L’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è da sempre a favore della pace e delle azioni che ogni persona può fare per il suo raggiungimento. Il Consiglio Nazionale esprime le sue riflessioni su questo fondamentale tema
Il ventesimo secolo è stato segnato dalle centinaia di milioni di morti delle guerre mondiali, dell’olocausto nucleare, della Shoah, dei conflitti razziali, religiosi ed etnici. Quale lezione abbiamo tratto da queste immani tragedie? Nessuna, sembra, se le stesse modalità violente vengono oggi riproposte e utilizzate per la soluzione dei problemi internazionali e nella lotta al terrorismo.
Oggi molte persone comuni hanno levato la loro voce in favore della pace ed è giusto che queste voci vengano ascoltate e rispettate. Inoltre, se vogliamo mantenere la cooperazione internazionale, il ruolo collegiale delle Nazioni Unite deve essere valorizzato e sostenuto senza pressioni o minacce.
«Sono trascorsi tre anni –scrive Daisaku Ikeda – da quando il ventunesimo secolo si è aperto con le indicazioni dell’ONU di creare una “cultura di pace” e di promuovere il “dialogo tra le civiltà”. […] Ma il patrimonio negativo del ventesimo secolo considerato “il secolo della guerra e della violenza” è tuttora esistente. Anzi la situazione si sta aggravando sempre più. […] Come buddista credo profondamente che nessun individuo possa sperimentare una vera felicità o serenità fino a quando non sarà allontanato dall’umanità lo spettro della guerra. Abbiamo imparato che niente è più crudele della guerra e abbiamo già pagato pesantemente questa lezione. Credo che il nostro compito principale nei confronti delle nuove generazioni sia quello di aprire verso il prossimo secolo un sentiero luminoso e sicuro che conduca alla pace».
Per opporsi alla guerra e alla violenza è necessario riesaminare profondamente la natura della nostra civiltà e i valori sui quali essa si fonda.
In tutti i suoi insegnamenti il Buddismo sottolinea il valore supremo della vita. Ogni singola vita è preziosa e insostituibile e contiene infinite possibilità che attendono di essere realizzate. Uccidere è il crimine più efferato e non trovano alcuna giustificazione le cosiddette guerre giuste, le guerre preventive, le guerre sante o le guerre umanitarie. In uno scritto di Nichiren Daishonin si legge: «Un giorno di vita è molto più prezioso di tutti i tesori dell’universo». Per questo motivo la vita umana non deve mai essere sacrificata e utilizzata come mezzo per affermare gli interessi di una nazione sull’altra, di una civiltà sull’altra, di una religione sull’altra.
La vita universale – in tutte le sue manifestazioni, dalle più grandi alle più piccole – è intimamente connessa al suo interno. Ogni forma vitale è collegata a doppio filo con tutte le altre e con l’ambiente che la circonda. Questo è il concetto di “origine dipendente”, la dottrina buddista che rivela la relazione di interdipendenza tra tutte le cose nell’universo – inclusi gli esseri umani e la natura e da cui deriva l’“Etica della simbiosi”: avere come fondamento del proprio agire l’armonia invece del conflitto, l’unione invece della divisione, il “noi” invece dell’“io”.
Usare violenza contro una qualsiasi altra forma di vita e contro l’ambiente significa – in ultima analisi – usarla contro noi stessi. La compassione buddista, la solidarietà e la tolleranza non possono essere concepite se non come massima espressione del rispetto dovuto alla vita e a tutte le sue infinite manifestazioni.
Da ciò deriva che l’essenza dei “diritti umani” è il diritto di “vivere in modo veramente umano”. Questo diritto fondamentale deve avere la priorità su tutto il resto: senza di esso né la pace né la felicità sono possibili. Poiché rappresenta il valore più alto e inalienabile e conferisce alle persone il loro carattere distintamente umano, non è possibile tollerarne la violazione sia essa perpetrata da uno Stato o da altra entità.
Dichiariamo la nostra determinazione a trovare la soluzione al terrorismo islamico non con i mezzi militari, ma attraverso la promozione di un profondo dialogo con il mondo arabo. Invece di versare benzina sulle fiamme dell’odio, scegliamo di spegnerle con un gran flusso di dialogo che arricchirà e porterà beneficio a tutta l’Umanità. Ci vuole sempre coraggio per realizzarlo. Ora è il momento per noi di dimostrare il coraggio della nonviolenza, il coraggio di impegnarci nel dialogo, il coraggio di ascoltare quello che non vogliamo sentire e seguire la ragione.
Il dialogo e l’educazione globale per comprendere come pensano gli altri e per capire le altre culture sono la chiave per realizzare qualsiasi trasformazione di conflitti che duri nel tempo. Dobbiamo estendere il nostro sforzo per promuovere il dialogo tra le diverse culture e all’interno di ciascuna di esse. Soprattutto, in questo momento è indispensabile aprire il dialogo con il mondo islamico.
Dovranno essere proprio le persone comuni a spingere i governi verso il dialogo, dovranno essere i singoli cittadini a creare una cultura di pace nelle loro comunità di vita. In questo senso la grande mobilitazione delle coscienze delle persone comuni che fanno sentire la loro voce in favore della pace è un segnale incoraggiante che deve assumere ancora più rilievo. Oggi è più che mai necessaria una “Nuova diplomazia” che nasca dalla sinergia creativa tra la riforma interiore, spirituale, e quella esterna, istituzionale. Il ruolo della Nuova diplomazia è stato affermato in uno dei Dieci Principi Fondamentali emersi nella Conferenza sull’Appello dell’Aja per la pace, tenutasi nel maggio del 1999. Essa dichiara che «tutti gli Stati devono integrare la Nuova diplomazia, cioè la partecipazione condivisa tra governi, organizzazioni internazionali e società civile».
Secondo il Buddismo non esistono buoni e cattivi, il dualismo tra bene e male è attraente perché è un modo semplice di guardare il mondo. Se il mondo è un campo di battaglia tra le forze del bene e quelle del male, allora – secondo questa logica perversa – il male deve essere combattuto con qualsiasi mezzo. Il bene e il male fanno parte, invece, della natura umana ed è proprio lì, a livello interiore, che deve svolgersi la vera lotta. Questa è il principio della “rivoluzione umana”, del cambiamento profondo di ogni individuo che può avvenire tramite il potere della religione e dell’educazione.
La funzione del “male” è quella di dividere, di alienare le persone le une dalle altre e di opporre una nazione a un’altra. L’universo, questo mondo e le nostre stesse vite sono teatro di una continua lotta tra odio e compassione, tra gli aspetti distruttivi e costruttivi della vita. Non bisogna mai smettere di confrontarsi con il male, a ogni occasione. In definitiva, il male sul quale ognuno di noi deve trionfare è l’impulso verso l’odio e la distruzione che risiede in ciascuno di noi. Se non riusciremo a ottenere una sostanziale trasformazione all’interno della nostra stessa vita, tale da percepire la profonda connessione che esiste tra noi e tutti gli altri esseri umani, e sentire le loro sofferenze come le nostre, non potremo mai liberarci dai conflitti e dalle guerre.
Affermare che «la pace conosce solo mezzi pacifici», richiama quello che è il nodo centrale della questione che ci troviamo oggi ad affrontare a proposito della guerra e della pace: il rapporto tra mezzi e fini. Condividiamo integralmente quanto scriveva Aldo Capitini: «Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile “Se vuoi la pace prepara la guerra”, ma attraverso un’altra legge: “Durante la pace, prepara la pace”».
La vera battaglia del ventunesimo secolo non sarà tra civiltà o religioni diverse, ma tra violenza e nonviolenza. Esistono certamente alcuni provvedimenti a breve termine che possono essere adottati per combattere la violenza e il terrorismo, ma l’unica soluzione possibile e definitiva a lungo termine è l’educazione. Essa è lo strumento principe per trasmettere alle nuove generazioni i più alti valori dell’umanesimo.
In quanto buddisti dobbiamo incidere la cultura del dialogo e della nonviolenza profondamente dentro di noi, testimoniarla nelle nostre comunità di vita e lottare perché essa si affermi nel mondo.