La vera trasformazione e la strada della guarigione si sono aperte quando ho rafforzato la fede, quando ho percepito chiaramente che la malattia di mia madre era l’occasione per trasformare la causa profonda che guida le mie azioni e decisioni
Ho trentadue anni, sono originaria di Napoli ma vivo in provincia di Verona da dieci anni. Mi è stato affidato il Gohonzon nel 2002 e da allora, insieme a mio marito, ho fatto molte esperienze. Qui vorrei raccontare l’esperienza dell’ultimo anno e mezzo perché ho l’impressione di aver cominciato a praticare proprio per affrontare questa lotta, anche se ovviamente all’inizio non lo sapevo. Mia madre soffre di una malattia mentale da venti anni e nonostante questo per me e mia sorella è stata una madre fantastica, ci ha cresciuto e guidato con saggezza e amore, ci ha protetto dalle difficoltà, facendoci diventare donne forti e indipendenti.
Negli ultimi anni la sua condizione è peggiorata, le cure hanno cominciato a dimostrarsi inefficaci ad arginare le crisi sempre più lunghe e violente che la trascinavano in un abisso di allucinazioni e sofferenza, annullando quasi del tutto la sua personalità e rendendola in pratica un’estranea ai nostri occhi, per giunta pericolosa soprattutto per se stessa. Per molto tempo ho pensato alla malattia di mia madre come a qualcosa di esterno e separato da me, come qualcosa di cui ero solo vittima incolpevole. Per molto tempo non ho creduto che la malattia mentale di mia madre fosse profondamente collegata alla mia vita. Per molto tempo ho cercato di convincerla a praticare e mi arrabbiavo con lei perché non sceglieva questa strada verso la felicità. Ma in tutto questo tempo nulla è cambiato veramente, nonostante gli sforzi e le cure. La vera trasformazione e la strada della guarigione si sono aperte quando ho rafforzato la fede, quando ho percepito chiaramente che la malattia di mia madre era l’occasione per trasformare la causa profonda che guida le mie azioni e decisioni; quando ho smesso di aspettare che lei cominciasse a praticare e ho invece praticato io credendo fermamente, come spiega il Buddismo, che i benefici della mia fede condurranno i miei genitori sul sentiero della Buddità.
Nel 2007, avendo interrotto completamente l’assunzione dei farmaci, i comportamenti di mia madre andarono fuori controllo. Spinta da un’allucinazione paranoica sparì per cinque giorni, i più angoscianti della mia vita. Li ho trascorsi girando per i vari alberghi e ospedali e recitando Daimoku per risvegliare tutti gli shoten zenjin (le funzioni protettrici della vita e dell’ambiente), perché, nonostante la confusione che annebbiava la sua mente, nascesse nel suo cuore il desiderio di chiamarci e di darci notizie. Ma recitavo anche per trasformare la rabbia e il giudizio verso di lei, lottavo contro la tentazione di odiarla per quello che ci stava facendo.
Mia madre fu protetta: un tassista le offrì un passaggio fino alla pensione di una sua conoscente, dove poi, sempre grazie al conducente, la ritrovammo. Era confusa, non ci riconosceva, era completamente fuori dalla realtà, immersa nella sua paranoia. Ci spaventammo molto a vederla così, ma la gratitudine di averla ritrovata sana e salva era più forte di qualsiasi altro sentimento. Così le nostre vite ripresero: consultammo un nuovo medico che non ci diede troppe speranze, ritenendo il suo disturbo troppo grave per risolversi. Continuai a recitare quasi due ore di Daimoku al giorno, aggrappata al Gohonzon come a un salvagente, sforzandomi di rideterminare ogni mattina e ogni sera la guarigione di mia madre, e seguendo la persona a cui avevo parlato del Buddismo con tutto il cuore. Le sue domande, il suo desiderio di sperimentare il Gohonzon, il fatto che dalle mie azioni cercasse di capire come agisce la Legge mistica nella vita di una persona, mi costringevano a studiare il Gosho e gli scritti del presidente Ikeda. Ho riflettuto molto sul principio del manifestare la natura di Budda e ho cercato di praticare con l’unico scopo di seguire questo insegnamento: pensare, parlare e agire come un Budda.
Nei primi mesi del 2008 le condizioni di mia madre precipitarono nuovamente e mia sorella, di due anni più giovane di me, mi scrisse una lettera disperata, in cui esprimeva il desiderio di sparire. La sofferenza che lessi nelle sue parole mi sconvolse. Non avevo nemmeno il coraggio di ammetterlo: ero arrabbiata con mia madre, non provavo compassione. Il Daimoku, lo studio del Gosho e l’attività per gli altri sono stati il mio tesoro, la mia vera fortuna, mi hanno impedito di allontanarmi dal Gohonzon e in quel dolore così profondo ho fatto una promessa al mio maestro: diventare la figlia più devota del mondo per guidare i miei genitori sul sentiero della Buddità. Nel Gosho Il comportamento filiale Nichiren spiega che, per quanto sia importante, non è sufficiente prendersi cura dei propri genitori; la vera, completa devozione filiale si manifesta solo attraverso la profondità della propria fede. Decisi di praticare coraggiosamente e agire concretamente: ho fatto ciò che non avevo mai avuto il coraggio di fare, cioè far ricoverare mia madre in una clinica psichiatrica. Pochi giorni dopo aver partecipato alla riunione europea dei giovani a Milano, andai a prendere mia madre a Napoli: era in una condizione disperata, aveva tentato di lasciarsi morire di inedia, rifiutando il cibo per due mesi e non muovendosi praticamente mai dal suo letto immerso in una stanza buia. Durante il colloquio di ingresso in clinica raccontò delle sue terribili allucinazioni e del suo desiderio di morire. Io e mia sorella rimanemmo colpite dalle sue parole, era come se tutte le forze oscure che sentivamo agitarsi nei nostri cuori si manifestassero fisicamente davanti ai suoi occhi per tormentarla. Piangendo rimasi seduta sulle scale della clinica almeno un’ora senza il coraggio di andare via, desiderando disperatamente di fidarmi delle cure che riceveva e che quella fosse veramente “l’azione di una figlia devota”. Durante i difficili mesi della degenza mi sono affidata completamente al Gohonzon, determinando di non interferire con le decisioni prese dal medico per la terapia e le cure. Avevo recitato Daimoku affinché quello fosse il medico migliore e che anche quella terapia fosse la migliore.
Dopo mesi di degenza, passati tra alti e bassi, mia madre è stata dimessa definitivamente a novembre 2008 e da più di un anno vive a Londra con mio padre conducendo una esistenza normale, cosa che solo un anno fa era impensabile. La sua ripresa è stata talmente sorprendente agli occhi del suo medico da indurlo a voler studiare il suo caso al fine di pubblicare una ricerca su una rivista scientifica. Nel frattempo si sono manifestati anche altri benefici: mia madre ha recitato Nam-myoho-renge-kyo. La mia amica ha ricevuto il Gohonzon. Mio marito, a lungo lontano dalla pratica buddista, ha ricominciato a recitare Daimoku per realizzare il nostro desiderio. Abbiamo compreso di voler diventare “i figli più devoti del mondo” per poter essere i migliori genitori possibili!