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La partita più importante - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:28

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La partita più importante

Selena Mazzantini

«Posso dire – racconta Selena Mazzantini – che la mia rivoluzione umana “cammina” insieme alla trasformazione del mio ambiente: sono stata una figura inutile e fastidiosa in quanto donna, oggi invece sono a capo di tutti gli allenatori in qualità di responsabile tecnico della scuola calcio»

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«Posso dire – racconta Selena Mazzantini – che la mia rivoluzione umana “cammina” insieme alla trasformazione del mio ambiente: sono stata una figura inutile e fastidiosa in quanto donna, oggi invece sono a capo di tutti gli allenatori in qualità di responsabile tecnico della scuola calcio»

Com’è iniziata la tua carriera di calciatrice?

Ero una bambina quando ho iniziato a dare calci a un pallone insieme ai miei amici. Ero l’unica ragazza, ma non c’erano tante differenze tra noi perché ero brava e avevo una forte passione. Volevo fare la calciatrice, ma ero anche molto timida, tanto che al provino con la mia prima squadra femminile costrinsi mia sorella, che faceva la ballerina, a entrare in campo con me. Da allora il calcio è stata la mia professione per ventiquattro anni; ho giocato nell’Ascoli, nella Lazio, nel Torino, nella Roma e intanto continuavo a studiare finché a un certo punto ho scelto il calcio al 100%.
Sono nata a Recanati, nelle Marche, e quando giocavo nell’Ascoli il club della Lazio mi notò e mi “corteggiò” per ben tre anni. Non volevo staccarmi dalla mia famiglia, dalla mia terra e da un contesto ormai consolidato, però giocare nella Lazio significava fare un salto di qualità, far parte di una società importante e di un progetto diverso da quello provinciale in cui ero cresciuta. Dovevo aprirmi e far emergere le mie qualità. Decisi perciò di indossare la maglietta bianco azzurra.

Quando hai iniziato a praticare?

Nel 2002, grazie a una sofferenza sentimentale. Nam-myoho-renge-kyo ha rivoluzionato la mia vita, mi ha sostenuta soprattutto quando, pochi mesi dopo, ho perso mio padre, fulcro di tutta la famiglia.
Con la pratica ho deciso di vedere e affrontare i miei limiti, ho vissuto più intensamente la mia carriera di calciatrice, coronata da molte soddisfazioni e successi sempre accompagnati dal Daimoku!
Poi a trentatré anni ebbi un infortunio al piede destro che mi costrinse a vedere le gare dalla panchina, un’emozione nuova proprio in un momento in cui non sapevo più cosa fare nella vita. Avevo un’età che richiedeva un cambiamento professionale, infatti di lì a poco avrei dovuto abbandonare la carriera di calciatrice, ma che lavoro avrei potuto fare? Mi sforzavo di studiare il Gosho, di andare alle riunioni vicino a Recanati e in una di queste occasioni un compagno di fede mi incoraggiò dicendomi che niente è impossibile. Volevo abbandonare la mia passione? Perché non mantenerla nel futuro lavoro?
Decisi allora di fare domanda per prendere il patentino da allenatrice UEFA B, sfidarmi e creare valore. Feci tutto il corso in cui ero l’unica donna tra cinquantaquattro uomini e alla fine diventai allenatrice! Sono convinta che questa vittoria sia stata possibile grazie al Daimoku che recitavo ogni giorno. Una delle scoperte più importanti che ho fatto studiando il Buddismo è la legge di causa ed effetto. Ero abituata ad addossare le colpe di ciò che mi accadeva agli altri, invece praticando ho imparato ad assumermi la responsabilità della mia vita. Quando ho ricevuto il Gohonzon ho pensato che quel giorno rappresentava la mia rinascita. Avevo iniziato una nuova carriera, allenavo categorie di piccoli calciatori in società dilettantistiche a Roma, dove intanto mi ero trasferita. In questa nuova attività avrei fatto la mia rivoluzione umana e compiuto la mia missione. Da allora non ho mai permesso agli ostacoli di fermarmi.

Com’è andata questa seconda parte della tua carriera?

Il passo più duro da allenatrice è stato farsi accettare dai colleghi uomini e dai genitori che vedevano con perplessità una ragazza insegnare calcio ai loro figli! Fino a quel momento c’erano stati solo allenatori uomini, sono stata una delle prime allenatrici di squadre giovanili maschili. Avevo bisogno di uno stato vitale alto per affrontare ogni volta la sfida dell’ambiente e i blocchi dovuti alle mie insicurezze. Lo sforzo maggiore era non diminuire il Daimoku, perché solo così riuscivo ad armonizzare le continue sfide quotidiane alla passione per questo sport. Devo dire “grazie” anche agli amici a cui raccontavo con entusiasmo le mie vittorie col Buddismo e che iniziavano a praticare.
Ho imparato che per raggiungere gli obiettivi era importante aprirmi: solo incoraggiando e sostenendo gli altri potevo trasformare la mia oscurità e quest’azione accelerava l’arrivo al traguardo. Pensare il contrario, e cioè che prima si raggiunge il proprio obiettivo e poi si incoraggiano gli altri, rallenta tutto.
Durante la stagione calcistica in cui allenavo la Roma femminile, la stessa squadra con cui avevo terminato la carriera di giocatrice, mi è arrivata l’occasione di affrontare una nuova grande sfida.

Ce la racconti?

Per “caso” un giorno una mia ex collega mi scrive che entro una settimana scadeva il termine per partecipare al corso di allenatore professionista. Non avevo chiesto a nessuno di quel corso perché non avevo questo obiettivo, però consapevole che nulla è per caso inviai la domanda al settore tecnico di Coverciano e mi accettarono. Ero a una nuova partenza. Ancora una volta eccomi in un ambiente completamente maschile, cinquantacinque uomini e due sole donne. Facevo inoltre attività come responsabile di gruppo, ma non riuscivo a frequentarlo per i continui spostamenti tra Roma e Firenze e l’allenamento della femminile era particolarmente impegnativo, anche per l’assenza di una figura societaria importante. Fu un anno difficile, praticavo quasi sempre da sola nella stanza di Coverciano che dividevo con le altre due ragazze a cui parlai del Buddismo. Anche questa volta vinco e divento allenatrice professionistica UEFA A!
Mandai il mio curriculum a una società di calcio nonostante non ci fossero posizioni aperte: è così che venni presa alla S.S. Lazio maschile e da quel giorno ancora milito nelle fila degli allenatori di questa importante società! È uno dei percorsi più difficili che abbia mai affrontato dall’inizio della mia carriera: il mondo del calcio professionistico è da sempre un ambiente maschile, una figura femminile – se riesce a inserirsi – è ben vista solo se sta in un cantuccio e non fa confusione. Ho sofferto molto per l’ingiustizia di questo modo di pensare e mi sono chiesta se fare un passo indietro e ritornare a essere qualcuno nell’ambiente del calcio femminile – che è tutto un mondo a parte e non professionistico – oppure affrontare questa nuova sfida. Lottavo incessantemente tra insicurezza e coraggio, ma la determinazione ad andare avanti è stata più forte. L’effetto di quella decisione è che ogni anno sono salita di categoria allenando ragazzi sempre più grandi.

Come ti ha aiutato la pratica in questo percorso?

La mia forza nasce – oltre che dal Daimoku e dallo shakubuku – dallo studio del Gosho e dalle guide del presidente Ikeda, grazie a cui ho imparato a conoscermi. Mi sono sempre sfidata anche nell’offerta per kosen-rufu e nell’attività per gli altri, è così che ho accumulato buona fortuna. Con Claudia, responsabile insieme a me, abbiamo creato una forte unità, collaboriamo per seguire ogni persona del nostro gruppo, partecipiamo ai corsi della Soka Gakkai e le nostre riunioni di discussione sono gioiose e piene di energia. È questa attività che mi ha permesso di porre le basi per essere un punto di riferimento nel lavoro. Posso dire che la mia rivoluzione umana “cammina” insieme alla trasformazione del mio ambiente: sono stata una figura inutile e fastidiosa in quanto donna, oggi invece sono a capo di tutti gli allenatori in qualità di responsabile tecnico della scuola calcio della Lazio Academy.
Per arrivare dove sono ho attraversato momenti di crisi, in cui ho chiesto consigli nella fede e ho imparato a riconoscere profondamente il mio valore.
Ora sto puntando il mirino ancora più in alto, non so precisamente quale sarà la mia prossima sfida, con fiducia mi affido alle parole del mio maestro, col quale sto cercando di creare una relazione sempre più profonda: «La pianista tedesca Clara Schumann diceva: “In definitiva non diamo tutti la vita per la nostra missione?”. Qualunque possa essere il nostro scopo o missione, se ci dedichiamo a esso con tutto il cuore creeremo qualcosa che brillerà di eterno splendore. Coloro che eccellono nel loro campo – sia in quello delle arti, degli studi, della cultura, dello sport, della politica o degli affari – sono in genere individui di grande dedizione che non lesinano la loro vita. Sono persone che fanno sforzi enormi per continuare a migliorare, spingendosi oltre il loro limite. Si dedicano senza riserve al settore che hanno scelto e continuano a sfidare se stessi. Questo è il motivo per cui riescono a creare imprese e successi duraturi» (cfr. D. Ikeda, Maestro e discepolo, esperia).

Vuoi dire qualcosa ai giovani?

Siete preziosi e lo diventerete ancora di più recitando Nam-myoho-renge-kyo. Siamo fortunati ad aver incontrato questo insegnamento e il maestro Ikeda, che ringrazio quotidianamente per aver portato il Buddismo in Italia e per guidarmi in ogni istante della vita. Tutto ciò che ho ottenuto fino a oggi è il frutto delle azioni compiute per kosen-rufu, ogni cosa per me inizia con la preghiera al Gohonzon. È importantissimo parlare agli altri della pratica e incontrare le persone, queste azioni mi hanno portato naturalmente a un’evoluzione, a una crescita.
Non conosco ancora chiaramente il mio prossimo obiettivo, ma sono determinata a voler aprire una nuova strada! Potrebbe essere quella di allenare una prima squadra in serie A maschile oppure altro. In ogni caso il mio desiderio è incoraggiare gli altri attraverso la mia esperienza. Dovremmo tutti aspirare a questo!

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