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Io che sono nata farfalla - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:48

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    Io che sono nata farfalla

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    Ho conosciuto il Buddismo nel 1990 e vi trovai subito persone gioiose e accoglienti, così decisi di provare a praticare per vincere la sofferenza che mi derivava dalla mia famiglia d’origine: mio padre era alcolista e di conseguenza violento e noi altri subivamo.
    Il mio desiderio era trovare un compagno e costruire una famiglia diversa. Nel 1996 conobbi un ragazzo, ci frequentammo, mi innamorai e poco dopo rimasi incinta. Il rapporto con il mio compagno, benché l’amassi, non andava bene, ma decisi di tenere il bambino egualmente. Al settimo mese di gravidanza decidemmo di andare a vivere insieme, ma date le ristrette possibilità economiche, lui mi propose di andare a vivere dai suoi genitori, almeno per un periodo di tempo.
    Man mano che i giorni passavano mi ritrovai prigioniera di una famiglia che gestiva ogni attimo della mia vita e di quella di mio figlio. Non ero libera di fare la più piccola cosa, di uscire quando volevo e dovevo rispettare degli orari molto rigidi, io che di natura sono una farfalla…
    Mio marito mi trascurava ogni giorno di più, fino al mancarmi di rispetto e assumere atteggiamenti aggressivi, ogni attimo della giornata subivo violenze verbali e psicologiche, non solo da parte sua ma anche dei miei suoceri.
    Sentivo che non mi amava più e non faceva niente per nasconderlo; la famiglia che avevamo costruito era per accontentare i suoi genitori che la vedevano come una formalità da rispettare a tutti i costi. In questo clima insostenibile nacque mio figlio Alessandro.
    Così in quel periodo rallentai nella pratica buddista, ma per fortuna conobbi una ragazza vicina di casa, anche lei praticante, che m’incoraggiò a recitare più Daimoku che potevo per cambiare il mio stato vitale e quindi la mia situazione familiare.
    Ogni momento libero recitavo Daimoku e mi sforzavo di sopportare le pretese dei miei suoceri, dove ero ancora ospite, con la volontà di creare armonia. Chiesi un consiglio sulla fede e mi fu detto che dovevo trasformare questa mia sofferenza e superare la rabbia feroce e la collera che provavo verso di loro. Invece di lamentarmi o piangere cercavo di aiutare in casa facendo più faccende domestiche, lasciandogli di più il bambino e tante altre piccole e grandi cose per andargli incontro, ma alla base di tutte queste azioni c’era tanto, tantissimo Daimoku.
    Ma nonostante il mio impegno, le cose peggiorarono tanto da spingermi a rivolgermi a un centro di assistenza sociale per tutelare me e mio figlio. All’ennesima discussione per la solita banalità venni sbattuta fuori di casa e “invitata” a lasciare lì il mio bambino.
    Senza un tetto, con Alessandro piccolissimo che naturalmente portai via con me e il mio Gohonzon, trovai riparo in un centro di accoglienza.
    Intanto mio marito e i suoi intentarono una causa, la prima tra le tante, per togliermi mio figlio accusandomi di essere una persona malata di mente, pertanto non in grado di accudire e di crescere Alessandro. La situazione era già insostenibile prima, ma da quel momento in poi, iniziò una vera e propria persecuzione verso di me. Mi aggrappai con tutta me stessa al Gohonzon, recitavo cinque, sei ore di Daimoku al giorno per trovare la forza e il coraggio di resistere e nutrire speranza per il futuro.
    Nonostante vivessi come un’accampata e le ordinanze del tribunale si susseguissero una dietro l’altra, grazie al Daimoku mi sentivo fiduciosa e combattiva e così mi ritrovai a parlare di Buddismo alle persone che vivevano con me al centro accoglienza – tutte accomunate da dolori profondi – perché anche loro potessero sentire speranza e coraggio. Così organizzai delle piccole riunioni come si è soliti fare nella nostra organizzazione: recitavamo Gongyo e Daimoku insieme e mi sforzavo d’incoraggiarle tutte nonostante la mia condizione.
    Intanto, grazie al fatto che all’interno del centro accoglienza avevo dato prova di essere assolutamente in grado di badare a mio figlio, il tribunale mi dette l’affidamento temporaneo. Fu una grossa vittoria e il desiderio di vivere con Alessandro in una casa tutta nostra divenne ancora più forte, ma per far questo dovevo riuscire a trovare un lavoro.
    Naturalmente mio marito e la sua famiglia non mi dettero tregua, intentarono battaglie legali in ambito civile e penale che complessivamente sono durate cinque lunghissimi anni.
    Sentivo tanta rabbia verso di loro e anche tanta paura di perdere mio figlio, ma tutte le volte tornavo davanti al Gohonzon e determinavo che avrei tenuto con me Alessandro e che avrei superato anche il forte risentimento verso di loro.
    Grazie alla recitazione del Daimoku e alla fortuna che avevo accumulato anche sostenendo e incoraggiando le persone che vivevano con me al centro accoglienza, riuscii a trovare un lavoro a tempo pieno, una casa per me e il bimbo e un asilo per lui.
    Nonostante questa vittoria la rabbia che sentivo era tanta e percepivo che se non avessi sciolto questo nodo dentro di me queste estenuanti battaglie legali sarebbero proseguite all’infinito.
    Nel frattempo mia madre si era ammalata contemporaneamente del morbo di Alzheimer e del morbo di Parkinson, così oltre all’immenso dispiacere di vederla malata, mi venne a mancare l’unico aiuto su cui contavo. Allora ho cominciato a recitare Daimoku, come in una occasione mi era stato consigliato di fare, pregando per la felicità della famiglia di mio marito. Pregare per la loro felicità… in quel momento era veramente troppo per me, ma in cuor mio dissi: «Proviamo anche questo!» e così feci.
    Allora ho iniziato a recitare Nam-myoho-renge-kyo e da quando ho sentito che la compassione pian piano prendeva il posto della collera e dell’orgoglio ferito le cose si sono trasformate: dentro di me qualcosa si andava sciogliendo e queste persone in qualche modo mi mancavano.
    Intanto avevo ottenuto l’affidamento totale del bambino. Dopo l’ultima e vittoriosa sentenza ho telefonato a mia suocera cercando un dialogo e qualche cosa era già cambiato; le laceranti guerre legali si sono finalmente interrotte, sono stata compresa e perfino lodata per i grandi sforzi che avevo fatto per sopravvivere. Ho avuto da parte loro dei riconoscimenti sia come donna che come mamma, caso mai non dichiarati con le parole, ma ancora più profondamente con delle azioni.
    Nel frattempo la sorella di mio marito, che soffriva per il suo cattivo rapporto matrimoniale, vedendo i risultati da me ottenuti cominciò subito a praticare il Buddismo.
    Oggi ho un buon rapporto con tutti loro, il mio ex marito mi sostiene economicamente e abbiamo un buon dialogo e desidero consolidarlo ogni giorno che passa affinchè Alessandro non soffra della nostra separazione. Mia mamma, un anno e mezzo prima di morire, nonostante le gravi malattie degenerative di cui soffriva, ha riacquistato la lucidità mentale e l’ha mantenuta fino al momento della sua morte che è avvenuta dolcemente.
    Da tre anni lavoro nel sociale e ogni giorno sento rafforzarsi in me la voglia di aiutare le persone in difficoltà; grazie a questa esperienza ho maturato la convinzione che, recitando Daimoku e sforzandoci per la propria felicità e per quella degli altri, anche l’impossibile diventa possibile.

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