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La mia vita ha radici più salde e profonde - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:41

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La mia vita ha radici più salde e profonde

Emanuela Persichetti, Pordenone

Ero consapevole che non esiste felicità se non assieme agli altri e che l’obiettivo è importante, ma ancora di più è il percorso quotidiano per realizzarlo

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Ero consapevole che non esiste felicità se non assieme agli altri e che l’obiettivo è importante, ma ancora di più è il percorso quotidiano per realizzarlo

Quando ho iniziato a recitare Nam-myoho-renge-kyo, nel 2009, la mia vita era abbastanza stabile: un buon lavoro, tanti amici, viaggi… l’unico fronte claudicante che mi faceva soffrire era quello sentimentale. Incoraggiata dai compagni di fede praticavo con la “generica” convinzione che facesse bene alla mia vita, ma non vedevo cambiamenti concreti.
Continuavo a fare Daimoku e a studiare il Buddismo in modo altalenante portando avanti la responsabilità di gruppo con fatica e senso del dovere, tra mille dubbi e perplessità. Capivo razionalmente, ma cosa dovevo fare per trasformare la mia vita? Qual era la mia missione?
Nell’agosto 2013 iniziai una nuova storia, tutto finalmente pareva andare per il verso giusto; ma sei mesi dopo la mia vita subì un violento scossone. Dalla persona forte e piena di salute quale ero, mi ritrovai completamente senza energia, con dolori lancinanti in tutto il corpo, incapace di svolgere qualsiasi attività, fisica e mentale. Essendo infermiera capivo che ciò che mi accadeva non aveva una logica scientifica, i sintomi erano tutti scollegati tra loro. Paralizzata dalla paura iniziai a temere il peggio, aspettavo che tutto finisse appoggiandomi al mio compagno, ma senza sentirmi davvero sostenuta.
Dopo un lungo percorso finalmente arrivò la diagnosi: fibromialgia e sindrome da affaticamento cronico. Non avevo mai sentito parlare di questa malattia che colpisce milioni di persone al mondo, in particolare le donne, e per la quale non ci sono ancora terapie chiare. Improvvisamente l’organismo va in tilt, non è più in grado di riconoscere gli stimoli esterni per cui anche una carezza diventa dolore, sole e vento dei nemici, mangiare e bere un problema, e poi tremori, sbandamenti, stanchezza irrecuperabile…
Non era possibile! Perché proprio a me? Intanto i medici mi indirizzavano verso l’unica terapia ufficialmente condivisa dai protocolli internazionali: psicofarmaci, miorilassanti, antidepressivi. Passavo le giornate a letto davanti al computer cercando informazioni sulla malattia e interagivo con altre persone malate. Il mio pensiero costante era “trasformare il veleno in medicina”!
Ora più che mai era il momento di fare mie le guide del presidente Ikeda e il Gosho, e sperimentare la prova concreta della pratica buddista. Non riuscivo a recitare tanto Daimoku, ma sentivo che tutto il Daimoku che avevo fatto negli anni precedenti non era andato sprecato.
Proprio mentre si manifestavano nuovi e insopportabili sintomi, il mio compagno mi lasciò.
Lì per lì mi arrabbiai, ma reagii subito recitando Daimoku e cominciai a provare un senso di pace e libertà. Sono riuscita a trovare la forza di ringraziare la vita e persino la malattia che in modo incisivo e concreto era foriera di un messaggio chiaro: è tempo di cambiare strada, di essere compassionevole, coraggiosa, determinata, di parlare del Buddismo agli altri tramite la prova concreta.
Pregando profondamente davanti al Gohonzon, decisi di guarire: «Sii profondamente convinta che la tua malattia non può durare e che non è possibile che la tua vita non venga prolungata! Prenditi cura di te e non affliggere la tua mente» (L’arco e la freccia, RSND, 1, 585).
Le cure che facevo iniziavano a dare i primi risultati, il mio benessere fisico aumentava giorno dopo giorno e il mio carattere combattivo cominciava a riemergere. Era il momento di usare la mia energia per creare valore. Facevo Daimoku e poi contattavo le persone che soffrivano del mio stesso problema per incoraggiarle e creare un gruppo di auto-aiuto, con l’obiettivo di dare voce alle migliaia di persone che soffrono di questa malattia.
A volte, confrontandomi con altre persone che ne soffrivano da anni, mi meravigliavo di come la mia guarigione galoppasse velocemente e per questo davanti al Gohonzon provavo una profonda gratitudine. Ero consapevole che non esiste felicità se non assieme agli altri e che l’obiettivo è importante, ma ancora di più è il percorso quotidiano per realizzarlo, fatto di un susseguirsi di cause positive che poniamo “qui e ora”.
Ormai da molti mesi la malattia è completamente regredita e ha lasciato spazio a un panorama più ampio, fatto di nuovi amici che sto avvicinando al Buddismo e nuovi obiettivi “impossibili” che rendono la mia vita gratificante, gioiosa ed emozionante. Questo è il mio modo di contribuire a kosen-rufu, è la mia prova concreta; è proprio vero che «la malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (La buona medicina per tutti i mali, RSND, 1, 833).
Ora mi sento “nuova” perché ho trasformato il veleno in medicina e sento che la mia vita ha radici più salde e profonde. Percepisco l’eternità della vita e i legami inscindibili tra me e l’ambiente, e so che tutto dipende dalla fede, dal credere veramente che tutto è possibile.

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