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La luce che ho dentro - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:24

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La luce che ho dentro

Lara Borghini, Roma

Incontrare Nam-myoho-renge-kyo è stato illuminare il buio che avevo dentro, è stato imparare a volermi bene, a fidarmi dei miei sensi, di me, degli altri. Il Daimoku è stato “lucidare il mio specchio” da tutto ciò che vi avevo messo sopra per non vedere, per non vedermi

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Incontrare Nam-myoho-renge-kyo è stato illuminare il buio che avevo dentro, è stato imparare a volermi bene, a fidarmi dei miei sensi, di me, degli altri. Il Daimoku è stato “lucidare il mio specchio” da tutto ciò che vi avevo messo sopra per non vedere, per non vedermi

Ho iniziato a praticare nel giugno del 2003 quando ho visto mio fratello, che da un po’ di anni soffriva di depressione, ripetere una strana preghiera e a poco a poco tornare a sorridere. Così ho cominciato anche io.
Avevo ventitré anni e una gran paura di tutto. Paura degli animali, delle persone, della sporcizia, del cibo. Soffrivo di disturbi alimentari, un senso di ansia e di incompletezza, spesso senza un apparente motivo, mi assaliva impedendomi di godere delle mie giornate. Costantemente lottavo con le mie “manie”: il controllo ossessivo del gas, delle luci, dei rubinetti, delle finestre di tutta la casa, che dovevo guardare e riguardare più volte prima di andare a dormire. Ero capace di fissare una stanza buia per minuti per controllare se avessi effettivamente spento la luce. Più stavo lì, più mi odiavo, vittima di quel senso di lacerazione e disprezzo verso me stessa che mi teneva inchiodata a fissare il buio, le gocce del rubinetto, la manopola del gas. Quello stesso disprezzo che mi faceva ingurgitare cibo per poi provare vergogna e frustrazione quando lo vomitavo.
Incontrare Nam-myoho-renge-kyo è stato illuminare il buio che avevo dentro, è stato imparare a volermi bene, a fidarmi dei miei sensi, di me, degli altri. Il Daimoku è stato “lucidare il mio specchio” da tutto ciò che vi avevo messo sopra per non vedere, per non vedermi. Così dopo un anno in cui mi sono sforzata di praticare correttamente e in maniera costante, ho percepito chiaramente che questo Buddismo era la strada giusta verso la felicità, perché a poco a poco riuscivo ad ascoltare quella mia parte profonda e vera che avevo fino ad allora ingoiato e spinto il più giù possibile, dentro di me, fino a immaginare di non averla più. Ho deciso così di ricevere il Gohonzon, sentendo quella scelta come la cosa più naturale e sana per me in quel momento.
Così il Gohonzon è entrato nella mia vita, nella casa dei miei genitori, in una famiglia apparentemente perfetta e solida, in realtà così fragile e profondamente sofferente. Mia madre e mio fratello soffrivano di crisi depressive fortissime, mentre il rapporto tra i miei genitori era fatto di collera e mancanza di rispetto. Uno dei primi obiettivi è stato quello di costruire una famiglia che fosse un “castello di pace” come dice il presidente Ikeda. Sono stati anni difficili, di grandi sofferenze, ma nella Divisione giovani donne non mi sono mai sentita sola. Abbiamo recitato insieme tanto Daimoku e fatto tanta attività per gli altri, unite nel desiderio di sentire dentro di noi pulsare lo stesso cuore del maestro, che ci ha guidato come un padre nelle nostre battaglie personali.
Questa grande sfida mi ha portato a diventare più forte, a capire chi volevo essere, ad avere il coraggio di scegliere il lavoro che desideravo fare, e ad andare a vivere con il mio ragazzo. Più diventavo adulta e autonoma, più recitavo per la felicità di ogni membro della mia famiglia. Così, nell’arco di cinque anni mia madre, poi mio fratello e poi sua moglie hanno ricevuto il Gohonzon, e stanno lottando come me per la loro rivoluzione umana.
La mia esperienza più grande è iniziata però quando ho deciso di partecipare a un corso a Trets, uno dei Centri europei, come byakuren. Ricordo chiaramente la riunione prima della partenza e il desiderio che si è affacciato nitido nel mio cuore: diventare madre, una madre felice. Nello stesso tempo sentivo crescere in me l’inadeguatezza e la paura che tanto mi erano state familiari. Intanto la convivenza con il mio ragazzo andava avanti, e con l’aiuto del Daimoku cominciavo a rendermi conto del perché me ne ero innamorata. Lui lasciava tutte le luci accese, il gas aperto, le chiavi appese fuori di casa. Quando il mio stato vitale era basso, questo suo modo di essere accentuava la mia paura e mi scatenava una collera pazzesca. Dalla mia bocca uscivano parole umilianti che offendevano profondamente la vita. Quando il mio stato vitale era alto riuscivo a vivere nel disordine, nell’instabilità che sentivo chiara dentro di me e di cui il mio compagno era certamente la manifestazione esterna.
Un giorno ci siamo guardati e abbiamo deciso di fare un figlio. In gravidanza le mie tendenze si sono ripresentate con tutta la loro forza. Ma non ho mai smesso di recitare Daimoku e di dedicarmi agli altri, anche perché, poco prima avevo accettato la responsabilità delle giovani donne del capitolo. La sofferenza però era enorme. Mi immaginavo una mamma irrimediabilmente ansiosa e non all’altezza, ma, soprattutto, le manie che pensavo di aver superato si erano ripresentate tutte. Nel frattempo il mio compagno era diventato più disordinato e inaffidabile che mai, ma soprattutto assente, completamente preso dal suo lavoro. Lo percepivo lontano, non parlavamo quasi più, ognuno chiuso nelle proprie paure, finché decisi di ricevere un consiglio sulla fede durante il quale fui incoraggiata a recitare Daimoku per provare gratitudine, rispetto e fiducia verso la vita. Seguendo questo consiglio Nam-myoho-renge-kyo ha cominciato a “riempire” quel senso di vuoto, di instabilità, di incertezza che cercavo di colmare con il controllo di tutto ciò che era fuori di me. Ho lasciato fluire la vita senza avere la pretesa di controllarla perché cominciavo a sentirmi più forte e sempre più indipendente dall’ambiente che mi circondava.
Quando partorii il mio compagno si trovava fuori Roma, ma anche se non lo avevo vicino non ebbi paura. Imparai a cambiare pannolini, a prendere in braccio nostra figlia senza timore. Quando la bambina compì un mese lui perse il lavoro e affrontò un fortissimo esaurimento nervoso. Il muro che si era creato tra noi era troppo spesso per permetterci di aprirci l’uno con l’altro, eravamo due estranei. Non riuscivo a comprendere la sua sofferenza, ad avere compassione per la sua paura di diventare uomo e padre. Ma nonostante le colpe che gli addossavo per non essermi stato vicino, il Daimoku che avevo recitato per lui fece sì che trovasse le condizioni per curarsi nel migliore dei modi. Avevo comunque la sensazione che il mondo mi fosse crollato addosso, ma con una forza che mai avrei immaginato di avere mi “appiccicai” al Gohonzon e alle guide di sensei. Mi sforzavo di fare un Daimoku vigoroso e pieno di gioia, pensando a ogni Nam-myoho-renge-kyo come al nome della vita che volevo, della serenità e della forza che intendevo trasmettere a mia figlia.
Fu come estrarre l’acqua dal deserto, gioia e gratitudine per la vita quando ero sola e piena di paura. Non riesco a spiegarlo a parole come vorrei, ma quando il mio compagno è guarito ci siamo ritrovati: eravamo due persone che avevano fatto i conti con il loro karma in un modo o in un altro. Due persone mature, che avevano ritrovato la gioia di vivere dentro il loro cuore. Grazie a questa sofferenza abbiamo messo solide radici e ci siamo sentiti liberi di risceglierci e di riscegliere come volevamo la nostra vita, la nostra casa, la nostra famiglia.
Mia figlia ora ha tre anni e un fratellino di nove mesi. Mio marito è un uomo affidabile e un dolcissimo padre e ha trovato un lavoro che lo appaga. E io ho dentro la certezza che, qualsiasi cosa accada, so sempre da dove ripartire. Schiena dritta davanti al Gohonzon!

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