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"Io e te" nel film e nella vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:32

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“Io e te” nel film e nella vita

Jacopo Olmo Antinori e Francesca De Martini

Jacopo Olmo Antinori, protagonista dell’ultimo film di Bernardo Bertolucci presentato a Cannes lo scorso maggio, racconta come la pratica buddista e l’attività nella Divisione futuro gli abbiano dato la spinta per vivere questa grande avventura. Lo abbiamo incontrato in aprile insieme alla madre Francesca De Martini, di Roma

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Jacopo Olmo Antinori, protagonista dell’ultimo film di Bernardo Bertolucci presentato a Cannes lo scorso maggio, racconta come la pratica buddista e l’attività nella Divisione futuro gli abbiano dato la spinta per vivere questa grande avventura. Lo abbiamo incontrato in aprile insieme alla madre Francesca De Martini, di Roma

Com’è cominciata questa avventura?

Francesca: All’inizio dell’anno passato, dopo ventitré anni di pratica buddista, ho sentito che era giunto il momento di tirare fuori il coraggio e ho lanciato uno scopo impossibile. Sono sempre stata affascinata dai film di Bernardo Bertolucci, e come attrice desideravo poter lavorare con lui. Come spesso mi accade, in seguito mi sono dimenticata di aver stabilito questo obiettivo. Pochi mesi dopo venni a sapere che Bertolucci, che dal 2003 non girava più un film, ne stava preparando uno nuovo tratto dal libro di Niccolò Ammaniti Io e te, il cui protagonista aveva quattordici anni. Avevo già letto il libro e lo avevo passato anche a Jacopo Olmo.
Per un attimo ho pensato che mio figlio era perfetto per quel ruolo. Senza preoccuparmi troppo, recitavo Daimoku semplicemente per sentire se quella fosse la strada giusta per noi. E così è accaduto che una mattina – come in seguito mi è stato raccontato – l’assistente del casting che si occupava di reclutare i volti per il protagonista e che avrebbe dovuto consegnare i volantini alle scuole superiori arrivò in ritardo, quando nel liceo non c’era più nessuno. E per non tornarsene a mani vuote decise di consegnare il materiale ai ragazzi della terza media. È così che uno di quei volantini è arrivato nelle mani di mio figlio…

Jacopo Olmo: Ricevuto il volantino, i miei compagni di classe mi hanno incoraggiato subito a provare. Avevo fatto un po’ di teatro in passato, ma non ne volevo sapere. Arrivato a casa, però, ne ho parlato con mamma, e ho deciso di pensarci su.

Francesca: Ho recitato tanto Daimoku per sostenere mio figlio. Sentivo che era perfetto per quel ruolo e, a sua insaputa, ho spedito una foto. Dopo qualche giorno è arrivata la convocazione per il provino. E i responsabili del casting lo hanno voluto rivedere subito! Così alla fine siamo stati invitati per conoscere Bertolucci. Non ci potevo credere. Volevo portare le mie foto, il mio curriculum, ma recitando Daimoku ho sentito che invece dovevo farmi indietro e mandare avanti mio figlio. Sono andata quindi all’incontro per sostenerlo come madre.

Jacopo Olmo: La prima cosa che Bertolucci mi ha chiesto era come mai avessi questo nome così particolare. Chiesi a mamma di spiegargli la storia, perché ho pensato che fosse lei a doverla raccontare.

Francesca: Gli ho raccontato di quando ero incinta: avrei voluto chiamare mio figlio Olmo proprio in omaggio al personaggio di un suo film che ho amato tanto, Novecento. È stato un incontro bellissimo, durante il quale ho sentito la sua umanità e anche la sua umiltà. I provini non erano finiti e cominciai a fare due ore di Daimoku al giorno. Non ero semplicemente determinata, ero sicura: sentivo che Jacopo sarebbe stato scelto e, dopo altri tre provini, mi telefonarono dalla produzione…

Jacopo Olmo: Mi ricordo bene la data in cui mi hanno chiamato: era il 9 giugno, il giorno prima della fine della scuola. Avevamo finito le medie e il giorno successivo ci sarebbe stata una grande festa con i gavettoni. Ma volevano vedermi proprio quel giorno, e mi rodeva, perché sono dovuto rimanere in disparte, mentre i miei amici si divertivano. A metà della festa sono andato a casa a prepararmi per andare dal regista: mi avevano preso! Quando Bertolucci me l’ha detto sono rimasto in silenzio mentre mia madre si scioglieva sul divano. Poi mi ha regalato un libro di poesie del padre, Attilio Bertolucci, con una dedica stupenda. Durante l’estate ho recitato poco Daimoku. Non ci pensavo al film, lo vedevo come una cosa lontana e quando sono cominciate le prove non mi sono mai sentito preoccupato o sotto pressione. Anzi, avevo proprio una gran voglia di cominciare. A settembre però ho iniziato a praticare con più costanza.

Francesca: Io continuavo a recitare tanto Daimoku. Non avevo dimenticato il mio scopo. Durante le prime settimane di riprese mi venne proposto di girare una scena nel film dove, probabilmente, sarebbero apparse solo le mie gambe. Ero contenta lo stesso e accettai, ma in seguito l’hanno fatta girare all’attrice che aveva il ruolo della madre. In quel momento ho sentito che non aveva importanza. Anche senza recitare personalmente, stavo vivendo uno dei sogni più grandi della mia vita, e per di più assieme a mio figlio. Il presidente Ikeda è sempre stato al mio fianco incoraggiandomi con le sue parole. Sento di aver trasformato l’attaccamento nei confronti del mio lavoro: ora quando affronto un provino sono molto fiduciosa perché so che se un ruolo è giusto per la mia vita, per compiere la mia missione per kosen-rufu, allora sarà mio.
Alla fine ho avuto il mio piccolo ruolo nel film e non si vedevano solo le gambe, ho girato una scena proprio con Jacopo! Quel giorno ho sentito che tutte le persone della troupe erano partecipi e gioivano insieme a me. Durante tutto il tempo delle riprese ho continuato a recitare Daimoku e andavo sul set con lo spirito di sostenere tutti, come una byakuren – quando ero nella Divisione giovani ho fatto tanta attività di protezione -, e spesso mi capitava di incoraggiare anche solo con un sorriso non solo mio figlio, ma anche i vari membri della troupe. Nel frattempo ho vinto un concorso per insegnare recitazione cinematografica nella nuova scuola della Provincia di Roma, il che non era affatto scontato, visto che alla selezione avevano partecipato più di quaranta persone. Aver visto dirigere Bertolucci è stato molto importante anche per questo, e ora cerco di trasmettere ai miei allievi la stessa cura per le persone, la stessa attenzione per ogni dettaglio che ho appreso sul suo set.

Com’è il tuo rapporto con la pratica?

Jacopo Olmo: «Fino a poco tempo fa non ero assiduo. Facevo Daimoku quando capitava, quando avevo tempo o semplicemente quando mi veniva in mente. Poi sono andato a una riunione della Divisione futuro, di cui faccio parte dal settembre del 2009, e ho ascoltato l’esperienza di una ragazza che raccontava come fosse cambiato il suo modo di vedere la vita praticando tutte le mattine. Mi ha trasmesso una determinazione profonda e ho deciso che volevo che fosse lo stesso anche per me, ho voluto provare. Da quel momento ho cominciato a fare Gongyo e cinque minuti di Daimoku tutti i giorni e non ho più smesso. Il cambiamento è stato spiazzante: una spinta nel vivere le mie giornate che mi ha impressionato. I risultati si vedono subito, e tanti! Cerco di sforzarmi al massimo, di fare del mio meglio. Magari una volta ti senti fiacco e non hai voglia di partecipare, ma poi ti sforzi, esci, vai alla riunione e anche se non dici nulla, quando esci da una riunione della Divisione futuro ti senti profondamente felice. È come se l’attività ti rimettesse sul binario giusto, magari hai un po’ perso l’orientamento… E ogni volta è una grande carica. Certo è impegnativo fare in modo di esserci, di seguire, ma dopo ti resta una grande gioia.

Eri presente alla riunione a Roma per commemorare i cinquant’anni dal primo viaggio del presidente Ikeda in Europa?

Jacopo Olmo: Sì, ho cantato nel coro dei giovanissimi ed è stato bellissimo. C’è stato un intervento che mi ha colpito molto, quello del signore biondo, credo il responsabile della Germania. Mi ha colpito il fatto che dopo trent’anni si ricordasse la percezione chiara di aver incontrato la pratica grazie al desiderio del maestro. Mi ha lasciato qualcosa dentro che mi ha fatto sentire il rapporto con il presidente Ikeda come una cosa palpabile. Ho sentito un’emozione profonda e ho toccato con mano che questa relazione è reale.
Sentire che le cose non sono coincidenze ma il risultato della fede, è bellissimo. Toccante. Ed è quello che ho sentito anch’io sul set. Durante le riprese non avevo il tempo di pensare e alcune cose lì per lì non riuscivo a metterle a fuoco, ma dopo mi sono guardato indietro e ho visto quante “coincidenze” ci sono state.

Obiettivi?

Jacopo Olmo: Voglio continuare a studiare bene. All’inizio avevo paura di perdere il contatto con la scuola… e non volevo. Ho perso due mesi e mezzo di lezioni e non volevo che questo pregiudicasse il mio rendimento scolastico. Sto concludendo l’anno con buoni voti. Per me la scuola è al primo posto. Tuttavia non nascondo che continuare questa esperienza mi piacerebbe, sono curioso di vedere cosa accade, voglio avere un riscontro, non coltivare illusioni.
Per ciò che riguarda la pratica non posso fare altro che continuare ad approfondire la fede. Se non avessi la pratica buddista sarei molto più insicuro, come in balìa delle onde. Non l’abbandonerò per nulla al mondo, anche se è un grande sforzo. Io ho avuto la prova che i risultati ci sono, eccome! Perché dovrei privarmene?

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