In un passo del Sutra del Loto si legge che è «il più difficile da credere e il più difficile da comprendere». Molti vengono a conoscenza di questo sutra e lo accettano ma, quando sorgono grandi ostacoli, proprio come gli era stato annunciato che sarebbe accaduto, pochi lo ricordano e lo tengono bene in mente. Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede.
tratto dalla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 417
Vivere mi appassiona
Quando, a sedici anni, mi parlarono della pratica buddista, ebbi un attacco di rabbia e mi offesi all’idea che un’amica potesse propormi una frase per diventare felice. Già era impossibile credere che una frase rendesse felici e poi che potesse funzionare con me, anima tormentata in assoluto, era un’assurdità. La mia situazione famigliare era stata sin da piccola così angosciosa che mi aveva lasciato dentro un dolore continuo. La mia condizione vitale di base era l’Inferno. Mi sentivo disperata, minacciata e costantemente in pericolo. Avevo paura. Sempre. Ma non lo sapevo. Ricordo che non avevo mai la sensazione di sentirmi al sicuro, tanto meno di sentirmi “a casa”. Essendo spaventata, aggredivo. In quel momento non riuscii né a credere né a capire quello che la mia amica mi stava cercando di trasmettere. Comunque qualcosa mi rimase dentro.
Qualche anno più tardi cominciai a praticare seriamente, avendo ottenuto una prova per me certa del potere della preghiera. Decisi di non smettere mai più. Sono passati sedici anni e così è stato. Ho affrontato problemi e sofferenze di ogni tipo, interiori e materiali. Con una pratica costante e ostinata ho costruito la pace tra me e i miei genitori, affrontando l’assenza e la follia di mia mamma e i conflitti con mio padre. Ho lottato con gravi difficoltà economiche e la mancanza di lavoro. Con sofferenze laceranti nelle relazioni e tormenti esistenziali. Ho vissuto la morte dei miei genitori sempre recitando Daimoku e leggendo il Gosho. Ho affrontato separazioni e conflitti. Trasformando sempre il dolore in crescita.
Ci sono stati momenti in cui mi incoraggiava solo la frase del mio maestro quando scrive “ho affrontato cose per cui altri sarebbero impazziti” e certe volte davvero temevo che sarebbe stato così. Molte volte ho invidiato i miei amici che vivevano vite “normali”, non tormentate come la mia. Mi sono sentita “diversa” per questo, ma anche fortunata ad avere incontrato il Buddismo così presto. Ormai mi era chiaro che senza non sarei sopravvissuta. Quindi non sono mai tornata indietro. Spesso ci sono state persone che mi hanno incoraggiata e quando non c’erano leggevo il Gosho e gli scritti del presidente Ikeda. Gli eventi incalzavano così veloci e sconvolgenti che cominciai a decidere ogni giorno durante Gongyo di non smettere mai di praticare. Avevo capito che non è così scontato continuare.
Oggi penso che sono stata tanto fortunata ad avere avuto tutti quei problemi, questo mi ha permesso di approfondire e sperimentare moltissimo. Ho costruito un carattere, un’etica, un rapporto con la vita basato sul Daimoku. Ho un fantastico lavoro, una fitta rete di relazioni magnifiche e profonde, una famiglia così assortita e felice che nemmeno potevo immaginare. Casa mia è “casa” e non solo per me, e vivere mi appassiona e mi diverte.
In tutto questo lottare senza sosta, certe volte senza respiro, la cosa più importante, il beneficio straordinario, quello eterno, è ciò che è accaduto dentro di me. In passato quando leggevo questa frase di Gosho pensavo che i conti si fanno alla fine, sì insomma, che avrei lottato tutta la vita senza tregua e poi da anziana avrei fatto un bilancio e mi sarei detta che ne era valsa la pena. Per me la prova del nove veniva alla fine, facendo i conti con la morte. Per il resto della vita mi “accontentavo” di avere uno strumento con cui lottare senza soccombere. Non consideravo di poter essere felice. Invece la meraviglia è stata scoprire che questa incessante lotta contro l’oscurità ha dato frutti inimmaginabili e precoci. Forse senza nemmeno che me ne accorgessi, tutto il Daimoku recitato sempre, il costante desiderio di riuscire a tenere il cuore aperto agli altri, la ricerca continua di mettere in pratica le parole di Ikeda e porre il mio sguardo sul mondo usando i princìpi buddisti come occhiali, hanno trasformato la mia esistenza profondamente, ma così profondamente che io non avrei mai potuto immaginare, sperare, credere.
Lo stato vitale più nobile si è fatto strada in me diventando forte, vivace, sempre più facilmente accessibile. Nell’ultimo anno questo infinito beneficio si è manifestato in modo evidente con uno stato di gioia, leggerezza e al contempo profondità e intensità, mai provati. La meravigliosa sensazione di stare in un ritmo che comprende tutto.
Mi dicevo che questo forse era possibile perché per la prima volta non avevo grossi problemi. Finché di fronte a una notizia negativa e assolutamente imprevedibile, che mi poneva in una situazione di rischio e che nel passato mi avrebbe spaventata molto… ecco, proprio in quel momento, mentre mi comunicavano la notizia, nel mio cuore una gioia infinita, una gratitudine calda e assoluta, una dolcezza di sentire, un orgoglio di vivere come desidero, una promessa serena al mio maestro, una certezza di essere al sicuro. Sì al sicuro. Perché in me c’è l’universo e nell’universo ci sono io. Camminavo e questo stato di assoluta felicità non mutava, era quasi solido dentro il mio cuore. Tutto così chiaro. Nessuna paura. Nessun tormento. Nella mente non dubbi, ma frasi di Gosho che affioravano come fiori di loto per rendere ancora più chiaro e inequivocabile quell’essenziale lungo momento: «Così, infine, ti hanno attaccato» (La strategia del Sutra del Loto, RSND, 1, 888); e poi: «Quando la pratica progredisce e aumenta la conoscenza, i tre ostacoli e i quattro demoni emergono in maniera disorientante, facendo a gara per interferire» (Lettera ai fratelli, RSND, 1, 446) e infine: «Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede». Era semplicemente quello che stavo vivendo, quella gioia e l’assenza di paura erano la promessa del Gosho. Che felicità!
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In questo brano…
Nel 1275 Nichiren scrive questa lettera a Shijo Kingo, che in quel momento stava subendo forti pressioni sia da parte del suo signore, Ema, che gli aveva intimato di abbandonare la fede, sia da parte di altri samurai del feudo che attentarono più volte alla sua vita. Egli si convertì intorno al 1265, più o meno nello stesso periodo dei fratelli Ikegami, anche loro destinatari di numerosi Gosho. Kingo seguiva il Buddismo del Daishonin da circa dieci anni quando ricevette questa lettera.
Nissho, uno dei sei preti anziani, riferisce al Daishonin che Shijo Kingo si stava chiedendo di come fosse possibile incontrare così grandi difficoltà quando nel Sutra del Loto si legge che «coloro che abbracciano questo sutra godranno di pace e sicurezza nell’esistenza presente e nasceranno in circostanze favorevoli nelle successive». Nichiren, dopo aver chiesto conferma di questo a Kingo, cerca di sciogliere ogni suo dubbio al riguardo, senza giudicarne minimamente la fede, sottolineando di non dare mai niente per scontato. Infatti, anche se abbiamo superato in passato grandi ostacoli grazie a una profonda fede, non è detto che si possano superare automaticamente tutte le difficoltà che viviamo ora. La fede va sempre approfondita e rinnovata e lo invita quindi a rafforzare sempre di più la sua convinzione nella Legge. Il Daishonin a conclusione di questo Gosho gli scrive: «D’ora in avanti, ricorda sempre le parole: “Questo sutra è difficile da sostenere”».
Nichiren Daishonin indirizzò a Shijo Kingo trentasette Gosho.