Ho iniziato a praticare a 21 anni quando un mio amico dell’università, visto il mio atteggiamento triste e lamentoso, mi invitò a una riunione. Non dimenticherò mai l’atmosfera che regnava in quella stanza e la forza del sorriso di quelle persone. Ricevetti il Gohonzon un anno dopo e pian piano la mia vita si aprì: non c’è aspetto della mia vita che non abbia affrontato con il Daimoku, lo shakubuku e con Sensei nel cuore, costruendo così una vita piena di speranza, in un susseguirsi di vittorie e benefici. Ho trasformato il mio cuore, da timoroso a coraggioso, e in questo percorso ho stretto profondi legami di amicizia con tante persone.
Superati i trent’anni nacque in me il desiderio di diventare madre. Così tirai fuori tutto il mio coraggio davanti al Gohonzon per trovare un compagno di vita con cui costruire una famiglia di valore. Di lì a poco incontrai Maurizio, e non ci siamo più lasciati.
Nel 2020 nacque la nostra prima figlia, Miki Celeste. Durante la pandemia vivemmo la nostra nuova vita di famiglia in armonia, quasi senza accorgerci di quello che avveniva fuori.
Tuttavia mi allontanai dagli zadankai online e persi i contatti con gli altri praticanti. Il mio Daimoku era incostante e sentii che la mia vita si stava chiudendo, tornando a quell’infelicità che conoscevo prima di praticare. Mi colpirono tanto queste parole del maestro Ikeda da La nuova rivoluzione umana:
«Nichiren Daishonin afferma che l’essenza della pratica buddista non consiste esclusivamente nel recitare Nam-myoho-renge-kyo da soli, ma anche nel condividere e insegnare agli altri il Buddismo che pratichiamo. In altre parole, la felicità più elevata non si trova nel cercare in modo egoistico di realizzare solo i propri desideri, ma nel diffondere l’insegnamento corretto per la felicità di tutte le persone» (NRU, 27, 218)
Alla fine del 2021 restai nuovamente incinta, questa volta in modo inaspettato. Dentro di me sentivo che quella nuova vita portava con sé una grande lotta e non mi sentivo pronta.
Mariluce Yuka è nata con un parto meraviglioso ma apriva a malapena gli occhi, e tra le palpebre intravedevo un velo bianco.
Sospettavo fosse cieca già dalle prime ore di vita ma non volevo crederci, era troppo doloroso. In ospedale ipotizzarono una malattia rara con malformazioni in più organi, ma nessun medico ci guidava.
La sofferenza che ho provato nel primo mese di vita di mia figlia è stata lancinante. In più, feci un controllo al seno ed emerse il sospetto di un nodulo preoccupante.
Ho affrontato il demone della malattia con le parole di Ikeda Sensei:
«Una fede forte, che ci mette in grado di ingaggiare una battaglia contro la malattia senza paura e senza sottovalutare ciò che stiamo affrontando, fa emergere il potente stato vitale della Buddità» (Le cinque guide eterne, Esperia, 63)
Ripresi a fare almeno un’ora di Daimoku con concentrazione e serietà, sostenuta dai compagni di fede e partecipando a tutti gli incontri in presenza. Misi la lettura del Gosho e kosen-rufu al primo posto decidendo di parlare di Buddismo a chiunque incontrassi. Aprii casa per le riunioni di preparazione agli esami e per gli incontri con le giovani mamme della mia zona. Avevo la ferma determinazione di trovare una diagnosi certa e la cura giusta più velocemente possibile, sia per me che per mia figlia.
Nel frattempo in giro per l’Italia incontravamo tanti medici specialisti, e anche tante mamme e bimbi che affrontavano la malattia, stringendo con loro profondi legami di amicizia e sostegno. Non a caso Yuka, il nome che Sensei ha dato a mia figlia, significa “meravigliosa amicizia e fratellanza”.
La diagnosi di un mio nodulo maligno si è rivelata sbagliata e un mese dopo il nodulo non c’era più. I risultati delle analisi genetiche di Mariluce Yuka arrivarono dopo tre mesi: si trattava di una malformazione circoscritta agli occhi, molto complessa e rara, che comporta la cecità.
Mio marito e mio fratello hanno recitato Daimoku con me. Mia madre ha iniziato a praticare e a frequentare le riunioni del Gruppo donne. Anche due mamme a cui ho parlato del Buddismo hanno iniziato a praticare.
Quando nel mio cuore davanti al Gohonzon ho superato la paura di dover crescere una figlia non vedente, ho cominciato a cercare il confronto con altre mamme di figli che avevano lo stesso problema. Una di loro, una compagna di fede, mi ha indicato un professore che curava suo figlio.
Ne avevamo visti tanti di specialisti, la paura che anche lui ci dicesse che non c’era speranza era grande e invece… Quel professore le ha fatto un intervento lampo per salvarle il nervo ottico e ci ha proposto il trapianto in entrambi gli occhi. Un’operazione innovativa, complessa e molto rischiosa.
Adesso Mariluce Yuka ha due cornee sane provenienti da due donatori pediatrici e ciò ha riaperto la speranza che possa sviluppare la vista. Sta bene, è una bimba che ride sempre in ogni circostanza e ha iniziato a vedere i volti e gli oggetti vicini. La strada è ancora lunga ma basandomi sul Gohonzon diventa sempre più forte nel mio cuore la determinazione di vincere assolutamente.
Ikeda Sensei scrive:
«Un figlio offre l’opportunità di costruire una vita suprema. A seconda di come il genitore accetta ogni circostanza, il futuro, sia del genitore sia del figlio, differirà significativamente. Qualunque sofferenza o difficoltà possiate incontrare, fin quando riuscirete a dire a vostro figlio: “Grazie per essere nato”, sia voi che vostro figlio vi dirigerete verso la felicità» (I tesori del futuro. Genitori felici, figli felici, Esperia, pag. 22)
Sono grata alle mie figlie e sono pronta a sostenerle ovunque e sempre, con il sorriso, per compiere insieme la nostra missione. Ringrazio tutti i compagni e le compagne di fede, perché la nostra rete è la cosa più preziosa al mondo!

