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La luce della speranza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:28

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La luce della speranza

Wayne Green è un musicista, presentatore e compositore americano che ha lavorato per più di quarant’anni a Broadway, in America e nel mondo. Nel 2011 ha scritto insieme al maestro Ikeda la canzone “La luce della speranza”, dedicata alla Soka University of America

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Wayne Green è un musicista, presentatore e compositore americano che ha lavorato per più di quarant’anni a Broadway, in America e nel mondo. Nel 2011 ha scritto insieme al maestro Ikeda la canzone “La luce della speranza”, dedicata alla Soka University of America

Com’era la tua vita prima di iniziare a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin?

Ho avuto un’infanzia felice, già in tenera età dimostrai un talento per la musica e, crescendo, continuai a ricevere lodi e attenzioni.
Tutto andava bene, conobbi e sposai la ragazza dei miei sogni. Era la storia d’amore del secolo. Il nostro amore arse luminoso per un paio di anni. Ma poi si spense come un fiammifero. Ne uscii distrutto.
Poco prima, la mia autostima come musicista era stata rasa al suolo da un direttore d’orchestra di Broadway. Era bastata una persona che non pensava che fossi “magnifico” a farmi smettere di credere in me stesso. La forza che credevo di possedere si dimostrò un’illusione. Ciò di cui avevo assolutamente bisogno erano nuove fondamenta per la mia vita. Questo era chiaro, ma non avevo la minima idea di come riuscirci.
Poi del tutto inaspettatamente mia moglie tornò, e nel frattempo aveva cominciato a praticare il Buddismo. Una volta l’accompagnai a una riunione e lì qualcuno disse: «Questa pratica è il modo per costruire le fondamenta di una vita indistruttibile». Beh, capii che questa pratica era esattamente ciò che mi serviva.

Che impatto ha avuto Nam-myoho-renge-kyo sulla tua vita?

Iniziare a recitare Daimoku fu come un terremoto. Nel Gosho trovai una frase che sembrava rivolta proprio a me: «E non andare in giro a lamentarti di quanto ti sia difficile vivere in questo mondo. Un simile comportamento è del tutto sconveniente per un uomo saggio» (I tre tipi di tesori, RSND, 1, 755).
Decisi che avrei affrontato con il Daimoku ogni situazione che mi metteva a disagio (praticamente tutte), lanciandomi come nella fossa dei leoni. E quando vincevo, passavo alla sfida successiva. Costruire un essere umano sicuro di sé, passo dopo passo: questo era il mio obiettivo.
Nel frattempo, ciò che avveniva internamente iniziò a riflettersi esternamente. Ottenni un lavoro dopo l’altro, a Broadway e non solo.

Ci racconti il tuo legame con il maestro Ikeda?

Nel 2011 ebbi la fortuna incredibile di assistere il presidente Ikeda nella composizione di una canzone, La luce della speranza, che sarebbe stata il suo regalo agli studenti, ai docenti e al personale dell’Università Soka in America (SUA), in occasione del decimo anniversario della fondazione.
Sapevo che sensei aveva scritto tante canzoni in passato e ammiravo i musicisti che avevano lavorato con lui, ma non avrei mai immaginato di avere questa opportunità.
Per me, l’esperienza di lavorare con sensei è stata l’occasione per sperimentare fino in fondo che con la determinazione, il Daimoku e un impegno costante si può riuscire in qualunque cosa.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare personalmente diverse volte sensei e custodisco quei ricordi con amore, ma non l’ho mai sentito così vicino come quando ho lavorato con lui a quella canzone. Anche se non eravamo nella stessa stanza, ma ai lati opposti del mondo, pregare per aiutare il mio maestro a raggiungere un suo sogno, studiare attentamente le sue parole e agire costantemente ogni giorno per avvicinarci al nostro obiettivo comune, tutto ciò è stato il modo di essere veramente con lui. Questa è un’esperienza che possiamo fare tutti ogni giorno.

C’è un’esperienza in particolare che vuoi condividere con noi?

Nel mondo dello spettacolo è normale avere dei momenti in cui non si lavora. Anche le grandi star spesso “spariscono” per un anno o due. Tuttavia, da quando ho iniziato a praticare, momenti del genere per me sono stati rari. Eccetto un periodo di sei mesi in seguito all’11 settembre, quando Las Vegas si trasformò in una città fantasma, ho lavorato regolarmente per più di quarantacinque anni. Questo è un grande beneficio della pratica buddista.
Una delle più grandi esperienze si è concretizzata nel corso di molti anni. All’inizio della mia carriera teatrale provavo un tacito disprezzo nei confronti degli attori, proprio le persone con cui dovevo lavorare ogni sera. Mi sembravano superficiali, meschini e totalmente egocentrici (come se io non lo fossi!).
Con mio disappunto, nonostante fossi educato e non avessi mai espresso ad alta voce queste sensazioni, loro le percepivano perfettamente e mi detestavano a loro volta. Quando recitavo Daimoku mi chiedevo: «Perché non piaccio alla gente?». Infine, mi resi conto che loro sentivano ciò che provavo davvero nei loro confronti. Quindi decisi di cambiare interiormente. È difficile riuscire a cambiare qualcosa di così radicato nel proprio cuore, ed è proprio questo il potere di Nam-myoho-renge-kyo. Durante l’ultimo tour prima di trasferirmi in Italia, durato un anno, si è creato un rapporto speciale tra me e gli attori. Ci siamo amati e apprezzati a vicenda. È stata l’esperienza più felice della mia carriera.

Come vorresti incoraggiare coloro che cercano di creare valore come artisti?

A chi cerca di creare valore attraverso l’arte vorrei dire: «impara il tuo mestiere. Impara tutto ciò che puoi. Non cercare di far colpo sugli altri come se sapessi già tutto, ti precluderai la possibilità di imparare. Non dobbiamo mai smettere di imparare». Sensei cita spesso questo proverbio cinese: «La peggiore malattia che si può contrarre in vita è l’arroganza. È una malattia dello spirito».
Una volta il musicista Herbie Hancock (nella foto in alto insieme a Wayne, n.d.r.) mi disse che la cosa più importante per lui è capire qual è il suo scopo come artista: ottenere attenzioni per se stessi? Oppure dare il proprio contributo all’umanità?

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