Il Daishonin paragona il maestro alla terra e il discepolo alla pianta. Una relazione considerata fondamentale per vivere e mettere in pratica al meglio i principi del Buddismo. Che cosa unisce il maestro al discepolo e il discepolo al maestro? La lettera che pubblichiamo a pagina 21 è una testimonianza della forza di questo rapporto e di come le parole del maestro possano essere fonte di ispirazione anche nei momenti di disperazione più totale
C’è un elemento pregnante per vivere la relazione tra maestro e discepolo nel migliore dei modi: lo spirito di ricerca.
Chiunque ha desiderio di migliorarsi e ne sente la necessità, tiene a cuore l’importanza del confronto, dell’ascolto, dell’imparare da chiunque possa trasmettere un’informazione, un modo diverso di guardare al mondo. Forse uno dei tanti problemi nelle scuole di oggi è che si sente meno il bisogno di imparare, i ragazzi spesso credono di sapere già tutto e quello che non sanno credono di poterlo apprendere per conto loro, grazie alla Maestra di ogni Cosa, la rete. Quando questo accade, viene a mancare proprio il legame diretto e vitale fra chi ha il compito di trasmettere ciò che ha imparato e chi ha la necessità di apprendere e di formarsi. Se manca l’intenzione di trasmettere da una parte o quella di ricevere dall’altra, ecco che questa catena si interrompe.
Anche il maestro e il discepolo nell’ambito dell’insegnamento buddista hanno a che vedere con il desiderio di trasmettere e di apprendere. L’intento del maestro è offrire la sua esperienza, la sua forza e la sua saggezza affinché i discepoli possano godere delle stesse “scoperte” che lui ha fatto, per esempio imparando ad affrontare le montagne della vita con gli strumenti giusti. Quello di cui i discepoli hanno bisogno è una sana dose di spirito di ricerca, appunto, che include doti come l’umiltà, il non sentirsi mai arrivati e il ritenere che si può sempre imparare qualcosa di nuovo. In passato sono stata colpita più volte nel vedere un atteggiamento di profondo rispetto nei confronti del presidente Ikeda da parte di persone anziane che anagraficamente avrebbero potuto essere i suoi genitori, ma che si rivolgevano a lui come a qualcuno che ha ancora tanto da trasmettere sia della vita che della fede.
In cosa consiste questa relazione
Attraverso gli scritti di Nichiren Daishonin, Tsunesaburo Makiguchi, Josei Toda e Daisaku Ikeda possiamo imparare ad affilare la “spada” della fede, ad applicare i princìpi buddisti nella vita quotidiana, a superare le difficoltà. Essere testimoni di questa relazione significa avere fede nella Legge mistica e condividere gli ideali del maestro decidendo di dedicare la propria esistenza alla propagazione della Legge e alla felicità altrui. La relazione tra maestro e discepolo consiste nel vivere nel proprio intimo, prima di tutto, le parole del maestro, facendole poi rispecchiare nelle azioni. E accogliere nel cuore lo stesso voto del Budda: quello che ha portato poi Makiguchi, Toda e Ikeda a dedicare completamente la loro vita all’incoraggiamento dei discepoli e alla creazione di una struttura che permettesse ai compagni di fede di praticare insieme il Buddismo e di sostenersi reciprocamente.
Oltre a ricordare e ricordarsi che il lavoro del Budda è prima di tutto quello del bodhisattva: la propagazione della Legge mistica affinché sempre più persone possano compiere il cammino della propria trasformazione.
Già, perché questa trasformazione, o rivoluzione umana, è il punto di partenza. Il maestro è colui che ha vissuto e sta vivendo sulla sua pelle questo processo e per questo motivo possiede la forza, la passione, le parole giuste per illustrare questo cammino anche agli altri. Ma è un cammino che ciascuno deve compiere a sua volta. Nessuno può essere un surrogato o, peggio, una brutta copia di un’altra persona.
Quelle parole o quegli insegnamenti che leggiamo più volte, possono essere solo masticati e digeriti, non certo replicati senza una crescita individuale. Infatti solo la predisposizione all’apprendere e a fare proprio ciò che impariamo fa nascere uno scambio che permette di innalzare lo stato vitale.
Un legame a doppio senso
Nello scritto Fiori e frutti Nichiren Daishonin paragona il maestro alla terra e il discepolo alla pianta: «Nichiren è come la pianta e il suo maestro come la terra» (RSND, 1, 808). Ma si tratta di uno scambio reciproco i cui effetti benefici della pratica buddista dell’uno, tornano anche all’altro. Per questo motivo è Daisaku Ikeda a parlare frequentemente delle “vittorie di maestro e discepolo”. «Il modo migliore per ripagare il nostro mentore è vincere. Io credo nella vittoria assoluta dei miei amati discepoli, e attendo con impazienza di vedere la vittoria dei giovani che proseguiranno il loro cammino come miei veri discepoli» (BS, 133, 30). Ikeda ha sempre agito dedicando i risultati ottenuti al suo maestro Toda, col quale ha – tuttora – un legame di particolare intensità. Toda è per lui un punto fermo che gli permette di affrontare le prove più difficili, in un legame che ogni volta acquista più forza. Sempre più persone desiderano dedicare la realizzazione del loro grande sogno a sensei, come per dire: «Maestro, ecco quello che ho imparato e che sto portando avanti. Come quello che lei ha fatto con Toda. Continuerò a diffondere intorno a me un messaggio di pace attraverso le mie azioni».
Senza i discepoli che portano avanti il messaggio del maestro tenendolo vivo e trasmettendolo a loro volta alla generazione successiva, esso perirebbe. Daisaku Ikeda nell’epilogo al dodicesimo volume della Rivoluzione umana descrive la storia della sua relazione con Toda e di come egli abbia percepito chiaramente il suo compito: essere la prosecuzione ideale del suo maestro con la promessa di «realizzare la pace nel mondo e la felicità del genere umano».
«La vita del presidente Toda era un esempio della rivoluzione umana di un individuo. Egli era convinto che il racconto delle sue esperienze sarebbe stato di grande aiuto per tutti coloro che desideravano seguire la strada da lui indicata. Il fatto di essere consci della propria missione di Bodhisattva della Terra dà alla nostra vita un significato particolare, ispira il nostro risveglio all’essenza della nostra umanità e diviene una sorgente che ci permette di creare valore. Questa consapevolezza ci aiuta anche a trasformare il nostro piccolo io, legato alle preoccupazioni personali, e a indirizzarlo verso gli altri, così da stabilire nella nostra vita un io ben più grande, capace di abbracciare tutta l’umanità. […] Quello che sento di dover fare è di continuare a lottare seguendo il modello del mio maestro per realizzare la pace nel mondo e la felicità del genere umano. Così avrò realizzato la missione della mia vita. È questo il sentiero che devo percorrere, per ripagare il debito di gratitudine che ho nei confronti del maestro. È il cammino della rivoluzione umana che lui ha indicato a noi tutti. Mentre avanzo su questo nobile sentiero, il presidente Toda vive nel mio cuore. Posso solo sperare che egli continui a vivere nei cuori di tutti i membri della Soka Gakkai» (RU, 12, 366-369).
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3 maggio 1960: Daisaku Ikeda diventa terzo presidente
Il 3 maggio del 1951 Josei Toda veniva nominato secondo presidente della Soka Gakkai. Nove anni dopo, il 3 maggio del 1960, il giovane Daisaku Ikeda, allora trentaduenne, prendeva il testimone alla guida della Soka Gakkai con la promessa di realizzare kosen-rufu nel mondo, il sogno del suo maestro
Dopo la morte di Toda, molti al di fuori della Soka Gakkai cominciarono a credere, e in qualche caso a sperare, che l’organizzazione si sarebbe avviata verso un inesorabile declino. Sembrava che la Gakkai potesse perdere l’inarrestabile forza che l’aveva contraddistinta fino allora e i membri, oltre al dolore per la scomparsa del maestro, erano preoccupati per lo sviluppo futuro. L’organizzazione era cresciuta enormemente: ormai contava più di ottocentomila membri e, seguendo le indicazioni di Toda, stava per prendere il volo oltre il Giappone. Ai leader non era più richiesta solo una forte fede, ma anche la capacità di stare al passo con i tempi e di fare progetti su vasta scala. Tutti i maggiori responsabili sapevano che la persona più adatta per rivestire il ruolo di terzo presidente era Daisaku Ikeda, che per anni si era impegnato anima e corpo insieme a Toda. Ikeda era stato nominato amministratore generale dopo la morte del suo maestro e si era gettato a capofitto nella direzione delle attività della Gakkai, indirizzando tutte le energie verso gli obiettivi prefissati e, grazie ai suoi sforzi, l’organizzazione continuò a crescere. Sebbene molti gli chiedessero di assumere la presidenza il prima possibile, il giovane voleva lasciar trascorrere qualche anno prima di accettare. Su di lui gravava ancora l’imputazione relativa al processo di Osaka: nel corso delle elezioni del 1957 era stato accusato di violazione delle leggi elettorali e, sebbene non avesse commesso alcun reato, i suoi avvocati non erano sicuri di riuscire a smontare l’impianto accusatorio costruito nei suoi confronti. Ikeda riteneva che, prima di accettare la carica, fosse meglio attendere il riconoscimento della sua estraneità ai fatti (vedi RU, 11, 271).
Il consiglio direttivo, però, iniziò a premere affinché accettasse la nomina. I direttori generali, oltre a farsi portavoce del desiderio dei membri di avere un nuovo presidente, erano convinti che il protrarsi di quella situazione transitoria avrebbe causato danni al progresso di kosen-rufu. Con l’inizio del 1960 le richieste divennero sempre più insistenti e tutte le riunioni dei responsabili centrali finivano per concentrarsi sulla nomina di Daisaku Ikeda a terzo presidente. Sebbene questi declinasse costantemente, gli appelli continuavano incessanti e alla fine, la mattina del 14 aprile, fu costretto ad accettare e il 3 maggio fu nominato terzo presidente.
Da allora «il 3 maggio è il giorno in cui la Soka Gakkai determina di realizzare il grande voto di kosen-rufu attraverso la propagazione compassionevole del Buddismo, in completo accordo con la volontà e il mandato del Budda Shakyamuni e di Nichiren Daishonin. Lo spirito del 3 maggio consiste in questo voto condiviso da maestro e discepolo. Formulare un voto personale e agire per realizzarlo è il vero atteggiamento di un Budda» (NR, 352, 3).
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Daisaku Ikeda / Vivere il Gosho ogni giorno
Chi è maestro della mente?
«Il Budda scrisse che si deve diventare maestri della propria mente e non lasciare che la mente sia la propria maestra. Per questo ti ho sempre esortato a essere disposto a dare anche il tuo stesso corpo e a non risparmiare mai la tua vita per il Sutra del Loto» (Lettera a Gijo-bo, RSND, 1, 345)
La nostra mente è facilmente influenzabile dall’ambiente. Per diventare davvero padroni della nostra mente è importante ricercare e seguire l’esempio di un insegnante, un maestro, che ci possa guidare nella direzione corretta.
Quando ci impegniamo per kosen-rufu con lo stesso spirito del maestro dell’insegnamento buddista, possiamo stabilire nel nostro cuore una fede salda. Questo è il fiore all’occhiello dei campioni di umanità che avanzano lungo la via di maestro e discepolo.
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Un vincolo solenne
«Poiché sono il devoto del Sutra del Loto, ho subìto ogni genere di persecuzioni a opera dei tre potenti nemici. È una cosa meravigliosa che nonostante questo tu sia diventato discepolo e sostenitore di una persona simile! Deve esistere una ragione profonda per la nostra relazione. Fai ogni sforzo possibile per approfondire la tua fede e raggiungi la pura terra del Picco dell’Aquila» (Le spade del bene e del male, RSND, 1, 400)
Nel Buddismo il legame tra maestro e discepolo è solenne e profondo. Poiché abbiamo deciso di intraprendere la strada di non dualità di maestro e discepolo – lottando e vincendo su ogni difficoltà insieme al maestro – il nostro movimento è riuscito a ottenere uno sviluppo eccezionale.
Mi aspetto dalla Divisione giovani e dai membri della Divisione futuro, i protagonisti di una nuova era, che saranno loro a portare avanti questo legame fra maestro e discepolo. Questa è la via dell’eterna vittoria di kosen-rufu.