L’Università di Bologna, la più antica al mondo, nacque dal desiderio degli studenti di varie parti d’Europa e crebbe basandosi sullo stretto legame con i docenti, sul rispetto delle donne e sulla lotta per la libertà di pensiero. Questo stesso spirito ha guidato anche Ikeda nella fondazione dell’Università Soka
Il poeta del Rinascimento italiano Ludovico Ariosto (1474-1533) scrisse nel poema epico Orlando furioso: Ah (dicea) valentuomini, […] ah compagni, ah fratelli, tenete il luogo vostro [Canto XVIII, n.d.r.]. Per difendere la dignità della vita umana, ci sono momenti in cui dobbiamo perseverare. Per permettere alla giustizia di trionfare, ci sono lotte che dobbiamo vincere a ogni costo.
L’Università di Bologna, la più antica del mondo occidentale, è una cittadella di saggezza e istruzione che le persone hanno costruito, protetto e difeso per oltre novecento anni.
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Una volta chiesi allo storico Arnold Toynbee (1889-1975), grande viaggiatore, quale fosse per lui la città ideale. Egli rifletté e rispose che riteneva fosse la città universitaria di Bologna.
Fu qui che studiarono Dante Alighieri (1265-1321) e l’astronomo Copernico (1473-1543). Parlando degli anni giovanili trascorsi in questa università, il poeta italiano Francesco Petrarca (1304-74) scrisse che Bologna era bella oltre ogni immaginazione, un luogo libero e indipendente dove gli studenti ricevevano una buona formazione e i professori insegnavano con passione.
Questa prestigiosa università è stata fondata nel 1088. All’inizio le lezioni venivano tenute in un angolo della chiesa locale o in stanze prese in affitto e gli studenti conducevano i loro dibattiti accademici nella piazza pubblica della città.
Visitai questo ateneo il primo giugno del 1994. Oggi gli studenti costituiscono circa un quarto della popolazione, che non raggiunge il mezzo milione. Nonostante l’università si sia sviluppata notevolmente, Bologna conserva ancora l’atmosfera di una città universitaria tradizionale con le sue strade fiancheggiate da case di mattoni rossi e da portici, mentre la torre pendente che Dante descrisse nella Divina Commedia svetta ancora nel cielo.
Durante la mia visita notai, nel corridoio che conduceva all’ufficio del rettore, una statua del giovane poeta Dante che riportava incisa la data dell’anno in cui era studente, il 1287. Erano passati cinque anni dalla morte di Nichiren Daishonin.
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Quando nell’aprile del 1989 incontrai per la prima volta a Tokyo l’allora rettore dell’ateneo bolognese, Fabio Roversi Monaco, gli chiesi quanti altri rettori avesse avuto l’università. Mi rispose con un sorriso che non poteva dirlo, ma sapeva di essere il trentesimo dalla riunificazione d’Italia. Il motivo per cui nessuno ne conosce il numero esatto, mi spiegò, era che l’ateneo nacque spontaneamente dalle scelte della gente, quando studenti da un capo all’altro dell’Europa, in cerca dei più eccellenti insegnanti e dell’opportunità di imparare, si radunarono a Bologna. Qui si unirono in corporazioni, a seconda del paese d’origine, allo scopo di proteggere i propri diritti. Di fatto, la stessa parola “università” deriva dal latino universitates, il nome dato a queste associazioni. In un certo senso il punto di partenza di studenti, professori e dell’istituzione accademica stessa è il desiderio di acquisire un’istruzione. Questo spirito di apprendimento è il cuore e l’essenza dell’insegnamento universitario.
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A Bologna, durante il Medioevo, erano gli studenti ad assumere i professori, ai quali non era consentito annullare le lezioni senza il loro permesso. Il programma di studio veniva discusso tra studenti e insegnanti e questi ultimi venivano sanzionati se violavano gli orari e il contenuto delle lezioni concordati o se non riuscivano a riunire il numero di studenti stabilito.
A quei tempi e fino agli inizi del diciassettesimo secolo, il rettore dell’università non era un rappresentante di facoltà, ma veniva scelto tra gli studenti. Era la loro passione per lo studio il fulcro della vita universitaria e della gestione dell’istituzione stessa. Questo metodo educativo migliora l’università, perché mentre gli studenti sono intenti ad acquisire conoscenza, anche i professori approfondiscono il loro sapere. Gli insegnanti esistono per il bene dei loro studenti. Il narratore e filosofo russo Dmitrij Merezkovskij (1866-1941) nel Romanzo di Leonardo da Vinci, fa dire all’artista rinascimentale che la poca conoscenza conferisce alle persone presunzione, mentre la grande conoscenza dona umiltà.
Petrarca scrisse: Gentile spirto, / non lassar la magnanima tua impresa (Canzoniere, 7).
Alcuni universitari alloggiavano nelle case dei loro insegnanti ed entrambi erano seriamente dediti ad apprendere. Gli studenti, pieni di ammirazione, chiamavano i loro professori “maestro” mentre questi ultimi si rivolgevano loro con la parola “amico”. In sostanza, ciò che permise a questa nobile madre delle università (Alma Mater Studiorum era il motto dell’Università di Bologna, n.d.r.) di resistere in un millennio turbolento fu il legame spirituale tra maestro e studente.
Questa relazione fra insegnante e allievo è il fondamento dell’educazione. Si tratta di una profonda interazione tra vita e vita, nella quale lo studente cerca di imparare e il maestro si impegna per rispondere a tale necessità. Nel discorso che ho tenuto in occasione della terza cerimonia di apertura dell’anno accademico dell’Università Soka nel 1973, intitolato “Essere individui creativi”, parlai dello spirito immutabile, tuttora vivo, dell’Università di Bologna. Impresa invisibile e tuttavia incomparabilmente nobile, l’educazione è ciò che permette la crescita di individui di talento disponibili a mettersi al servizio dell’umanità.
Per quanto mi riguarda, ho studiato a confronto diretto con il mio maestro Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, in quella che affettuosamente chiamo “l’Università Toda”. In seguito agli importanti insegnamenti ricevuti da quella scuola, fondata sullo spirito di unicità tra maestro e discepolo, ho iniziato a intraprendere dialoghi con personalità importanti di tutto il mondo. Prego che le nostre scuole Soka, in qualità di eredi di tale spirito, continuino a favorire la crescita di giovani campioni di pace e giustizia per il prossimo millennio.
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«Non siamo canne che si piegano al vento» dichiararono gli studenti dell’Università di Bologna nel tredicesimo secolo, rifiutando di sottomettersi al dominio del potere politico. Quando le autorità cittadine provarono a ridurre l’autonomia dell’università, gli studenti e il corpo docente abbandonarono Bologna e continuarono il loro percorso educativo altrove. Questo fu uno dei motivi grazie al quale nuove università si diffusero in altre città italiane.
La bandiera dell’Università di Bologna reca fieramente la parola latina Libertas. Lo spirito di libertà e d’indipendenza è la linfa vitale dell’istruzione. Con questa convinzione ho insistito a lungo affinché l’educazione venisse inserita come quarto pilastro di una nazione, separata e indipendente dai poteri legislativo, esecutivo e giuridico.
La Magna Charta delle università europee, adottata nel 1988 in occasione del novecentesimo anniversario della fondazione dell’Università di Bologna, riafferma vigorosamente anche l’importanza della libertà accademica. L’Università Soka è uno dei quattrocento atenei nel mondo ad aver firmato il documento innovatore in sostegno dei suoi nobili princìpi. Inoltre, ho profondamente apprezzato il fatto che la relazione di amicizia tra le nostre due università abbia consentito l’esposizione della collezione speciale dell’Università di Bologna presso il Fuji Art Museum di Tokyo nel 1989.
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L’Università di Bologna fu anche una delle prime ad ammettere le donne. Si narra che durante i primi anni di vita dell’istituzione accademica, le donne non solo insegnassero, ma tenessero anche lezioni pubbliche in tutta la città. Sembra che le studentesse siano state ammesse a partire dal dodicesimo secolo e che alla fine del diciottesimo le rappresentanti femminili all’interno della facoltà fossero numerose. Credo di non essere il solo che, intuitivamente, riconosce nel rispetto verso le donne una delle cause dello straordinario sviluppo dell’ateneo di Bologna.
L’università è la fortezza contro tutte le forme di barbarie e di violenza. Come dichiarò Leonardo da Vinci: «Colui che non la valorizza [la vita], non la merita».
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Il giorno che visitai l’Università di Bologna, nell’aula magna, costruita quasi quattro secoli prima, si radunarono il rettore, i vice rettori, i presidi di varie facoltà, un migliaio di studenti e d’invitati. C’erano anche i membri italiani della SGI e gli studenti della Università Soka che a quel tempo studiavano in Italia.
In quell’occasione fui onorato di ricevere l’anello dottorale. L’attestato donatomi portava una scritta in latino che significava: «In riconoscimento dei suoi instancabili sforzi per la creazione e protezione della pace e per promuovere il miglioramento della condizione umana». Ai tempi del Medioevo, l’anello d’oro veniva conferito al neo laureato come simbolo dell’unione con l’istruzione. Quel giorno, il rettore Roversi Monaco espresse nel suo commento: «L’Università di Bologna e l’Università Soka stanno avanzando verso un obiettivo comune. Se uniamo le forze, come fratelli, sono certo che saremo in grado di risolvere i problemi che l’umanità sta affrontando». È importante che le università di tutto il mondo si alleino e distillino la propria saggezza per creare un secolo di non violenza. La vera creazione di valore risiede nel vincere le sfide difficili.
Colmo di profonda stima per le grandi aspettative che l’Università di Bologna nutre verso l’Università Soka, quel giorno ho tenuto una lezione intitolata La visione universale di Leonardo e il Parlamento dell’umanità: riflessioni sul futuro delle Nazioni Unite (DU, 45, 4). In essa feci appello ai cittadini globali, come il grande Leonardo da Vinci, di fare la loro comparsa nel nostro mondo. Conclusi la mia lezione recitando alcuni versi della Divina Commedia di Dante, nei quali il suo maestro spirituale Virgilio esorta: Non aver tema […] fatti sicur, ché noi siamo a buon punto; / non stringer, ma rallarga ogni vigor (Purgatorio, IX, 46-48).
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I ritratti e i nomi di un gruppo di cittadini bolognesi decorano una parete del Palazzo Comunale. Sono in migliaia, rappresentano i partigiani della Resistenza italiana che sacrificarono la loro vita nella lotta contro il fascismo durante la Seconda guerra mondiale. Questi uomini erano contemporanei del fondatore della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi e del suo discepolo Josei Toda, i quali, a quel tempo, intrapresero in prigione una lotta incrollabile in nome delle loro convinzioni. Nei momenti cruciali, chi combatte con coraggio per la giustizia, adornerà la sua vita per sempre di gloria.
Il promotore dell’indipendenza e dell’unificazione d’Italia Giuseppe Mazzini (1805-72) scrisse: «Dovunque si migliori la natura umana, si ottenga una nuova verità, si avanzi lungo il sentiero dell’educazione, del progresso e della moralità, si segna un passo, un miglioramento che prima o poi produrrà dei frutti per tutta l’umanità».
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La Storia / L’università al femminile
L’Università di Bologna ammise le donne all’insegnamento nel XII secolo. La prima fu Bettisia Gozzadini, che teneva le sue lezioni anche nelle pubbliche piazze gremite. La tradizione parla anche di Accursia, figlia di un famoso giurista fiorentino, che avrebbe insegnato diritto. Nel 1300 si narra di Novella d’Andrea, che teneva le lezioni coperta da un velo per non distrarre gli studenti con la sua bellezza. Giovanna Bianchetti insegnò il latino, Bettina Sangiorgi e Teodora Crisolora il greco.
Nell’Europa del XVIII secolo le nuove idee dell’Illuminismo portano notevoli cambiamenti culturali. Gli antichi pregiudizi stavano mutando e in tutta Europa si discuteva dell’accesso delle donne alla cultura. Tra le più celebri insegnanti si ricordano Laura Bassi che nel 1733 ebbe la cattedra di filosofia e nel 1776 quella di fisica sperimentale e inoltre si occupò di logica, metafisica, filosofia, chimica, idraulica, matematica, meccanica, algebra, geometria, lingue antiche e moderne. Maria Gaetana Agnesi ebbe nel 1750 la cattedra di matematica e geometria analitica, nel 1760 Anna Morandi divenne modellatrice di cere anatomiche presso la cattedra di anatomia. Clotilde Tambroni ottenne nel 1791 quella di greco.