Ogni anno Daisaku Ikeda invia alle Nazioni Unite una proposta per tracciare il quadro della situazione mondiale, individuare i punti critici e proporre soluzioni per realizzare la pace tra i popoli. Dall’intervento fatto al corso nazionale della Divisione donne, pubblichiamo una sintesi nella quale si evidenzia uno degli argomenti portanti della Proposta di pace 2009: il dialogo come mezzo per superare le barriere fra le persone. Nel mondo che viene disegnato «la competizione rimane ancorata alla solida realtà dei valori umani» e può guidare le persone verso uno sviluppo che non renda mai astratto il nostro prossimo
La Proposta di pace è lo strumento che Daisaku Ikeda ha individuato per parlare di Buddismo sia ai governi sia ai popoli, e per trasmettere in termini accessibili a tutti la visione dei nostri fondatori, in particolare quella della “competizione umanitaria” formulata da Makiguchi e gli appelli di Toda per impegnarsi a sradicare la miseria e la guerra dal pianeta. Attraverso l’osservazione della realtà egli vuole indurre gli esseri umani a impegnarsi in una riflessione che li porti a riconoscere che l’universo è regolato dalla legge di causalità e di interconnessione tra tutti i fenomeni.
La nuova Proposta di pace prende avvio dall’esame della grave crisi economico-finanziaria mondiale. Ikeda si riallaccia al tema affrontato nella precedente Proposta di pace, il fondamentalismo, cioè un esasperato attaccamento a unico punto di vista. Il fondamentalismo conduce a una visione distorta della realtà che può orientare le scelte a livello globale, fino a produrre danni irreversibili per il genere umano. Nello specifico dell’economia, Ikeda aveva fatto riferimento alle conseguenze pericolose che potevano essere determinate dall’attaccamento integralista a un’unica concezione economica, fosse essa marxista o liberista. Dopo il crollo dei regimi comunisti, il liberismo economico, attuato senza freni e senza controlli, ha finito col far prevalere i valori dell’interesse e del profitto sopra ogni cosa, a scapito della tutela dei più deboli e del valore stesso dell’umanità, conducendo infine a un culto patologico del denaro che ha causato, tra gli ultimi più evidenti guasti, l’attuale crisi economica.
Ikeda individua la radice della crisi nel culto insano del denaro, che – da mero valore di scambio di prodotti e servizi – si è imposto come valore in se stesso, in quanto segno astratto e immateriale di ricchezza. In sostanza i mercati finanziari, che avevano la funzione di sostenere e agevolare le altre attività economiche, hanno assunto un ruolo centrale, e l’accumulo di profitti finanziari privo dell’analisi delle conseguenze è diventata una prassi comune.
L’astrazione alimenta l’odio
Già in passato Ikeda aveva evidenziato che uno dei caratteri dell’approccio fondamentalista è stabilire princìpi e regole astratte per risolvere i problemi, regole cui viene data la priorità assoluta, sino al punto di attribuire loro un’importanza maggiore che alle persone stesse. La pericolosità di questa deriva fondamentalista è ripresa attraverso Lo spirito di astrazione, fattore di guerra, un saggio del filosofo francese Gabriel Marcel (1889-1973). Egli sostiene che, considerando ogni persona singolarmente, ne vediamo le caratteristiche uniche, le potenzialità e i difetti; se invece scivoliamo nel pensiero astratto tendiamo a creare delle categorie: il fascista, il comunista, il nero, il bianco ecc. A quel punto il singolo individuo è completamente assorbito dall’appartenenza a una categoria, è ricondotto a un concetto astratto e può quindi diventare un bersaglio impersonale. Attraverso lo spirito di astrazione, si può giungere a legittimare la guerra in senso tecnico, contro una categoria di persone. Lo spirito astratto è infatti sempre collegato a un sentimento di rifiuto, di risentimento o di disprezzo, finalizzato a trasformare le persone in oggetti inferiori e pericolosi, che è giusto colpire. Anche questa crisi finanziaria è frutto dello spirito di astrazione, perché il denaro si è imposto come idolo, spingendo il genere umano a una corsa sfrenata all’accumulazione e rendendo tutti gli esseri umani esemplari di homo economicus, vale a dire uomini che riconoscono al denaro il valore più alto. Secondo questa concezione si è bravi e vincenti solo se si possiedono denaro e potere, mentre il rischio più grave è subire una perdita economica. Questa concezione è attualmente l’asse portante della nostra società.
Il paradosso è che siamo entrati in contraddizione con noi stessi, in quanto abbiamo due scopi contrastanti: come consumatori/investitori miriamo a realizzare grandi affari, e come cittadini disapproviamo le conseguenze sociali che ne derivano. Ossia come consumatori/investitori ci gratifichiamo a scapito di noi stessi come cittadini.
Ciò accade perché, in quanto “uomini economici”, gli interessi del capitalismo hanno la precedenza sugli interessi della democrazia e addirittura su quelli della salute e dell’ambiente, e quindi della vita stessa. La nostra è dunque una visione schizofrenica e distorta della vita. La sfida è ritrovare un equilibrio nuovo fondato sulla nostra umanità.
La crisi finanziaria è solo un segnale della nostra cecità e dell’illusorietà della fede cieca nel capitalismo come sicuro sistema produttore di benessere per la popolazione. Ciò che dovrebbe veramente essere misurato non è il PIL, ma il grado di felicità di un popolo. Inoltre anche il modo in cui creiamo benessere è cruciale: non è accettabile produrre ricchezza sfruttando altri esseri umani o l’ambiente. Sfruttare significa infatti impossessarsi delle risorse di qualcun altro fino al punto di annientarlo.
Ikeda ripropone allora come metodo alternativo alla competizione capitalistica la competizione umanitaria. Mentre l’ideologia e il denaro sono valori astratti che hanno un effetto corrosivo sulle persone reali, le cose veramente importanti, afferma Ikeda, sono sempre alla nostra portata, nel nostro stesso ambiente. Si tratta di sviluppare un nuovo tipo di immaginazione e di approccio alla vita che si basi sull’interconnessione e non sulla separazione tra tutti i fenomeni, sull’altruismo solidaristico e non sull’egoismo. È necessario sviluppare una profonda sensibilità verso i nostri vicini e la vita stessa. Chi sviluppa queste capacità sente vicini non solo gli amici intimi, ma tutti gli abitanti del pianeta e, inevitabilmente, ha in odio la guerra.
Nel dialogo tutti escono vincitori
Lo strumento per sviluppare un sentimento di interconnessione con tutti gli esseri viventi è il dialogo. Dobbiamo agire per fermare la spirale di violenza e odio e far crescere una solida e diffusa cultura di pace, affinché ogni essere umano possa godere del suo diritto a vivere in pace e con dignità. Così ha fatto Ikeda all’epoca della Guerra Fredda, recandosi più volte in Cina, URSS e USA, come privato cittadino, al fine di allentare il clima di tensione fra questi paesi.
L’unico modo per creare una nuova era è dialogare anche con i fondamentalisti avendo fiducia nella comune umanità. Il fondamentalismo tende a legittimare l’uccisione di altri uomini come mezzo per raggiungere “scopi più elevati”, ma la semplice denuncia non è sufficiente, occorre dimostrare che esistono delle alternative e metterle in pratica.
Nel dialogo con Ikeda, scrive Johan Galtung: «Dobbiamo renderci conto che i fondamentalisti prendono con molta serietà i loro valori, quindi è necessario non trattarli con indifferenza o superficialità, ma dimostrare come possano coniugarsi serietà e non violenza […] il fondamentalismo è un grido che chiede di essere ascoltato e a cui si deve rispondere prestando attenzione […] del resto il dialogo con loro è fondamentale se vogliamo una società globale in cui coesistano attivamente forze e valori molto diversi tra loro». E Ikeda risponde: «Predicare la nonviolenza è facile, ma crederci abbastanza da progettare modi attuabili per farla funzionare è molto difficile». Gandhi è riuscito a praticare la nonviolenza con due armi molto potenti: l’ottimismo e l’immaginazione. Per dare vita a un dialogo costruttivo è indispensabile evitare le dicotomie (bene/male, destra/sinistra, vero/falso); poi occorre cercare ostinatamente gli elementi positivi, costruttivi e comuni, senza ignorare i lati oscuri e disarmonici. È necessario essere realisti nella mente e ottimisti nel cuore, mantenendo viva la fiamma dell’idealismo.
Scrive Ikeda a questo proposito: «Le persone che non riescono a sviluppare un idealismo umanistico che trascenda il realismo, non possono contribuire al progresso dell’umanità».
La prima battaglia da affrontare è quella interiore contro il pessimismo. Poi è necessario imparare a comunicare: nel dialogo sono necessari il desiderio di comunicare, la sincerità e il buonumore. Il dialogo è l’opposto del dibattito, dove ci sono vincitori e vinti: una parte trionfa sull’altra facendola cadere in contraddizione. Invece il dialogo è generoso e aperto, promuove l’arricchimento reciproco e produce solo vincitori.
Nel dialogo è indispensabile l’ottimismo, coltivare la certezza che possieda un valore intrinseco, a prescindere dall’esito che avrà, perché nasce dalla fiducia nella comune natura umana.
Occorre partire dal presupposto che il male è inerente alla natura umana e il male più grande è non riconoscere il valore della vita. La violenza ha origine da questa idea di “non valore”. Di conseguenza l’impegno per la pace passa inevitabilmente attraverso la lotta interiore e tenace tra energie positive e negative. L’unico modo per far vincere il dialogo è continuare ad avere fiducia nella comune umanità.
Arnold Toynbee sosteneva che le civiltà hanno un ciclo di vita che dura circa ottocento anni e segue schemi ciclici nella storia. L’unico fenomeno umano che si sottrae a uno schema prestabilito è quello che si manifesta nel contatto tra personalità diverse, perché dagli incontri tra esseri umani nasce una creatività imprevedibile.
Se quindi rimaniamo confinati e chiusi negli schemi fissi di una certa ideologia o religione o cultura – imprigionati nello spirito di astrazione – saremo alla mercé di un movimento ciclico di flussi e riflussi, senza alternative. Se invece ci impegniamo nel dialogo con altri individui, svilupperemo una creatività che ci renderà capaci di provocare «profondi e lenti movimenti di cambiamento, che creano veramente la storia umana».
Questa convinzione ha sempre animato i dialoghi che Ikeda ha condotto con i leader di tanti paesi. La Soka Gakkai giapponese è nata nel 1930, durante la grande depressione e la SGI è stata fondata nel 1975, in un altro periodo di crisi economica. Da allora ci impegniamo basandoci sulla competizione umanitaria, sostenendo l’ONU, per sradicare la guerra e la fame dal mondo. In questo modo ci siamo sviluppati in 192 paesi, mettendo in pratica le indicazioni di Makiguchi e Toda.
Riferimenti bibliografici:
Daisaku Ikeda, Proposta di pace 2009 in: Buddismo e società, 134, pagg. 27-67
Johan Galtung-Daisaku Ikeda, Scegliere la pace, esperia, 1996
Arnold Toynbee-Daisaku Ikeda, Dialoghi, Bompiani, 1988