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In viaggio con sensei - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:51

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In viaggio con sensei

Marta Arkerdar, Marino (RM)

Sono passati circa dieci anni di duro lavoro di fronte al Gohonzon e sul campo per costruire un’azienda che oggi è presente in dieci aeroporti italiani con circa cinquanta dipendenti. In questo meraviglioso viaggio ho sempre ricercato le guide di sensei ed è grazie a questo legame che non ci siamo mai arenati

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Sono passati circa dieci anni di duro lavoro di fronte al Gohonzon e sul campo per costruire un’azienda che oggi è presente in dieci aeroporti italiani con circa cinquanta dipendenti. In questo meraviglioso viaggio ho sempre ricercato le guide di sensei ed è grazie a questo legame che non ci siamo mai arenati

Ho trentaquattro anni e sono vice responsabile di capitolo della Divisione donne.
I miei genitori divorziarono quando ne avevo due. Nel 1994, a quattordici anni, una compagna delle scuole medie mi parlò della pratica buddista.
Non sapevo cosa fosse il Buddismo ma fui molto attratta dalla recitazione del Daimoku: recitavo almeno un’ora prima di andare a scuola e leggevo le guide del presidente Ikeda, soprattutto il Diario giovanile. Sensei fu da subito una guida, lo sentivo come un padre. Parlai del Buddismo ai miei genitori e mia madre iniziò a praticare, ricevendo il Gohonzon nel 1996. Mio padre invece all’inizio mi accompagnava alle riunioni per controllare dove andassi e questo è stato il primo beneficio: tramite l’esperienza di partecipare insieme agli zadankai, ho potuto costruire una relazione con lui che non avevo mai avuto.
Durante gli anni del liceo lottavo per trasformare la mia condizione interiore: mi sentivo sempre a disagio e non accettavo il mio aspetto fisico. Mangiavo e mi riempivo per colmare un vuoto d’affetto che sentivo dentro, recitavo Daimoku sapendo che prima o poi sarei riuscita a stare bene; ero incoraggiata dall’esperienza di sensei, che da giovane lottava e andava avanti nonostante la sofferenza della malattia.
Il 1998 è stato un anno fondamentale: sono diventata maggiorenne e finalmente membro della Soka Gakkai. Superai la maturità e una mia compagna di classe ricevette il Gohonzon.
Cominciai a sentire gratitudine per i miei genitori perché, nonostante le loro scelte mi avessero fatto soffrire, mi avevano messo al mondo e avevo potuto incontrare il Gohonzon. Iniziai a fare tanta attività come responsabile di capitolo, andavo a visitare le giovani donne anche a parecchi chilometri di distanza. Ricordo che ero “assetata” delle parole di sensei e appena arrivavano le riviste dell’Istituto trascrivevo le frasi che più mi colpivano su un quaderno, poi facevo Daimoku cercando di metterle in pratica. Così piano piano ho costruito la fiducia in me stessa.
Nel 2002 incontrai quello che sarebbe diventato mio marito. Decidemmo di sposarci il 18 novembre 2006; scegliemmo questa data per ricordarci che la nostra unione si basa sul comune obiettivo di realizzare kosen-rufu.
Nello stesso anno venni nominata responsabile nazionale byakuren – è un gruppo di giovani donne che si occupa della protezione e dell’accoglienza nei Centri culturali e vice responsabile nazionale giovani donne: iniziò un periodo di intensa attività insieme agli altri responsabili giovani. L’attività byakuren mi ha dato l’occasione di sperimentare il potere della preghiera di tirare fuori la convinzione che attraverso il Daimoku stavo attivando il potere dell’universo mentre mi sforzavo di agire come avrebbe fatto sensei. Oggi posso dire che quell’attività è stata una vera università di vita, che è risultata fondamentale per il mio futuro di donna e di madre.
Nel 2006 partecipai a un corso in Giappone. Toccai con mano la grandezza dei membri della Soka Gakkai che hanno deciso di dedicare la loro vita a kosen-rufu accanto al maestro. Da questa esperienza e dall’incontro con il presidente Ikeda tornai in Italia con lo scopo di trasmettere a quante più giovani donne possibili la meraviglia e l’orgoglio di poter far parte della Soka Gakkai e di praticare nella stessa epoca in cui il maestro è in vita.
Decisi che sarei diventata una “vera” discepola: volevo essere attiva e mettere in pratica lo spirito del presidente Ikeda. Qualche anno prima mio marito aveva deciso di lasciare il suo lavoro in banca prendendo al balzo l’occasione di rilevare un’azienda che si occupava di servizi aeroportuali per voli privati. Anch’io lasciai il mio lavoro come segretaria per sostenerlo in questa nuova avventura. Durante i primi anni portare avanti quest’attività per due giovani come noi, in un ambiente molto competitivo, dove sono diffuse anche mafiosità e protezionismi, fu molto difficile.
La preghiera era la nostra unica arma e credevamo fermamente nel principio di fede uguale a vita quotidiana. Per anni abbiamo sostenuto le nostre giornate iniziando con due ore di Daimoku.
Sono passati circa dieci anni di duro lavoro sia di fronte al Gohonzon che sul campo, per costruire un’azienda che oggi è presente in dieci aeroporti italiani con circa cinquanta dipendenti e che ultimamente è diventata appetibile per grandi aziende internazionali. In questo meraviglioso viaggio ho sempre ricercato le guide di sensei ed è grazie a questo legame che non ci siamo mai arenati.
Fra me e mio marito c’è stato però un momento di crisi nel 2009: sentivo di non amarlo più, il karma del fallimento e della separazione si riaffacciava nella mia vita.
In quell’anno sensei fondò il gruppo dell’Ikeda Kayo-kai incoraggiando tutte le giovani donne del mondo ad approfondire nella loro vita le cinque linee guida a loro dedicate: siate un sole gioioso di felicità; studiate la suprema filosofia della vita; vivete la vostra giovinezza senza rassegnarvi mai; dialogate per promuovere l’amicizia e gli ideali umanistici; aprite il cancello dell’eterna vittoria di maestro e discepolo.
Recitai Daimoku cercando di sentire che la mia vita era Myoho-renge-kyo e che la causa della mia insofferenza non era fuori di me. Volevo chiarire e percepire prima di tutto come poter cambiare me stessa. Studiando La rivoluzione umana lessi una guida di Toda sul matrimonio che diceva: «Continuare ad amare il proprio partner per tutta la vita è cosa che comporta enormi sforzi […] se il vostro obiettivo è quello di conseguire la felicità tramite la fede, la felicità della vita coniugale ne deriverà come naturale conseguenza» (RU, 7, 122).
Mi fu chiaro che potevo costruire una felicità assoluta se mi basavo sulla consapevolezza che la vera natura della mia vita altro non è che Myoho-renge-kyo. Così tornammo insieme e io mi sentivo innamorata in modo più profondo e consapevole. Decidemmo che era arrivato il tempo di allargare questa famiglia: nel 2012 nacque la nostra prima figlia Sofia e a dicembre 2014 due meravigliosi gemelli, Jacopo e Soraya. Quando iniziai a praticare ventuno anni fa il mio desiderio più grande era quello di avere la famiglia numerosa che non avevo avuto; mai mi sarei aspettata un quadretto simile: tre figli a soli trentaquattro anni.
La nascita di Jacopo e Soraya comportò una serie di difficoltà: nacquero entrambi prematuri e sottopeso; alla nascita sono stati ricoverati in terapia intensiva neonatale per quasi un mese e comunque, anche dimessi, pesavano poco più di due chili. Era pieno inverno ed entrambi si ammalarono con tosse e raffreddore, in particolare in Soraya la malattia peggiorò tanto che il 5 febbraio dello scorso anno siamo stati costretti a ricoverarla in terapia intensiva pediatrica. Da semplice raffreddore e tosse divenne broncopolmonite che ben presto la mise in pericolo di vita. Una notte ci chiamarono i medici: la situazione era peggiorata, tanto che avevano dovuto attaccarla alle macchina per la respirazione assistita e farle trasfusioni di sangue in quanto non più in grado di respirare autonomamente. Per un attimo il mondo mi crollò addosso, un corpicino così piccolo e inerme… pensai che non ce l’avrebbe fatta. Recitai Daimoku tutta la notte e tutto il giorno. Sperimentai varie fasi, dalla rassegnazione fino alla consapevolezza della trasformazione del suo karma attraverso la mia preghiera. Decisi profondamente che Soraya ce l’avrebbe fatta e dentro di me lei era già guarita.
Il mio stato vitale era talmente cambiato che tornando un giorno in ospedale, senza mezzi termini feci shakubuku alla madre di un bambino vicino di letto di Soraya, in coma da due mesi. Recitammo Daimoku insieme. Il giorno dopo lo trovai che piangeva tra le braccia della mamma e fu dimesso dopo una settimana.
Anche Soraya cominciò a migliorare fino alla completa guarigione tanto che i medici mi dissero che la bambina era stata salvata da un angelo custode. Dopo questa vittoria incredibile sulla malattia, la mia vita si è ancora più aperta e fortificata.
Grazie al Daimoku “disperato” che ho recitato per mia figlia mi sono resa conto che è il tipo di Daimoku che voglio fare anche per l’attività per rendere il mio capitolo una comunità di credenti veramente unita grazie alla forte relazione di ogni persona con il maestro.
Sento un’enorme gratitudine per tutta l’attività che ho potuto fare nella nostra organizzazione che mi ha permesso di accumulare tanta fortuna e tanti tesori del cuore.

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