo, la voce riflette lo stato del nostro corpo e della nostra mente, oltre che il potere inerente alla nostra vita. Nichiren Daishonin lo spiega con queste parole: «Il pensiero rappresenta l’aspetto spirituale, la voce l’aspetto fisico; lo spirituale si manifesta nel fisico. Ascoltando la voce si può conoscere la mente di una persona perché l’aspetto fisico rivela quello spirituale» (RSND, 1, 75). Riguardo alla voce, il presidente Ikeda afferma: «Quando recitiamo Daimoku con fede, la nostra voce è la voce del Budda che è sempre qui a propagare la grande Legge e, attraverso la prova tangibile dei benefici, insegna il grande potere della Legge mistica» (Hoben e Juryo, esperia, pag. 232). Recitare Daimoku con voce chiara, risonante e sicura ci condurrà alla realizzazione e alla vittoria.

L’unità

«Il ruggito del leone (shishi ku) è la predicazione del Budda. […] Il primo shi della parola shishi, o leone, [che significa “maestro”] è la Legge meravigliosa che è trasmessa dal maestro. Il secondo shi [che significa “figlio”] è la Legge meravigliosa ricevuta dai discepoli. Il “ruggito” è il suono del maestro e dei discepoli che recitano all’unisono» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 116, 55)

Quando pratichiamo armoniosamente con gli altri, il nostro stato d’animo e persino il nostro modo di agire possono migliorare. A tale riguardo, il presidente Ikeda racconta: «Un giorno, iniziai a guidare Daimoku con un gruppo di membri e, durante il sansho iniziale [tre Nam-myoho-renge-kyo, n.d.r.], mi accorsi che le loro voci non erano all’unisono. Ciò significava che il gruppo non era unito nello spirito mentre si preparava ad affrontare nuove sfide. Senza l’unità, non sarebbero stati in grado né di manifestare tutto il loro potenziale né di raggiungere alcun risultato concreto. […] La nostra voce riflette la nostra determinazione e può sormontare ogni ostacolo e limite» (World Tribune, 9 marzo 2012, pag. 3).

Il ritmo

«Sto pregando con tanta convinzione come se dovessi accendere il fuoco con legna bagnata o estrarre l’acqua dal terreno riarso» (RSND, 1, 395)

La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo ci porta ad agire con forza ed energia, consentendoci di progredire nella nostra vita. Spiega il presidente Ikeda: «L’atteggiamento di una persona nel fare Gongyo rivela inoltre il suo modo di vivere. Una persona che fa un Gongyo debole mancherà di energia vitale e scivolerà gradualmente in uno stile di vita fragile. Se fate Gongyo perché vi sentite obbligati o come se fosse una routine, sarà molto difficile che proviate gioia grazie alla vostra fede. Quindi vi prego di incoraggiarvi gli uni con gli altri a fare sempre un Gongyo ritmico e rinfrescante, come un bianco cavallo alato lanciato al galoppo nel cielo. Insieme facciamo un Gongyo vigoroso giorno dopo giorno, un Gongyo che sia in grado di smuovere l’universo e sia colmo delle nostre sincere preghiere» (RU, 12, 107).

La postura

«Seduti con la schiena eretta meditando sul vero aspetto» (SDL, 466)

Come gli insegnanti di canto ben sanno, la postura è fondamentale per la qualità della voce. Una postura corretta, in piedi o seduti, può influenzare positivamente il nostro modo di pensare e aumentare le possibilità di vittoria. Ad esempio, quando da seduti parliamo con una persona verso la quale portiamo rispetto, generalmente teniamo la schiena eretta, gli occhi aperti e le rivolgiamo la massima attenzione. La stessa cosa può dirsi se consideriamo la recitazione del Daimoku come una conversazione con il Budda. Nella Rivoluzione umana è descritto il modo in cui il presidente Ikeda faceva Gongyo durante un incontro con un gruppo di membri: «Si voltò verso il Gohonzon e recitò Daimoku con voce possente, carico di energia. Le persone di Yamaguchi ebbero un primo moto di sorpresa: allora era quello il modo corretto di fare Gongyo. Le dita delle mani giunte, gli occhi rivolti verso il Gohonzon, ogni parola scandita con cura» (RU, 11, 25).

Suggerimenti sulla postura

  • Schiena eretta (senza sforzarvi troppo)
  • Palmi uniti, al di sotto del vostro mento
  • Se siete seduti su una sedia, i piedi toccano il pavimento, leggermente distanziati l’uno dall’altro
  • Occhi aperti che guardano il Gohonzon

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Prendersi cura del Gohonzon

Il Gohonzon è il cardine centrale del Buddismo di Nichiren Daishonin e il modo in cui ce ne prendiamo cura custodendolo nelle nostre case esprime il rispetto e la sincerità della nostra fede. Leggiamo nel Gosho: «Io, Nichiren, ho iscritto la mia vita in inchiostro di sumi, perciò credi profondamente nel Gohonzon» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365). È evidente, da questa affermazione, quale sia il rapporto fra la vita del Daishonin e il Gohonzon. Dal momento in cui riceviamo il Gohonzon, in un certo senso è come se Nichiren entrasse nella nostra casa. È importante quindi usare vari accorgimenti:

  • Porre il butsudan, il mobiletto dove teniamo il Gohonzon, nel posto migliore della casa, su un mobile che sia saldamente poggiato per terra. Evitare di spostarlo da una stanza all’altra.
    Spolverare con cura il butsudan ogni mattina.
  • Evitare di appendere il mobiletto al muro o di posarlo su una mensola. Controllare che sia ben stabile e che non si muova quando apriamo gli sportelli.
  • Sopra al butsudan non dovrebbe esserci niente: è consigliabile togliere eventuali quadri, mensole o altro. Inoltre, è bene liberare il più possibile la zona circostante, per favorire la concentrazione.
  • Per sicurezza è anche consigliabile tenere le candele a una certa distanza dal Gohonzon, anche per evitare possibili schizzi di cera.
  • Riguardo all’altezza del Gohonzon, quando recitiamo lo sguardo deve essere rivolto un po’ verso l’alto, tenendo conto che la maggior parte delle persone usa le sedie.
  • L’illuminazione va sistemata in modo che il Gohonzon possa essere visto da tutti senza riflessi fastidiosi, facendo attenzione che la lampadina non sia troppo vicina alla pergamena: il calore potrebbe danneggiarla.

Le offerte al Gohonzon

Nichiren scrive: «Sia che tu invochi il nome del Budda, che reciti il sutra o semplicemente offra fiori e incenso, tutte le tue azioni virtuose metteranno nella tua vita buone radici e benefici» (RSND, 1, 4). Il significato delle offerte al Gohonzon quindi non è formale. Offrire l’acqua, la frutta, le candele, l’incenso o le piante sempreverdi, è un segno di sincerità della fede e quindi la causa per la nostra felicità.
Ogni mattina prima di Gongyo offriamo l’acqua fresca in segno della nostra rinnovata determinazione che ci permetterà di sfidare i problemi quotidiani e togliamo l’acqua prima della preghiera serale. Le piante, l’incenso e le candele sono offerte tradizionali che rappresentano i tre corpi del Budda (corpo della Legge, corpo di ricompensa e corpo manifesto). Indicano anche le tre verità (la verità della vacuità, dell’esistenza temporanea e della via di mezzo). Si preferisce usare le piante sempreverdi perché simbolizzano l’eternità della vita.
Il profumo dell’incenso è un modo per dare dignità al luogo dove preghiamo, e quindi davanti al Budda. Il Gosho afferma: «Non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te. Il Gohonzon esiste solo nella carne di noi persone comuni che abbracciamo il Sutra del Loto e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 738); si comprende quindi che fare offerte al Gohonzon non è altro che offrire alla nostra vita. Più sincere sono le nostre offerte, più grandi i benefici e la buona fortuna che potremo manifestare.

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Le domande più frequenti

da Preghiera e azione, Esperia

Qual è il significato del juzu?

Il juzu è uno degli accessori della pratica buddista. Il significato letterale dei due ideogrammi giapponesi è “numero di grani”. In pratica questo oggetto veniva usato per contare il numero dei Daimoku recitati. Si usa tenere il juzu attorno al dito medio di entrambe le mani, i tre fiocchi verso destra e i due fiocchi verso sinistra, girandolo in maniera da formare una specie di “otto” che si incrocia in mezzo alle due mani giunte. Il juzu rappresenta anche il corpo umano: i tre fiocchi sono la testa e le braccia, il punto incrociato del cerchio di grani è l’ombelico e i due fiocchi in fondo rappresentano le gambe. Ogni juzu è composto da 108 grani che rappresentano le illusioni e i desideri. I quattro grani più piccoli corrispondono ai quattro bodhisattva guida dei Bodhisattva della Terra descritti nel Sutra del Loto (Pratiche Superiori, Pratiche Illimitate, Pratiche Pure e Pratiche Salde).

Perché tenere i palmi uniti mentre si pratica?

Unire i palmi in preghiera è un segno di rispetto ed è la manifestazione del proprio ichinen. I palmi uniti delle mani rappresentano la fusione di realtà e saggezza, ovvero la fusione delle nostre vite con la Legge mistica, mentre unire le dieci dita è simbolo del mutuo possesso dei Dieci Mondi: ciò significa che nessuno dei dieci stati vitali della vita (Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità, Cielo, Apprendimento, Realizzazione, Bodhisattva e Buddità) esiste separatamente dagli altri, ed è precisamente questo il motivo per cui il potere del mondo di Buddità si può manifestare negli altri nove mondi nella vita quotidiana. Perciò, pregare con i palmi uniti è importante per unire noi stessi con il Gohonzon, la materializzazione della realtà più profonda della vita.

È più importante la quantità o la qualità del Daimoku?

Il valore di una banconota da cento euro è maggiore di quello di una banconota da dieci euro. Ovviamente, chiunque preferirebbe avere un biglietto da cento euro, giusto? Analogamente, nella fede, le preghiere forti e sincere sono importanti. Ma avere un mucchio di banconote da cento euro sarebbe ancora meglio!
Questo per dire che nella preghiera contano sia la qualità sia la quantità. Noi pratichiamo il Buddismo per poter diventare felici. Perciò la cosa principale è che ognuno di noi dopo aver recitato Daimoku provi un senso di profonda soddisfazione.
Non ci sono regole ferree sul numero di ore che bisogna recitare. Stabilire degli obiettivi di Daimoku può essere utile, ma quando siete stanchi o assonnati e state solo biascicando Daimoku in uno stato di semincoscienza, è meglio che interrompiate e andiate a dormire. Dopo che vi sarete riposati, sarete in grado di recitare di nuovo con concentrazione ed energia. Pregare in questo modo ha molto più valore. Quando recitiamo dovremmo essere svegli e coscienti, non sul punto di addormentarci.
La cosa più importante è che il nostro Daimoku sia soddisfacente e rinfrescante, tanto da spingerci a esclamare quando abbiamo finito: «Ah, sto proprio bene!». Rinforzando questa sensazione giorno dopo giorno ci muoviamo naturalmente nella direzione più positiva per la nostra vita.

Qual è la giusta velocità con cui dovremmo recitare Gongyo e Daimoku?

Il nostro Gongyo e il nostro Daimoku non dovrebbero essere né troppo veloci né troppo lenti, e dovrebbero avere un ritmo sostenuto e vigoroso. Inoltre, il volume della nostra voce non dovrebbe essere troppo alto o troppo basso. La velocità di Gongyo spesso dipende da fattori come l’età di una persona, o il tempo e il luogo. Perciò non preoccupatevi troppo di quale debba essere la giusta velocità. Semplicemente, fate Gongyo nel modo che vi sembra più naturale e confortevole. Uno dei miei responsabili una volta mi disse che dovremmo fare Gongyo col ritmo di un cavallo al galoppo.

Quale punto del Gohonzon dovremmo guardare mentre recitiamo Daimoku?

Guardare il Gohonzon è come guardare l’universo, come avere un’ampia visione dell’universo nella sua interezza. Perciò, qualunque punto guardiamo, è come se stessimo guardando l’intero universo. Da questa prospettiva, non è importante dove fissiamo il nostro sguardo.
Tuttavia, se ci focalizziamo sul centro del Gohonzon è più facile concentrarsi. […] Negli Insegnamenti orali il Daishonin dice a proposito dei cinque caratteri di Myoho-renge-kyo: «La nostra testa è myo, la gola è ho, il petto è ren, l’addome è ge e le gambe sono kyo». […] Guardate il punto del Gohonzon sul quale vi è più agevole concentrarvi.
Neanche nel Gosho c’è scritto dove dobbiamo fissare il nostro sguardo quando recitiamo. Nella sua grande compassione, Nichiren Daishonin ci ha dato la libertà di pregare nel modo più adatto a noi. Con la sua comprensione e il suo intuito immensi, ha tenuto conto dell’autonomia, della personalità e delle circostanze di ogni individuo, incoraggiandoci a rapportarci alla fede con flessibilità e libertà.

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