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"La grande montagna", puntate 7-12 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:32

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“La grande montagna”, puntate 7-12

«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

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«Se potessi, scriverei una lettera di apprezzamento e incoraggiamento a ognuno di voi. Ma sono una persona sola e c’è un limite fisico a quello che posso realizzare. Così ogni giorno scrivo una puntata de La nuova rivoluzione umana. È la mia lettera quotidiana a tutti voi» (D. Ikeda)

I volumi dal 24 al 30 sono pubblicati su www.sgi-italia.org/riviste/nr/

Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[7] Terminata la visita in India e a Hong Kong, la delegazione guidata da Shin’ichi arrivò all’aeroporto di Narita il 20 febbraio, alle 19.
Shin’ichi promise in cuor suo: «Le “sette campane” termineranno di risuonare presto e un nuovo cammino verso il ventunesimo secolo avrà inizio, scandito da periodi di cinque anni.
Ora è il momento di prendere una forte rincorsa per prepararsi a questa marcia! Per effettuare un nuovo decollo bisognerà partire con il motore al massimo e poi correre a tutta velocità. Per riuscirci dovrò evitare distrazioni e prestare la massima attenzione a ogni cosa. Mi dedicherò ancora di più a incoraggiare i membri affinché tutti possano, con la stessa mente, dare il via a un progresso pieno di speranza. Incontrerò più membri che potrò e trasmetterò con tutte le mie forze lo spirito Soka di dedicare interamente la propria vita a kosen-rufu!».
Il 21, giorno successivo al ritorno in Giappone, Shin’ichi si concentrò nell’elaborazione di uno scritto sulla sua visita in India richiestogli da vari quotidiani. Il 22, dopo aver incoraggiato delle persone venute dall’Europa del Nord, si diresse verso la prefettura di Chiba per dare guida ai membri, e il 25 fece delle foto ricordo con i compagni di fede delle prefetture di Yamanashi e Ibaraki che si erano riuniti al Centro culturale Soka di Shinanomachi. Successivamente, il 27, il fulcro delle sue attività si spostò nella prefettura di Kanagawa: partecipò a una recitazione delle responsabili di settore donne, presso il Centro culturale Shonan, dove guidò tre cerimonie di Gongyo per commemorare il sedicesimo anniversario della fondazione del capitolo Fujisawa.
Il giorno seguente partecipò a una duplice cerimonia di Gongyo per l’inaugurazione del Centro culturale di Odawara. Erano giorni in cui si dedicava all’attività correndo davvero senza posa, a più non posso.
In quel periodo, in numerose località del Giappone i preti della Nichiren Shoshu stavano ripetutamente attaccando la Gakkai. Shin’ichi non faceva che pensare e ripensare ai possibili modi di proteggere i membri.
In una riunione dei responsabili tenutasi il 7 novembre dell’anno precedente per celebrare il quarantottesimo anniversario della fondazione della Gakkai, era stato ribadito il concetto dell’armoniosa unità tra preti e laici, e la questione con il clero avrebbe dovuto essere risolta.
Tuttavia, subito dopo quella riunione, alcuni settimanali pubblicarono articoli scandalistici col deliberato scopo di insinuare che la volontà di riconciliazione della Gakkai fosse una messinscena.
Dietro tutto ciò si tramavano in realtà subdoli complotti che miravano ad alimentare gli attacchi alla Gakkai.
Sono le vette più irte e scoscese quelle intraprese dai coraggiosi leoni Soka.

[8] I preti cercavano disperatamente di trovare un qualunque argomento per attaccare la Soka Gakkai. All’inizio dell’anno, facendo riferimento all’appello lanciato dai responsabili studenti di voler dimostrare che la Gakkai è un’organizzazione che agisce in difesa della giustizia, cominciarono a dire che la Gakkai non si era affatto pentita delle sue presunte colpe.
In seguito, il 28 gennaio, presso il tempio principale si tenne la seconda riunione generale nazionale dell’organizzazione clericale (danto), a cui parteciparono duecentotrenta preti e circa cinquemila seguaci affiliati ai templi. In quell’occasione i preti assunsero una posizione di aperto contrasto nei confronti della Gakkai, dichiarando unilateralmente che essa offendeva la Legge e che, a causa di tali offese, non si poteva giungere a soluzioni di alcun genere. Ciononostante la Gakkai, al fine di sostenere l’armoniosa unità tra preti e laici, continuava a mantenere nei confronti del clero un atteggiamento di pazienza e tolleranza.
In tali circostanze, verso l’inizio di marzo il vicepresidente Eisuke Akizuki ricevette una comunicazione da parte del monaco portavoce del patriarca: «Il vicepresidente Genji Samejima è intervenuto in diverse occasioni a proposito della questione del clero e della Gakkai.
Quando siamo venuti a conoscenza dei contenuti dei suoi discorsi, il patriarca per primo, e noi tutti, siamo rimasti esterrefatti. Nel presente documento le sottoponiamo pertanto una serie di domande e attendiamo risposta».
Il problema citato dai preti era sorto a partire da alcune irresponsabili affermazioni che Samejima aveva fatto nel corso di una riunione organizzata il 6 marzo a Omuta, nella prefettura di Fukuoka, allo scopo di individuare soluzioni per armonizzare le relazioni tra la Gakkai e il clero.
Fino ad allora, già tante volte egli aveva fatto soffrire con parole e azioni irragionevoli i membri del Kyushu che coltivavano invece una fede pura e sincera. In quella riunione Samejima fece affermazioni del tipo: “Il tempio principale è come un’industria alberghiera” o “Le critiche dei preti alla Gakkai non sono altro che sospetti infondati, suscitati dalla loro gelosia”.
Non solo, ma si esaltava dichiarando che quelle sue opinioni personali erano condivise da tutti i vicepresidenti della Gakkai.
Quelle affermazioni trasmesse ai preti avevano scatenato il finimondo.
E così, a causa delle espressioni insolenti di Samejima, alla Gakkai giunsero due questionari, dall’ufficio amministrativo e dall’ufficio affari interni del clero. Nichiren Daishonin scrive: «La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina» (Gosho di Capodanno, RSND, 1, 1008). L’arroganza e la negligenza causano la sfortuna e la rovina personale. Non solo. Sono anche la causa della rovina di kosen-rufu. Quelle parole estremamente imprudenti pronunciate da un unico responsabile, divennero materiale ideale per essere utilizzato dai preti per attaccare la Gakkai e assoggettare i fedeli. La traversata di kosen-rufu avviene sempre su un mare in burrasca.

[9] Essendo Genji Samejima un vicepresidente della Soka Gakkai, gli attacchi del clero si diressero tutti verso il presidente Yamamoto. I preti sparsero la voce che, come appariva chiaramente dalle affermazioni di Samejima, né la Gakkai né il presidente Yamamoto davano segni di ravvedimento, e che non avevano la benché minima intenzione di proteggere il clero.
La Gakkai cercava faticosamente di risolvere la questione, ma tutti gli sforzi che in buona fede aveva accumulato erano andati in fumo. Shin’ichi ricopriva la carica di sokoto (responsabile di tutte le organizzazioni laiche della Nichiren Shoshu, n.d.r.), ma nel clero c’era chi riteneva che bisognasse costringerlo a dimettersi. Alcuni preti avevano anche inviato alla Gakkai delle lettere di protesta. Inoltre, verso la fine di marzo, l’unione delle organizzazioni laiche della Nichiren Shoshu convocò un consiglio d’urgenza che prese la decisione di spingere il presidente Yamamoto a dimettersi dall’incarico di sokoto, a cui seguì la lettera ufficiale che ne riportava la richiesta.
I membri danto che si erano staccati dalla Gakkai cominciarono ad agitarsi e sostenere che il presidente Yamamoto avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di quanto accaduto e lasciare l’incarico.
I ciliegi in piena fioritura ondeggiavano alla brezza primaverile. Il 2 aprile era l’anniversario della morte di Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai.
Quel giorno, ventuno anni dopo la sua scomparsa, alla sede centrale della Gakkai e nei Centri culturali principali di ogni prefettura, vennero organizzate delle cerimonie di Gongyo. Shin’ichi guidò una di queste cerimonie alla sede centrale nel quartiere di Shinanomachi, a Tokyo, a cui parteciparono il direttore amministrativo, Kiyoshi Jujo, il vicepresidente Eisuke Akizuki e i familiari di Toda. L’anniversario della morte del suo maestro era giunto in quelle tumultuose circostanze. Ma nel cuore di Shin’ichi, che aveva realizzato tutti i progetti di Toda, si estendeva un cielo intensamente azzurro. Come discepolo, non vi era una sola nuvola che oscurasse il suo passato.
Un autentico discepolo dialoga sempre serenamente nel cuore con il suo maestro.
Si avvicinava il momento in cui la settima delle “sette campane” decise dal maestro avrebbe smesso di risuonare. Il grande fiume di kosen-rufu aveva cominciato a sfociare nell’oceano del mondo intero. Gettate le solide fondamenta che le permettevano di ergersi verso il ventunesimo secolo, l’organizzazione stava entrando in una nuova fase.
Shin’ichi rifletté con forza che doveva prepararsi all’idea che quanto più il movimento di kosen-rufu avanza, tanto più le funzioni demoniache si sarebbero manifestate con violenza.

[10] Durante la cerimonia di Gongyo in memoria del maestro Toda, nella mente di Shin’ichi riaffiorò il volto del suo maestro che lo guardava. La sua voce risuonava chiara dentro di lui: «Shin’ichi, affido a te le sorti di kosen-rufu nel mondo. Non aver paura! Avanza maestosamente lungo la strada della tua missione!». A quelle parole egli sentì sorgere dentro di sé il coraggio, mentre la forza riempiva tutto il suo corpo.
«Io sono il discepolo del maestro Toda! – pensò tra sé -. Sono il cucciolo del re leone che si è alzato da solo per kosen-rufu! Sono fermamente deciso a trasmettere in modo puro lo spirito del Buddismo di Nichiren Daishonin e della Soka Gakkai, qualsiasi cosa accada. Lotterò per proteggere fino in fondo i membri, che sono i nobili figli del Budda».
Al termine della cerimonia commemorativa, Shin’ichi fece ritorno a casa e si mise a riflettere sui problemi sorti con i preti.
Fino a quel momento la Soka Gakkai aveva sempre protetto il clero che, grazie a quel sostegno, aveva potuto prosperare enormemente negli anni. Essa aveva riversato tutte le forze nel promuovere ampiamente il Buddismo nella società mirando alla realizzazione di kosen-rufu. Ciononostante, i preti avevano sempre guardato in modo sprezzante la Soka Gakkai sostenendo che essa trasgrediva gli insegnamenti del Daishonin e stava commettendo delle offese alla Legge, e avevano continuato ad attaccarla cercando il pretesto in ogni piccola parola proferita.
Nel loro atteggiamento non vi era la minima traccia di compassione.
Di fronte a tale prepotenza, i nostri compagni, tenendo a freno lacrime amare, avevano sopportato con infinita pazienza.
Pensando a tutto ciò Shin’ichi non poteva star fermo a guardare. La Soka Gakkai, che aveva a cuore l’armoniosa unità fra preti e laici, aveva fatto tutti gli sforzi possibili per proteggere i compagni di fede nel tentativo di riportare la situazione alla normalità. Per questo aveva prestato ascolto alle richieste dei preti e le aveva assecondate, tuttavia essi avevano continuato con insistenza ad attaccare la Soka Gakkai.
Nel clero era profondamente radicata la concezione secondo cui i preti erano superiori e i laici subalterni, un retaggio dell’antico sistema di affiliazione ai templi1.
Fin dalla fase pionieristica della Soka Gakkai, infatti, c’erano stati frequenti casi in cui i preti, abusando dell’autorità dell’abito, avevano causato sofferenze ai membri, i figli del Budda. Tutto ciò era contrario allo spirito di Nichiren Daishonin. Come evidenzia chiaramente il Gosho: «In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myohorenge-kyo con lo spirito di “diversi corpi, stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro» (RSND, 1, 190), preti e laici sono originariamente tutti uguali, senza alcuna distinzione. Questo è il suo insegnamento. Il Buddismo del Daishonin mira ad abbattere qualsiasi barriera di discriminazione e afferma l’assoluta uguaglianza tra tutti gli esseri umani.

[11] Nichiren Daishonin rivelò chiaramente che tutti gli esseri umani indistintamente possiedono la natura di Budda e indicò all’umanità la via per il conseguimento della Buddità, la via per erigere una condizione di felicità assoluta. Insegnò quindi il principio buddista che sottende concetti quali la dignità della vita e l’assoluta uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Perciò il Buddismo rappresenta un fondamento universale, la base per costruire la pace per l’umanità.
Shin’ichi percepiva la terribile natura demoniaca che si annidava dietro l’atteggiamento dei preti di voler avere il dominio sui fedeli.
Anche durante la guerra, quando ci fu l’unificazione delle scuole religiose attorno allo shintoismo e il clero accettò di venerare il talismano shintoista, il primo e il secondo presidente, Makiguchi e Toda, portarono fino in fondo la loro lotta per l’affermazione della giustizia del Buddismo originale, e per questo vennero incarcerati sotto la repressione del governo militarista. Makiguchi morì in carcere, e i preti infierirono assumendo provvedimenti deprecabili, come proibire ai membri della Soka Gakkai l’accesso al tempio principale.
Ciononostante, nel dopoguerra la Soka Gakkai, ritenendo che ciò fosse funzionale alla realizzazione di kosen-rufu, continuò a proteggere il clero mostrando sempre la massima lealtà. I preti, che si fanno chiamare discepoli di Nichiren Daishonin, hanno perseguitato la Soka Gakkai che ha continuato senza sosta nella sua pratica di non lesinare la vita per la propagazione della Legge, secondo il mandato di Nichiren Daishonin, il primo patriarca.
Sicuramente circostanze inimmaginabili devono essersi susseguite fin dai tempi della Soka Kyoiku Gakkai, ma alla luce del Buddismo tutto viene fuori chiaramente. In un passo del Gosho il Daishonin scrive: «Né i non buddisti né i nemici del Buddismo possono distruggere il corretto insegnamento del Tathagata, ma i discepoli del Budda possono senza dubbio farlo. Come dice un sutra, solo i vermi nati dal corpo del leone stesso possono cibarsene» (RSND, 1, 267).
Il Daishonin insegna che non saranno le persecuzioni da parte di non buddisti che offendono la Legge o di uomini malvagi a distruggere il Buddismo, ma le azioni dei discepoli stessi del Budda possono farlo.
Come afferma il Sutra del Loto: «Demoni malvagi si impossesseranno di altre persone», il re demone del sesto cielo si impossessa del corpo dei preti portando scompiglio tra le persone. Accade così che individui che si presentano sotto l’aspetto di preti ostacolino il progresso di kosen-rufu calpestando lo spirito di Nichiren Daishonin. Anche ai tempi di Toda la Gakkai ha terribilmente sofferto a causa di assurdi attacchi.
Shin’ichi ricordò le severe parole di Toda: «Senza la Soka Gakkai, kosen-rufu non può avanzare. Cercare di distruggere la Soka Gakkai che mira a creare unità fra preti e laici, significa ostacolare il progresso di kosen-rufu».

[12] Mentre affrontava di volta in volta le problematiche più urgenti, Shin’ichi puntava il suo sguardo verso l’imponente cammino di giustizia della Soka.
«In questo momento, la mia priorità assoluta è porre fine ai crudeli attacchi da parte dei preti e proteggere i membri. A tale scopo la Gakkai ha continuato nel tempo ad accettare ogni richiesta scendendo a compromessi con il clero».
Tutte le volte che veniva a sapere delle spietate sopraffazioni inflitte dai preti ai membri nelle varie località del Giappone, Shin’ichi si sentiva trafiggere il cuore di dolore. Ai suoi occhi gli apparivano i volti dei compagni di fede che soffrivano e si disperavano, e alle sue orecchie giungevano le loro grida di dolore ed esasperazione. Tutti gli sforzi accumulati per sottrarsi a tale situazione erano andati in fumo a causa delle parole del vicepresidente Genji Samejima.
«Dovrò proteggere assolutamente la Gakkai, che il maestro Toda riteneva più importante della sua stessa vita, così come i suoi membri. Ma in che modo?».
Egli non aveva alcun timore di esporsi per proteggere i suoi amati compagni, anche se ciò poteva avere per lui dolorose conseguenze. Aveva preso la ferma decisione di assumersi da solo l’intera responsabilità in qualunque circostanza. Quella era la promessa a cui aveva tenuto fede fin dal suo insediamento a terzo presidente.
In quel periodo la Gakkai poteva affermare di aver raggiunto una condizione altamente favorevole.
In Giappone aveva raggiunto i vertici del mondo religioso, acquisendo una salda e autorevole posizione come organizzazione dedita alla pace.
Inoltre, la rete di compagni di fede che affondava profonde radici tra la gente comune, si era estesa sull’intero pianeta. Lo studio del Buddismo del Daishonin era penetrato nella società e aveva consentito di formare persone di grande valore che, con una profonda consapevolezza della propria missione per kosen-rufu, contribuivano alla collettività in svariati campi.
Il movimento Soka basato sull’insegnamento buddista, aperto alla società, con il suo vasto campo d’azione nel promuovere i valori della pace, della cultura e dell’educazione, era altamente apprezzato e otteneva riscontri e ammirazione sempre più vasti.
Come il culmine di un’alta marea, nel 1979 la Gakkai festeggiava l’importante punto di svolta del completamento del ciclo delle “sette campane”. Shin’ichi era orgoglioso di poter trasmettere in qualsiasi momento resoconti di vittoria al suo maestro Josei Toda. La sua determinazione a rispondere alle aspettative del maestro era la forza che lo spronava all’azione.

(continua)

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